martedì 20 dicembre 2011

IL CAOS

 

Il simbolo dell’attrattore di Lorenz, conosciuto anche con il nome di “Farfalla di Lorenz”, può essere una rappresentazione grafica della teoria del caos.
La particolarità di questa  rappresentazione geometrica, consiste nel fatto che le traiettorie non si ripetono mai e non se ne troveranno mai due che si sovrappongano.
Il sistema è imprevedibile, tuttavia presenta una certa regolarità: un ordine nascosto, sensibilissimo, dove la più piccola variazione può dare luogo ad un’evoluzione dinamica completamente diversa.
Da qui la celebre riflessione di Lorenz:
“Può un battito d’ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?”


 Buoni Dies Fasti 2008 da Matteo

PONTIFEX

Bran era il re dei Britanni. Sua sorella sposò il re d’Irlanda, ma lui la trattava come una serva.
Così Bran decise di liberarla.
Con il suo esercito andò in Irlanda, ma al confine, un fiume li fermò.
Bran era alto e forte.
Disse: Colui che è capo, sia ponte !
Così si inginocchiò nell’acqua e i suoi soldati attraversarono il fiume sul suo corpo.
Questa leggenda impressionò i romanzieri romani the tradussero il termine “essere ponte”  con “Pontifex”
Da allora in poi, tutti gli Imperatori e Re vennero chiamati Pontifex Maximus.
In seguito anche il Papa è stato chiamato Pontifex.

SUBLIMAZIONE E BRINAMENTO

SUBLIMAZIONE e BRINAMENTO La sublimazione è il passaggio diretto dallo stato solido allo stato aeriforme, senza passare per lo stato liquido. Questo fenomeno si verifica per diversi materiali in cui le molecole sono legate debolmente tra loro, per cui basta un modesto aumento di temperatura perché si separino e si disperdano sotto forma di gas. La sublimazione avviene anche a temperatura ambiente ed è evidente in materiali come la canfora e la naftalina, impiegati normalmente come tarmicidi, le cui palline o scaglie tendono a ridursi di dimensioni sino a scomparire del tutto senza bisogno di scaldarle.
Il materiale ideale per dimostrare la sublimazione è lo iodio, questo, se riscaldato, da origine ad evidenti vapori di colore viola intenso (il nome dell'elemento: Iodio, deriva dalla parola greca che significa viola, proprio per ricordare il colore dei vapori).
Lo Iodio è un elemento del gruppo degli alogeni, che si presenta allo stato puro sotto forma di molecole biatomiche debolmente legate a formare scaglie con lucentezza metallica.
Per eseguire questa esperienza è necessaria una piccola quantità di Iodio metallico, reperibile nelle farmacie e nei negozi di prodotti chimici.
Una capsula od altro piccolo recipiente di vetro o porcellana,
Un becco di Bunsen o una lampada ad alcool con relativo treppiede e retina spaccafiamma,
Un beker contenente acqua fredda.
La disposizione è quella del disegno.img82/4092/sublimazione6we.jpg
Si mette nella capsula una piccola quantità (meno di mezzo cucchiaino da caffè), di scaglie di Iodio, si pone la capsula sulla fiamma.
Dopo qualche secondo si vedranno alzarsi vapori di Iodio intensamente colorati di viola, in brevissimo tempo lo Iodio messo nella capsula scomparirà completamente senza lasciare traccia.
Se al momento in cui si sviluppano i vapori si mette ad una decina di centimetri sopra la capsula un beker contenete acqua fredda, i vapori di Iodio andranno a condensarsi sotto il fondo dove formeranno dei cristalli violetti di Iodio puro, il raffreddamento determinerà il passaggio diretto dallo stato gassoso allo stato solido.
ATTENZIONE: i vapori di Iodio sono irritanti per gli occhi e per le vie respiratorie, l'esperienza va quindi condotta in locale ben ventilato e usando una quantità molto piccola di Iodio.

L'ASSENZIO

ASSENZIO (Artemisia absinthium)
img81/3273/assenzio5dm.jpg
Descrizione: fusto eretto solcato da scalmanature; foglie bi-tripennate di colore verdastro nella pagina superiore e bianco-argentate nella pagina inferiore. Fiori gialli, riuniti in piccoli capolini e contenuti in un involucro verde biancastro. Fioritura estiva. La pianta può raggiungere il metro d'altezza.
Ambiente: pianta spontanea diffusa dal mare alla montagna, cresce lungo i bordi di strade e sentieri, nei luoghi incolti. Molto frequente in Italia.
Raccolta: si utilizzano le sommità fiorite e le foglie fatte essiccare in luogo ombroso e ventilato.
Precauzioni: L'abuso è causa di gravi disturbi. L'essenza di assenzio è un veleno. L'assenzio è incompatibile con i sali di zinco, piombo, ferro. Ad alte dosi l'assenzio rivela le sue proprietà di droga e diventa piuttosto tossico per effetto del suo contenuto in tuiolo: tale sostanza, infatti, ha intense proprietà eccitanti sul sistema nervoso centrale e può produrre allucinazioni e manifestazioni epilettiche.

CALCOLO DELLA MOLARITA'



•    Materiali:
Becker
Cilindro graduato
Agitatore magnetico
Acqua demineralizzata
 Solfato rameico + 5 H2O (nocivo)

•    Procedimento:
    Prendo 0.8g di CuSO4 e li metto nel becker, aggiungo H2O e agito per ottenere una soluzione uniforme; trasferisco questa nel cilindro graduato. Con l’aiuto dell’agitatore magnetico, procedo ad aggiungere H2O fino a 50 ml. Si ottiene così una soluzione di CuSO4 0.1 M.

•    Osservazioni:
    Prestare attenzione a come vengono maneggiate le sostanze perché nocive; prestare inoltre attenzione ai calcoli per non sprecare notevoli quantità di materiali.

•    Conclusioni:
        La molarità (M) è il rapporto tra n° mol / l soluzione


•    I Calcoli:
CuSO4 + 5 H2O  (mm = 249.68g / mol )        CuSO4 (mm = 160 g / mol )
? = 50ml  CuSO4  0.1M

        n° mol = M × l sol = 0.1 mol / l sol × 0.05 l sol = 0.005 mol

        massa = mm × n° mol = 249.68 g / mol × 0.005 mol = 1.2484g

        si imposta la proporzione      1.2484 : 249.68 = x : 160

                x = (1.2484 × 160 ) : 249068 = 0.8g di CuSO4

L'ESPERIENZA DI CROOKES


Materiali occorrenti:
Tubo di Crookes con croce di Malta - Tubo di Crookes a mulinello - Tubo di Crookes con fenditura e schermo - Rocchetto di Ruhmkorff con alimentatore c.c. - Cavi di collegamento - Magnete.

Richiami teorici:
Il tubo di Crookes è formato da un tubo di vetro contenente un gas rarefatto (pressione 10-5 atmosfere); alle sue pareti interne sono saldati due elettrodi metallici collegati ad un elevatore di tensione ( 15000 v ). Le esperienze hanno dimostrato che i raggi che partono dal catodo ( polo negativo ) e vanno verso l'anodo
( polo positivo ) detti raggi catodici sono costituiti da:
•    piccolissime particelle viaggianti in linea retta ( i corpi interposti danno ombra ).
•    possiedono una certa massa ( sono capaci di muovere un mulinello a pale ).
•    hanno carica elettrica negativa ( sono attratte dal polo positivo di un campo elettrico ).
•    non dipendono né dal tipo di metallo costituente il catodo, né dal tipo di gas contenuto nel tubo (variando questo le particelle esistono, comunque ).
Nel 1897 Thompson riuscì a determinare il rapporto carica/massa di dette particelle, che risulta essere r = c/m = 1.759108 coulomb/grammi.
Considerando che queste particelle:
possono provenire o dagli atomi costituenti il catodo o dalle molecole del gas contenuto nel tubo;
non dipendono dal particolare tipo di catodo o di gas impiegati;
possiedono tutte lo stesso rapporto carica / massa;
si può concludere che esse sono tutte uguali tra loro e sono presenti in tutti gli atomi.
A queste particelle è stato dato il nome di elettroni.
La carica, determinata in seguito nel 1906 da Millikan, risulta uguale a 1.60210-19 coulomb.
Conoscendo r ed il valore della carica si può ricavare la massa che risulta uguale a 9.1110-28 grammi.

Esecuzione dell'esperienza:
Si monta il rocchetto ad induzione; si collegano le punte dello spinterometro, tramite due cavi, al tubo con croce di Malta, con il polo negativo all'elettrodo posteriore ed il polo positivo all'elettrodo anteriore. Si chiude l'interruttore dell'alimentatore e si osserva il comparire di una luminescenza verdastra con la croce che forma un'ombra sul fondo del tubo. Quanto osservato depone per un andamento rettilineo, dal catodo all'anodo, della radiazione.
Si collega, quindi, il tubo con mulinello; si chiude l'interruttore e si osserva che le pale iniziano a ruotare secondo il verso della radiazione. Questo indica, chiaramente, una natura corpuscolare della radiazione le cui particelle, per poter muovere le pale del mulinello, devono essere dotate di una certa massa.
Si collega, infine, il tubo con schermo e fenditura; attraverso questa può passare la radiazione catodica che è evidente come un sottile fascio luminoso sullo schermo. Avvicinando ad esso il polo positivo di un magnete si nota una deflessione della radiazione, che viene attirata. Avvicinando il polo negativo si nota anche in questo caso una deflessione ma con repulsione. L'esperienza indica che le particelle della radiazione catodica hanno carica elettrica e che questa è
di segno negativo.

LE ZONE DELLA FIAMMA

Le zone della Fiamma: nucleo e mantello

La fiamma è la manifestazione visibile di una reazione chimica detta combustione.

La fiamma è costituita da gas incandescenti prodotti dalla trasformazione chimica di un combustibile. Lo stato di eccitazione degli atomi dei gas produce un'energia la cui lun-ghezza d'onda ricade nel campo del visibile; le diverse lunghezza d'onda all'interno dello spettro del visibile corrispondono alle diverse colorazioni.
Le temperature all'interno di una fiamma di forma regolare sono differenti, a seconda dei punti di misurazione.
Quindi la colorazione dipende dalla natura del combustibile e dalla temperatura della fiamma.
La forma tipica della fiamma dipende da leggi che regolano la termodinamica. Le zone della fiamma sono essenzialmente due, il nucleo o cono, interno e più freddo, ed il mantello, esterno e più caldo.
La fiamma di una candela, per esempio, è costituita principalmente dai prodotti della combustione di idrocarburi gassosi derivati dall’evaporazione della paraffina
La temperatura dei gas che costituiscono la fiamma rag-giunge i valori più elevati nella zona più esterna, il “mantello”, dove si attiva la reazione di combustione con l’ossigeno dell’aria. All’interno c’è un cono di gas relativamente freddi perché, a causa della scarsità di ossigeno, i processi di combustione sono limitati. La differenza di temperatura tra le due zone è dimostrata dal fatto che un sottile filo di ferro immerso nella fiamma si arroventa solo nelle zone del mantello.
L’ossigeno per la combustione è continuamente rinnovato dalla convezione dell’aria tutto attorno alla fiamma, messa in moto dalla colonna di gas ascendenti che costituisce la fiamma stessa.

Rispetto ad una fiamma libera, come la candela, il bunsen produce una temperatura di fiamma più elevata (1400/1600°C), per i seguenti motivi:
•    Il combustibile, gas metano o similari, è un prodotto sufficientemente raffinato, con un potere calorifico elevato, quindi in grado di produrre una reazione chimica con una notevole efficienza termica, rispetto invece alla candela (600/1000°C), che brucia stearina, combustibile a più basso rendimento termico.
•    La forma del bunsen sfrutta la naturale produzione di una depressione al passaggio di un flusso fluido (gas o liquido), ordinato, orientato e laminare. Il foro alla base del corpo del becco bunsen permette all'aria di venire aspirata all'interno del bruciatore, e trascinata nel verso del flusso del combustibile per effetto del gas che fluisce all'interno dello stesso: quindi, si produce una miscelazione di gas combustibile ed aria comburente migliore, a vantaggio di un miglior rendimento termico della combustione.

 E' lo stesso effetto che regola il funzionamento del camino, l'aria calda prodotta dalla combustione sale verso l'alto e si incanala all'interno della canna fumaria: il movimento crea l'effetto  che aspira l'aria dall'ambiente. Se l'ambiente non ha prese d'aria, l'effetto non si crea e si dice che il camino brucia male.

L'ASPIRINA

Erodoto narrava che esisteva un popolo che mangiava le foglie del salice ed era stranamente resistente alle malattie; Ippocrate, il padre della medicina, descrisse una polvere estratta dalla corteccia del salice che era utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Un rimedio simile è citato anche dai sumeri, dagli antichi egizi, dagli assiri e persino dai nativi americani.

Nel Medioevo, erboristi e fattucchieri facevano bollire la corteccia del salice, per somministrare l'amaro decotto alle persone afflitte da dolori. Però, la raccolta dei rami di salice venne proibita, perché la pianta veniva utilizzata per la fabbricazione di cesti. Fu così che il medicamento cadde in disuso.
Solo quando Napoleone impose il blocco continentale e divenne quindi impossibile importare dalle americhe il chinino, l'antipiretico allora più diffuso, tornarono in uso i poteri benefici della corteccia del salice.

La sostanza attiva dell'estratto di corteccia del salice bianco (Salix alba), chiamato SALICINA, fu isolato in cristalli agli inizi del 1800 da un farmacista francese, e da Raffaele Piria, un chimico italiano. La salicina è abbastanza acida quando viene sciolta in acqua (una sua soluzione satura ha pH 2,4), per questo venne ribattezzata ACIDO SALICILICO.

Qualche anno più tardi il composto fu isolato anche dai fiori di olmaria (Spiraea ulmaria) da alcuni ricercatori tedeschi, anche se in forma impura, con gusto sgradevole e spesso con riflessi negativi sulla mucosa gastrica. Il merito di aver ideato un farmaco ben tollerato dai pazienti, e avente gli stessi effetti, va a Felix Hoffmann, un giovane chimico della Bayer, che può essere definito il vero e proprio inventore dell'Aspirina.

Hoffmann, iniziò a condurre degli studi per trovare  un composto efficace e tollerabile, per alleviare i dolori reumatici del padre, che non tollerava il salicilato di sodio.
Nel 1897 Hoffmann derivò il gruppo ossidrile (-OH) dell'acido salicilico con un gruppo acetile, formando l'acido acetil-salicilico, sintetizzandolo in forma chimicamente pura e stabile.
Tale composto presentava gli stessi effetti terapeutici dell'acido salicilico, ma con minori effetti collaterali. Nacque così il primo farmaco sintetico,  una molecola nuova, non una copia di una molecola già esistente in natura.

Il nome "aspirina" fu brevettato dalla Bayer componendo il prefisso "a-" (per il gruppo acetile) con "-spir-" dal fiore Spiraea, da cui si ricava l'acido spireico, ovvero l'acido salicilico e col suffisso "-ina" generalmente usato per i farmaci all'epoca.

La Bayer perse tuttavia il diritto ad usare il proprio marchio in molte nazioni, dopo che gli Alleati occuparono e rivendettero le sue proprietà dopo la prima guerra mondiale.
Sul mercato apparvero "Aspirine" prodotte da numerose diverse case farmaceutiche finché una sentenza della corte federale degli Stati Uniti fece di "aspirina" un nome generico non più soggetto a brevetto.
In altre nazioni, tra cui l'Italia ed il Canada, il nome "Aspirina" è invece ancora un marchio registrato.

CARATTERISTICHE
L’aspirina pura, a temperatura ambiente si presenta come un solido dai cristalli incolori; poco solubile in acqua (3 g/l), molto solubile in etanolo.
Il suo nome IUPAC è acido 2-acetossibenzoico, oppure  acido acetilsalicilico abbreviato in ASA.
La Formula bruta o molecolare è C9H8O4
Ha una massa molecolare di 180,16, una densità di 1,35 grammi per centimetro cubo.

Costante di dissociazione acida a 298 K di 3,2 × 10-4
Solubilità in acqua di 3,0 g/l a 293 K
Temperatura di fusione (K) di 409 (136°C)
Temperatura di ebollizione (K) di 413 (140°C) con decomposizione

Il meccanismo d’azione dell’aspirina fu conosciuto in dettaglio solo nel 1970. L'aspirina trova impiego come analgesico, antipiretico e come antiinfiammatorio. Ha, inoltre, un effetto anticoagulante e fluidificante sul sangue, per questo il suo uso a piccole dosi aiuta a prevenire a lungo termine gli attacchi cardiaci.

In una ricerca che gli valse un premio Nobel, il farmacologo inglese John Vane dimostrò che l'aspirina nell'organismo umano blocca la produzione delle PROSTAGLANDINE e dei TROMBOSSANI. Questo avviene perché un ENZIMA coinvolto nella loro sintesi viene inibito quando l'aspirina lo ACETILA; ciò si traduce in una fluidificazione del sangue. Questa proprietà la rende utile per ridurre l'incidenza degli infarti.

STAGE AL FLEMING LAB


STAGE AL LABORATORIO DI ANALISI CLINICHE
F L E M I N G

I
l nostro professore di scienze ha dato l’opportunità ad alcuni di noi di partecipare ad uno stage presso un laboratorio di analisi cliniche della nostra città; il nostro percorso formativo prevede di seguire le analisi cliniche dall’accettazione del paziente alla consegna dei risultati.
Siamo stati suddivisi in gruppi e alcuni miei compagni hanno già terminato lo stage; io ho appena iniziato e terminerò praticamente con la fine della scuola.
Sarebbe impossibile scrivere tutto quello che impariamo perchè a tutti gli effetti restiamo un paio d’ore in laboratorio a vedere tanti strumenti nuovi.

...e così il 26 marzo ho indossato il mio primo camice bianco!

Durante il primo incontro ci hanno accennato su come vengono raccolti i dati per preparare la scheda anamnesica del paziente.

29-03
Poi, già dal secondo incontro abbiamo iniziato lo stage in laboratorio.
Nel  laboratorio di autoimmunità  si usa la chemiofluorescenza per determinare la presenza di agenti immunitari innati nel corpo rispetto ad una certa malattia.
Esistono dei vetrini appositi, forniti da varie società, contenenti elementi patogeni da mettere a contatto con le cellule.
Con il microscopio a questo punto possiamo verificare la presenza di questi anticorpi.

02-04
Il terzo incontro è stato al laboratorio di citologia.
La citologia è il settore meno automatizzato, nel senso che ci sono pochi strumenti diagnostici elettronici.
Gli unici utilizzati sono la centrifuga e una speciale macchina per colorare le cellule e rendere visibili al microscopio, altrimenti si vedrebbe solo una macchia.
Sostanzialmente il lavoro in questo reparto è manuale, dei tecnici osservano al microscopio dei campioni di tessuto da esaminare
Mi sono stupito perché cercavamo le cellule tumorali ed eravamo dispiaciuti che non ce ne fossero per non poterle vedere
Ho scoperto che il pap test lo fanno anche gli uomini,
Al microscopio abbiamo evidenziato che ci sono diversi strati di  cellule che si differenziano tra loro per dimensioni del nucleo e anche della cellula stessa.
Ci sono delle centrifughe che servono per dividere il plasma sanguigno dalla parte corpuscolare. Altri tipi di centrifughe hanno regimi a giri molto bassi e servono per fissare le cellule sulle pareti dei vetrini.

12-04
L’incontro al laboratorio di immunometria è stato particolarmente interessante; i due dottori che ci spiegavano erano simpaticissimi ed il laboratorio di immunometria è pieno di strumenti diagnostici;
Ci hanno spiegato che quando devono cercare nel sangue di un ammalato per stabilire se abbia una qualche malattia, in realtà non si va a cercare la presenza del virus nel sangue, bensì la presenza degli anticorpi specifici che combattono quel virus.
Per fare questo tipo di indagine, usano tre diversi reagenti, la cui luminescenza viene rilevata da uno strumento, un po’ come quello della polizia criminale quando deve trovare le tracce di sangue.
Curioso il fatto che l’epatite B viene incubato in qualche giorno e poi rimane nell’organismo in stato latente per dieci anni prima di scatenare la malattia vera e propria.
Altra cosa che non sapevo è che non si muore per l’epatite, bensì per tutta una serie di patologie che l’epatite causa, neutralizzando le difese immunitarie dell’organismo.

19-04
Al laboratorio della fase preanalitica, ci hanno spiegato come vengono trasportati i campioni biologici da analizzare.
Se hanno poca strada da fare, vengono trasportati da un servizio celere di corriere espresso, tipo TNT. In questo caso vengono utilizzati dei contenitori tipo sacche di materiale isolante, rivestite di polistirolo, per proteggere le provette dagli urti e dagli sbalzi di temperatura.
Se invece il trasporto dei campioni necessita dell’aereo, le provette vengono conservate all’interno di scatole con l’esterno d’alluminio, come protezione contro gli urti. All’interno queste scatole sono rivestite di un materiale isolante in grado di conservare la temperatura intorno agli 8° c.
Quando i campioni biologici da analizzare giungono alla fase preanalitica, e vengono giudicati idonei, cioè contengono sufficiente materiale da analizzare, vengono dotati di Barcode, cioè di codice a barre, che segue il paziente: questo significa che ogni campione relativo ad una tale persona viene sempre riconosciuto.
A questo punto le provette vengono smistate e dirette ai vari reparti a seconda del tipo di campione.
E’ da poco arrivata una speciale apparecchiatura, chiamata “pinguino australiano” che smista automaticamente i campioni
Ci sono certi tipi di campioni biologici che necessitano la conservazione a temperature molto basse. I tal caso essi vengono conservati in speciali contenitori insieme ad anidride carbonica solida che è in grado di mantenere la temperatura a -78° C.

23-04
Nel laboratorio di patologia clinica abbiamo parlato di elettroforesi delle proteine plasmatiche.
L'operatore
andava in fretta e non si riusciva a seguirlo con gli appunti, per cui magari dico delle stronzate perchè ho ricostruito la storia a casa.
L’elettroforesi del plasma è una tecnica che analizza le proteine presenti nel plasma, cioè la parte liquida del sangue. Con questo esame vengono separate ed esaminate le seguenti proteine: l’albumina, le alfa1 globuline, le alfa2 globuline, le beta globuline e le gamma globuline.
Alcune proteine plasmatiche sono prodotte dal fegato, mentre altre vengono rilasciate nel sangue da cellule che fanno parte del sistema immunitario, il sistema di difesa naturale dell’organismo.
Le proteine plasmatiche sono indicatori molto importanti, perché alterazioni delle loro concentrazioni possono mettere in luce un gran numero di malattie molto gravi come per esempio il mieloma che è il cancro delle ossa.
Anche alcune malattie infiammatorie,infezioni croniche e acute, malattie dei reni e del fegato, disturbi del sistema immunitario possono venire diagnosticate con l’elettroforesi delle proteine.
L’esame viene eseguito su un campione di plasma. Per ottenerlo si effettua un prelievo di sangue dalla vena di un braccio e si separa la frazione contenente le cellule da quella liquida.
La concentrazione normale delle proteine plasmatiche totali è 6-8 g/dl.
Per fare qualche esempio, se la concentrazione di albumina è anomala, possiamo avere patologie al fegato, ai reni, gastrointestinali; le alfa 1 globuline alterate, sono indicatrici di neoplasie o infiammazioni; le alfa 2 globuline fuori range invece indicano diabete, gravidanza, ma anche neoplasie, reumatismi, ecc
Infine un aumento di gamma globuline potrebbe indicare cirrosi, epatite cronica, malattie infettive, ecc ecc
Poi abbiamo parlato di un esame particolare che si chiama Breath test, o "test del respiro", è un esame non invasivo grazie al quale si può diagnosticare la presenza del battere H.pylori  che causa gastriti, ulcere e anche cancro allo stomaco.
Il test si basa sulla capacità del microbo di metabolizzare l'urea somministrata per bocca, fino a ottenere acqua e anidride carbonica.
L'urea è  diagnostica, preparata apposta!! Prima di venire somministrata,viene marcata, per poter essere misurata, con un isotopo radioattivo di carbonio detto 14C, oppure con l'isotopo non radioattivo 13C. Il paziente quindi ingerisce l’urea (!!) (non se ne accorge perchè è una bibita) e poi soffia dentro a delle provette.
Se il battere non è presente, l'urea marcata passa attraveso lo stomaco e, di conseguenza, non si ritroverà nell'aria espirata.

26-04
L'operatore del laboratorio di ematologia deve avermi letto nel pensiero perchè l’altra volta non sono riuscito a prendere appunti e... questa volta ci ha fornito un foglio con su scritto tutto quanto! In questo posto si fanno vari esami ma in protagonista principale è il sangue
Emocromo
Che cosè: l’emocromo o esame emocromocitometrico indica la quantità dei principali componenti del sangue, tra cui globuli bianchi, rossi, emoglobina e piastrine.
A cosa serve: una diminuzione di globuli rossi può indicare anemia. Occorrerà però sapere la quantità di emoglobina presente all’interno di questi “mezzi di trasporto” dell’ossigeno
Un aumento dei globuli bianchi invece indica che è in corso un’infezione.
Infine una diminuzione del numero delle piastrine può indicare un problema di coagulazione del sangue.
Come si svolge l’esame: il sangue viene reso incoagulabile all’atto del prelievo e viene analizzato su apparecchi automatici in grado di contare, differenziare e misurare le cellule del sangue.
Reticolociti
Che cos’è: determinazione di PT, PTT, Antitrombina (ooh noo!), Fibrinogeno e altri
I test controllano le vie per le quali avviene la coagulazione e le sostanze che intervengono misurando il tempo necessario alla formazione del coagulo di fibrina (chiusura della lesione vascolare) quando al plasma del paziente si aggiungono i componenti eliminati all’atto del prelievo.
A cosa serve: serve per i soggetti cardiopatici per monitorare le terapie anticoagulanti e per valutare disturbi emorragici o trombotici.
Come si svolge l’esame: il plasma viene analizzato in apparecchiature automatiche che continuando il processo di coagulazione interrotto al prelievo, misurano sia la quantità sia la funzionalità dei componenti interessati al processo.
Gruppo sanguigno
Sulla membrana del globuli rossi sono presenti due sostanze, chiamate antigeni eritrocitari, definiti A e B.
A seconda del tipo di antigene che troviamo abbiamo i gruppi sanguigni, A o B.
Se sulla membrana sono presenti entrambi, il gruppo sarà AB, se sulla membrana non ci sono antigeni il gruppo sarà O.
Fattore RH
Ci sono altri antigeni eritrocitari, per esempio il D. che determina il fattore Rh, che è positivo in presenza, negativo in assenza di antigene D.
A cosa servono:  servono nel caso nel neonato a verificare la compatibilità con il sangue dei genitori in caso di trasfusione.
Come si svolgono: si vanno ad individuare gli antigeni eritrocitari sul campione di sangue, oppure si ricercano gli anticorpi A e B nel siero.

03/05
La lezione di oggi è stata emozionante perchè abbiamo visto il DNA ad occhio nudo! Fantastico! Si vede per davvero la piccola elica all’interno della provetta!!
Nel laboratorio di biologia molecolare, abbiamo parlato di diagnosi delle malattie infettive e genetiche; per esempio dell’epatite B e C trasmesse per via sessuale o tramite il sangue;
oppure malattie come la tubercolosi, che sta ricominciando a diffondersi!!!
E ancora: il papilloma virus, la meningite (che è l’infezione al liquor del cervello).
Inoltre in biologia molecolare si cercano quelle malattie genetiche o ereditarie come la fibrosi cistica o l’emocromatosi (accumulo di ferro).
Ma la cosa bellissima è che ci hanno mostrato come si estrae il DNA virale e genomico!!!! Si utilizza l’elettroforesi; si può estrarre dal plasma, dal sangue , dal siero intero, dai globuli bianchi.
Gli acidi nucleici (Dna o Rna) si trattano in modo diverso a seconda del tipo di esperimento. Comunque si preparano sempre due provette per ogni esperimento. Si purifica il campione, si agita, si aggiungono dei reagenti, si centrifugano i campioni per dividere i globuli rossi; si aggiunge un altro reagente per intrappolare la proteina e centrifugo ancora.
Alla fine troverò sul fondo i globuli rossi ed il DNA in soluzione.
A questo punto si lava il DNA con degli alcoli, tipo l’isopropanolo
Si eliminano gli alcoli, si idrata il DNA e... noi abbiamo visto il DNA ad occhio nudo!!!!
Credetemi è emozionante: lo vorrei vedere altre mille volte!
E’ chiaro che tutto questo serve per diagnosticare importanti malattie o a trarre delicate conclusioni, perciò l’esperimento continua, il DNA si misura con lo spettrofotometro, ecc ecc
Ma io per oggi ho fatto il pieno di stupore!
14-05
Reparto FARMACI E DROGHE
Interessantissimo l’incontro di oggi, tenuto dal Dottor Giovanelli, che è stato gentilissimo: appena ha saputo che abbiamo il blog di classe, mi ha mandato la presentazione da pubblicare.
Abbiamo parlato delle sostanze stupefacenti o psicotrope, cioè che agiscono sulla mente. Quelle sostanze cioè molto pericolose per l’organismo perché causano la dipendenza.
Per esempio l’LSD che genera allucinazioni, nata come anestetico, studiata come farmaco ed in seguito diventata droga.
Oppure l’eroina che è morfina tagliata, diluta con la stricnina che è poi il veleno dei topi.
Abbiamo parlato di cocaina e marijuana, che sono droghe naturali: la cocaina è una pianta, la marijuana sono foglie, l’ashish è una resina
Infine, molto importante, abbiamo parlato dell’Extasi che causa DANNI NEURONALI  PERMANENTI E GRAVISSIMI.
In alto, a sinistra, troverete la presentazione relativa!

LA DIETA

Una sfida a colpi di … dieta

Il nostro Prof. Ardenghi ha assegnato un compito insolito: stabilire come cambiano le analisi del sangue in un individuo variando la dieta alimentare.

Matteo Franceschi (io) e Matteo Magri (lui)  faranno la dieta della zona. Tutti gli altri mangeranno normalmente.

Alla fine vedremo cosa succederà al colesterolo, ai trigliceridi, alle glicemie e… ai brufoli!

La dieta della Zona

La dieta della Zona è stata scoperta e messa a punto dal Dottor Barry Sears, inizialmente con lo scopo di ridurre le cardiopatie. Successivamente il metodo si è rivelato assai efficace nel supporto dietetico degli sportivi, poichè il dimagrimento ottenuto, non consiste soltanto in una perdita di massa grassa, bensì in un incremento di massa magra, con relativo aumento della potenza muscolare e dunque del miglioramento delle prestazioni agonistiche.

E’ basata sul principio di educare il corpo a reagire naturalmente elaborando i nutrienti introdotti con l’alimentazione ed attuando una risposta biochimica ottimale, sciogliendo i grassi in eccesso che potrebbero accrescere il rischio di cardiopatie.

L’equilibrio degli alimenti introdotti, per sollecitare il metabolismo ad una risposta perfettamente calibrata, sarebbe 40% di carboidrati, 30% di proteine e 30% di grassi.
La cosa incredibile è che se le proporzioni introdotte sono correttamente pesate, quel 30% di grassi è necessario per sciogliere i grassi corporei!

Passaporto per questo stato metabolico sono gli EICOSANOIDI, potentissimi ormoni che svolgono la funzione di messaggeri biochimici, controllando ogni aspetto della fisiologia umana compresi gli ormoni testosterone, insulina e ormone della crescita.

Gli eicosanoidi possono per semplicità essere distinti in "buoni" o "cattivi" a seconda delle conseguenze che producono.

L'obiettivo della dieta della Zona è di promuovere  la produzione di eicosanoidi buoni e reprimere quella di eicosanoidi cattivi, con il risultato di migliorare molte funzioni del nostro organismo.

Ma “tra il dire e il fare” … ci sono di mezzo i carboidrati.

Infatti la difficoltà di chi si alimenta con la dieta della Zona è capire che siamo abituati a mangiare poche proteine ed una quantità enorme di carboidrati.

Per far “scattare” il metabolismo, bisogna calcolare esattamente il fabbisogno proteico individualmente, in base al proprio peso, alla propria massa magra, all’effettivo esercizio fisico svolto giornalmente e, una volta conosciuta l’entità del proprio fabbisogno,  pesare esattamente tutti gli alimenti per poterli assumere come se fossero un medicinale.

Inoltre bisogna mangiare ogni 5 ore, perché solo così si garantisce la continuità del beneficio metabolico. Infine bisogna bere almeno tre litri di acqua al giorno.

esempio:

ore 6.30     un toast con molto prosciutto e poco pane + una tazza di caffèlatte

intervallo     tramezzino con poco pane e molto arrosto di tacchino

ore 14.00       80 grammi di pasta (pazzesco! Ne mangerei 200 da solo)
                        una bistecca
                        un frutto

ore 17.30     un pezzo di parmigiano + 1 frutto + 3 mandorle

ore 20.30    pesce alla griglia
                    verdura
                    frutta

ore 23.00    una tazza giga di latte 

LE MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE



Da tempo si sta cercando di sensibilizzare i giovani verso i problemi legati alle malattie a diffusione sessuale, creando una rete di informazione capillare.
Il “progetto cascata” consiste nell’apprendere da docenti infettivologhi, le caratteristiche biologiche e pratiche delle malattie a trasmissione sessuale, per poi divulgare, in termini più semplici, le medesime informazioni ai ragazzi delle scuole medie, che a loro volta potranno portarle alle scuole elementari.  Non è semplice attuare questa catena di informazione: infatti da noi il progetto si è meritato anche il fuggente nick “meteora”...
Malattie mortali come l’HIV si stanno diffondendo in modo allarmante, principalmente perchè i giovani non conoscono le modalità di trasmissione della malattia.
Una serie di incontri, introdotti da un primo discorso descrittivo sugli apparati riproduttori femminile e maschile, guiderà la classe, per questo anno scolastico, verso una conoscenza approfondita delle varie malattie.
Premetto che le seguenti informazioni fungono principalmente da riassunto delle argomentazioni trattate durante gli incontri.

Gli apparati riproduttori

Se osserviamo l’anatomia della struttura pelvica maschile rispetto a quella femminile, notiamo che l’angolo sotto pubico maschile è simile ad un angolo acuto, di circa 90 gradi, mentre l’angolo formato sotto all’osso pubico femminile sembra ad un angolo ottuso perchè supera i 100 gradi.
Questa struttura delle pelvi femminili facilita il parto.
I muscoli del pavimento pelvico servono a sostenere gli organi pelvici. Anche i muscoli pelvici presentano struttura diversa tra maschile e femminile.
Nel caso maschile i muscoli presentano un solo foro, quello anale, mentre nella femmina ci sono due fori, perchè c’è anche quello vaginale. Alla fuoriuscita del feto, l’organismo femminile rilascia degli ormoni che fanno rilassare i muscoli pelvici e facilitare l’allargamento del muscolo vaginale.

L’apparato femminile
L’orifizio vaginale può essere protetto dall’imene. L’utero ha approssimativamente la forma di una pera capovolta.
Normalmente il corpo dell'utero forma con il collo un angolo da 90 a 120 gradi aperto in avanti. Ma non sempre si trova in questa posizione ottimale.
Si parla di utero retroverso quando l'asse dell'utero forma un angolo aperto posteriormente, essendo inclinato e rivolto verso il sacro.
Si parla di utero retroflesso quando l'asse del corpo forma un angolo maggiore di 180 gradi con il collo aperto posteriormente verso il sacro.
Nell'utero retroversoflesso si associano entrambe le condizioni dell'utero retroverso e retroflesso. Pertanto, esso risulta praticamente capovolto rispetto a quella più frequente di antiversoflessione. Quando l’utero è retrocesso, tutto il corpo si sposta all’indietro.
L’utero è formato da due strati: l’ENDOMETRIO che è il rivestimento esterno  ed il  MIOMETRIO che è il rivestimento interno.
Nell’endometrio sono presenti ghiandole che rilasciano i loro secreti nell’utero.
L’utero è vascolarizzato dall’arteria uterina o genitale che irrora di sangue le ovaie. L’arteria si divide e si anastomizza per raggiungere l’ovaia.
Le arterie che vascolarizzano l’endometrio possono essere rette o spirali. Le spirali vascolarizzano la periferia mentre le rette l’interno.
I vasi a spirale diventano necrotici e quindi parte dell’endometrio “muore” dando origine alle mestruazioni. Rimangono solo le cellule basali, che possono moltiplicarsi.
Le arterie radiali hanno dei recettori che sono detti anche emostatici, in quanto nel caso del parto, quando si stacca la placenta, non si riversa una eccessiva quantità di sangue.
L’endometrio è formato da esocervicale, composta da più file di cellule come nel caso della cervice uterina.
Esternamente abbiamo uno strato corneo più sviluppato rispetto all’interno. La pelle è pluristratificata e cheratinizzata.
Il peritoneo ha la consistenza del cellophan ed è una pellicola che avvolge gli organi.
La cavità peritoneale è una cavità che rimane vuota. La cavità addominale invece contiene le viscere. Il peritoneo viene sorretto dalla tuba uterina.
L’utero, come abbiamo accennato, si apre in basso, attraverso il canale cervicale, nella vagina, che è un organo a forma di tubo aperto verso l’esterno, adatto ad accogliere il pene durante il rapporto sessuale e a trattenere il liquido seminale in esso deposto. Attraverso altri due piccoli canali, detti Tube di Falloppio, l'utero è in comunicazione con le ovaie. Tali ghiandole contengono al loro interno centinaia di piccolissime cellule, gli ovuli. Il periodo durante il quale avvengono nella donna i fenomeni legati al processo riproduttivo, si chiama perciò ciclo ovarico.
   Questo periodo ha una durata variabile da donna a donna. Il fenomeno più appariscente del ciclo ovarico è la mestruazione, cioè la perdita di sangue dalla vagina, dalla durata di 4 o 5 giorni, che segna l'inizio di ogni ciclo.
Dopo l’ovulazione si viene a formare una “cicatrice” che viene chiamata “corpo luteo” che produce un ormone, il progesterone, che impedisce ulteriore mestruazione per circa un mese.
Nelle mestruazioni giocano un ruolo importante gli ormoni, gli estrogeni ed il progesterone.

L’apparato maschile
Gli organi riproduttivi maschili si possono riassumere in pene-scroto-testicoli-dotti spermatici e relative ghiandole (nb: siamo più semplici e più... dotti...)
Il pene è attraversato dall’uretra, in cui fluisce sia l’urina sia lo sperma, fluido in cui si trovano gli spermatozoi. Alla base del pene si trova la borsa dello scroto, una sorta di tasca cutanea all’interno della quale si trovano le due gonadi maschili, i testicoli. Lo scroto pende dalla superficie corporea, in modo che i testicoli si trovino ad una temperatura di circa 35 °C, più bassa di 1 o 2 gradi rispetto a  quella corporea, il che è necessario per la spermatogenesi. La temperatura più bassa, infatti, permette una maturazione ottimale delle cellule riproduttive maschili (spermatozoi) che vengono prodotte nei tubuli seminiferi dei testicoli.
Dai testicoli parte il dotto referente che si innesta nella prostata, ghiandola che secerne un liquido alcalino che serve a neutralizzare l’acidità dell’ambiente vaginale. Prima di entrarvi nella prostata, il dotto incontra la vescica, ed entrambi i deferenti si congiungono da qui nell’uretra da cui passa sia l’urina sia lo sperma.
Dentro al testicolo si trova un tubicino chiamato “tubulo seminifero”.
A ciascun deferente è connessa una vescicola seminale, che immagazzinano gli spermatozoi e producono una secrezione in cui sono presenti fruttosio e prostaglandine.

LE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE

E’ importante chiarire che ancora molte delle malattie sessuali sono incurabili e molte di esse, oltre ad essere molto fastidiose e dolorose, portano alla morte.

La sifilide è provocata da un batterio chiamato Treponema pallidum. Inizia con un nodulo ed un ingrossamento delle ghiandole. Se non è curata invade tutto l’organismo fino al cervello provocando la demenza. E’ guaribile con antibiotici. La gonorrea è provocata dal batterio Neisseria gonorrhoeae. La malattia si manifesta con un secreto giallo verdastro mucopurulento dal pene e dalla vagina. Se la malattia non viene curata porta a sterilità ed invade tutto l’organismo mentre è curabile con gli antibiotici. Il linfogranuloma inguinale o venereo è causato da particolari ceppi di Chlamydia trachomatis. Nella regione genitale compaiono dei noduli soggetti a ulcerazione. Particolari complicanze possono insorgere se i linfonodi si aprono verso l’esterno (fistole) o se sono colpiti i linfonodi interni. Nella fase iniziale la malattia può essere guarita con gli antibiotici. Le infezioni da clamidia sono causate dal batterio Chlamydia trachomatis. Esse sono causa di fastidiose infezioni genito-urinarie che comportano forte prurito e bruciori durante la minzione. L'infezione può essere facilmente curata con gli antibiotici. Il contagio neonatale è frequente e può causare congiuntiviti e polmoniti. Esistono diversi virus dell’epatite virale che si trasmettono sessualmente, soprattutto il virus dell’epatite B e, in misura minore, il virus dell’epatite C. Il decorso della malattia varia notevolmente: l’infezione può risolversi senza disturbi o causare un’infiammazione acuta del fegato con possibile esito letale. Spesso l’infiammazione può cronicizzarsi ed evolvere nella cirrosi epatica o nel cancro del fegato. Un grave problema è costituito dal fatto che alcune persone sono portatrici sane del virus dell’epatite e potranno contagiare altre persone, oltre che per via sessuale, anche tramite trasfusioni di sangue, scambio di siringhe tra tossicodipendenti e talvolta perfino tramite il contatto diretto o indiretto con liquidi organici in caso di scarsa igiene. L’Herpes genitalis è un’infezione virale largamente diffusa ed è simile all’herpes labialis (vescicole sulle labbra). Compaiono nella zona genitale piccole vescicole molto pruriginose e dolorose contenenti un liquido contagioso. Inoltre possono manifestarsi altre patologie come l’ingrossamento dei nodi linfatici e stati febbrili. L’herpes si cura con farmaci antivirali ma il virus può sopravvivere e annidarsi nel tessuto nervoso restando a lungo inattivo. Dopo anni può riattivarsi e causare una recidiva: in questi casi il quadro clinico è però generalmente meno virulento. Le gestanti affette da herpes genitale possono contagiare il neonato al momento del parto e causargli gravi malattie (per es. l’encefalite). E poi ancora abbiamo il Papilloma Virus che provoca verruche ed escrescenze nella zona genitale, eliminabili con la chirurgia e che pare provochino il cancro della cervice. Infezioni vaginali da funghi e  protozoi come i Trichomonas che causano perdite sierose e prurito, o la Candida che si curano con antimicotici. Purtroppo queste malattie non vengono facilmente riconosciute perchè asintomatiche o oligosintomatiche. Inoltre vengono curate con terapie errate o con autoterapia.

Riassumendo, dove ci sono i sintomi, essi possono essere di tipo:

Essudativo = perdite
Ulcerativo = vescicole
Proliferativo = aumento esponenziale interno

L’AIDS
L’Aids (acquired immune deficiency syndrome = sindrome da immunodeficienza acquisita) è lo stadio finale di un’infezione causata dall’HIV (human immunodeficiency virus = virus dell’immunodeficienza umana).
L’HIV è la bomba infettivologica degli ultimi 25 anni; la scimmia verde sembra essere all’origine del virus dell’Hiv.
Nell’81 venne segnalato negli Stati Uniti un aumento di strane patologie fra gli omosessuali.
L’AZT è stato il primo farmaco adottato contro il virus.
A tutt’oggi sono noti due tipi di virus (HIV-1 e HIV-2) con numerosi sottogruppi. Tra il momento del contagio e l’insorgere della malattia vera e propria (Aids conclamato) trascorrono in media 12 anni. In questo periodo le persone contagiate possono trasmettere il virus ad altri senza rendersene conto. In presenza di altre malattie sessuali «classiche» (specialmente la sifilide e l’ulcera molle) si è maggiormente esposti al rischio di contagio con il virus dell’Aids. La diagnosi dell’infezione HIV avviene mediante l’analisi del sangue (test degli anticorpi HIV). A tutt’oggi la malattia è inguaribile e può portare alla morte. Un accertamento precoce dell’infezione e l’adozione di appropriate misure terapeutiche permettono di ritardare l’insorgere della malattia e di migliorare la qualità della vita del paziente. In un prossimo futuro non sarà disponibile alcun vaccino.
Brescia presentava un grande numero di casi di AIDS causata dalla tossicodipendeza. Comunque l’85% del contagio si ha per via sessuale, mentre il contagio da tossicodipendenza si ha nel 10% dei casi ed infine un 5% del contagio è causato da emotrasfusioni.
Vi sono persone in grado di resistere maggiormente alla malattia. Si è inoltre scoperto che l’HIV è una delle cause principali dei tumori.
....continua.... (verrà aggiornato alla prossima lezione)
postato da: mfranceschi alle ore 17:17 | Permalink | commenti
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LA CASEIFICAZIONE II PARTE



Qualche giorno fa ci siamo mangiati il formaggio che il Prof. Ardenghi ha preparato in laboratorio. Il risultato è stato un formaggio tipo crescenza.

Abbiamo mescolato, in un recipiente di alluminio, 4 litri di latte e 3 ml di caglio, portando il composto a 37°C e lasciandolo a temperatura per circa 45 minuti. Dopo di che l’abbiamo filtrato con delle speciali reticelle.

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IL LATTE ed i suoi componenti.

Il latte è un secreto della ghiandola mammaria, prodotto in parte a spese del sangue. Il latte intero è formato per circa il 3,2% di grasso, mentre per l’87, 88 % è formato da acqua. Inoltre contiene proteine, amminoacidi e lipidi che sono acidi grassi saturi.

Il colostro è un componente del latte, più denso e di colore giallognolo, che rende possibile lo sviluppo del sistema immunitario.

Il lattosio è lo zucchero principale ed ha un potere dolcificante pari ad 1/6 di quello del saccarosio.
Il latte contiene anche vari microrganismi, quali lieviti, muffe e batteri lattici. La fermentazione di questi microrganismi porta il latte all’acidificazione che lo rende dannoso per l’assunzione diretta, ma necessario per fare il formaggio e lo yogurt.

La caseina è una fosfoproteina formata da frazioni in sospensione colloidale. Per azione enzimatica le frazioni si aggregano e coagulano. L’acidificazione porta il latte al punto isoelettrico della caseina e ciò provoca l’allontanamento del fosfato di calcio.

Il caglio è un insieme di enzimi ed acidi.

LA COAGULAZIONE

La coagulazione del latte può avvenire in due modi: o grazie al caglio ed allora abbiamo la coagulazione  presamica o enzimatica, oppure con l’abbattimento del pH, ed abbiamo la coagulazione acida. Abbiamo già detto che il caglio contiene essenzialmente enzimi.

Grazie ad un'azione combinata di questi enzimi, ed in presenza di una sufficiente acidità e temperatura, si ha la precipitazione della caseina, che dà origine ad un coagulo, la cagliata, che cede il siero trattenendo, oltre a varie proteine, anche percentuali di grasso.

Frantumando il prodotto caglio e latte, si formano le sieroproteine che non coagulano.
La coagulazione, dunque è resa possibile dal caglio, che forma un reticolo nel quale viene imprigionata una grande quantità di grassi. Così si forma la cagliata.

La coagulazione acida è possibile anche per mezzo del succo di limone, la soluzione acida deve essere un PH pari a 4,6.

Dalla cagliata si procede allo spurgo, che consiste nella separazione del siero dalla cagliata.

IL VIRUS HPV



Il Dottor Alberto Matteelli, dell’Istituto Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Brescia, tiene seminari in tutta Italia e scrive le sue esperienze sulle più importanti riviste scientifiche.
Ha tenuto un incontro con noi ragazzi per parlarci dell’HPV, cioè dello Human Papilloma Virus.
Ci ha detto che i virus sono difficili da trattare e danno un’infezione cronica, non debellabile.
Il Papilloma Virus è una sfera formata da 72 capsomeri.
Ne ho trovato una foto al microscopio elettronico.
img208/7366/papillomaviruscapsidoq8.png
Di HPV ne esistono oltre 100 tipi diversi.
Essi si possono trovare nei genitali (30 circa) oppure negli extragenitali (70 circa), un esempio riscontrabile facilmente è costituito dalle verruche, proprio quelle che vengono nei piedi quando si va in piscina! Ecco, sono causate da un tipo di papilloma virus.
Questi virus si differenziano anche per alto e basso potere oncogeno, cioè dal potere di provocare forme tumorali.
Alcuni tipi di HPV possono infatti causare tumori benigni quale il condiloma genitale e anche maligni quale il cancro del collo dell'utero e del pene. I condilomi, generalmente provocate dal virus HPV, sono dell'escrescenze della pelle di tipo verrucoso che colpiscono di preferenza le zone genitali.

Ad alto potere oncogeno abbiamo gli HPV virus numerati con
-    16
-    18
-    31
-    33
-    35
-    39
-    43
-    51
-    52
-    56
-    58

A basso potere oncogeno abbiamo gli HPV virus numerati con
-    6
-    11
-    42
-    43
-    44

Il virus dell'HPV si contrae principalmente per via sessuale. Il virus è più frequentemente trovato in condizioni precarie di igiene.

Le malattie sessualmente trasmesse non possono essere curate.
Particolarmente promettente appare invece il vaccino per l'HPV. Negli studi fino ad ora condotti, il vaccino HPV ha già dimostrato di essere efficace nel prevenire lo sviluppo di tumori del collo uterino.
Inoltre si è constatato che il vaccino è valido per i virus simili. Il termine appropriato è Cross di protezione. Per esempio, il virus 16 ed il virus  35 sono molto simili, quindi facendo il vaccino per il 16 si è abbastanza protetti anche per il 35.

La prevenzione, dunque, è l’unica difesa contro le malattie a trasmissione sessuale.

BIOTECNOLOGIE parte prima



Il giorno dell’incontro del 20 febbraio sulle Biotecnologie, ero a letto con la febbre a 39 ... per cui questo post è frutto di un mosaico di appunti tratti da prestiti vari, chiariti con l’ausilio di internet e grazie al libro di Dulbecco (comprato e ....mai letto, anche se ora mi ha fatto comodo per decifrare i geroglifici...)

A tenere l’incontro, le Dottoresse Giliani e Lanfranchi della divisione di Biologia Genetica della Fondazione Nocivelli degli Spedali Civili di Brescia  (non so se l’hanno detto, ma recentemente, in settembre, proprio grazie all’equipe del laboratorio di medicina molecolare della Fondazione Nocivelli, è stata compiuta un’importante scoperta su una nuova anomalia genetica, NDR).

I testi di riferimento, dei quali hanno parlato le due docenti, sono stati “Genetica Pediatrica” e “Cellule Staminali e Trapianti di Midollo”.

Due parole per introdurre il concetto di GENETICA MEDICA: essa studia le malattie genetiche rare, che si tramandano per via “mendeliana”, ovvero attraverso le sequenze della catena del DNA che contiene le informazioni genetiche dell’individuo. La GENOMICA è invece lo studio strutturale e funzionale del genoma.

Il famoso professor Dulbecco (simpaticissimo, tra l’altro, qualche anno fa ha presentato anche il festival di Sanremo! NDR) ha avviato il PROGETTO GENOMA UMANO.

Il Progetto Genoma Umano, detto anche HUGO, acronimo di Human Genome Organization, è un progetto internazionale di ricerca. Lo scopo del progetto è di mappare il genoma umano, ovvero descrivere la struttura, la posizione e la funzione dei circa 25.000/30.000 geni che caratterizzano la specie umana. Per genoma intendiamo l’insieme dei cromosomi e dei geni.

Lo studio del genoma implica il sequenziamento del DNA, cioè l'identificazione della sequenza dei 3 miliardi di coppie di basi azotate che ne compongono la molecola.

La comprensione della funzione dei geni e di quali malattie possono derivare dalle loro alterazioni costituisce l'obiettivo finale del progetto.

Per chi volesse approfondire c’è un sito internet (in inglese) del National Center for Biotechnology Information in cui si può vedere la mappa del genoma umano.
http://ncbi.nlm.nih.gov
(menu barra in alto – Omim – Nucleotide)

IL GENE
Il gene è l'unità ereditaria degli organismi viventi. I geni sono contenuti nel genoma di un organismo, che può essere composto di DNA o di RNA, e dirigono lo sviluppo fisico e comportamentale dell'organismo. La maggior parte dei geni codifica proteine, che sono le macromolecole maggiormente coinvolte nei processi biochimici e metabolici della cellula. Molti geni non codificano proteine, ma producono RNA non codificante, che può giocare un ruolo fondamentale nella biosintesi delle proteine e nell'espressione genica.
Per studiare i geni vengono utilizzati  dei MICROARRAY, che è sono dei  chip,  costituiti da microscopiche sonde di DNA attaccate ad una superficie solida come vetro, plastica. Tali array sono usati per esaminare il profilo d’espressione di un gene o per identificare la presenza di un gene o di una breve sequenza in miscela di migliaia .
La maggior parte del contenuto dei geni,  non viene in ogni caso tradotto (solo il 3% del genoma è codificato) ma può coordinare la stessa espressione genica, come  GLI INTRONI, sequenze non tradotte che regolano il Dna in modo che diventi una proteina nel modo corretto, nel tessuto corretto.
Con il termine PSEUDOGENE  si intende una sequenza di nucleotidi simile ad un gene (a livello di struttura), ma priva di  espressione all'interno della cellula: è quindi un gene non più funzionale.
Il CARIOTIPO  è la morfologia del patrimonio cromosomico, mentre il CARIOGRAMMA è la rappresentazione grafica del cariotipo.

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nella foto il CARIOTIPO FEMMINILE

LE MUTAZIONI CROMOSOMICHE


La struttura fondamentale di un cromosoma è soggetta a mutazione, che avrà luogo più probabilmente durante l’incrocio allo stadio della meiosi.
Se la mutazione del cromosoma riguarda una parte essenziale del DNA, è possibile che il feto  sia abortito prima della nascita.  Solo ¼ delle aberrazioni cromosomiche giungono alla nascita. Queste anomalie sono strettamente legata all’età materna, perchè più l’età aumenta, più aumenta la possibilità di avere figli con aberrazioni cromosomiche, in quanto
anche il fuso mitotico invecchia e non attira con la stessa velocità i due cromosomi durante la divisione.

➢    delezione dei geni:  in questo caso i geni di un cromosoma sono persi per sempre perché sono separati dal centromero e ai nuovi cromosomi mancano alcuni geni che potrebbero rivelarsi fatali in funzione della loro importanza.

➢    duplicazione dei geni: in questa mutazione i geni mutanti compaiono nello stesso cromosoma due volte. Questo tipo di mutazione può essere vantaggioso perché non provoca la perdita o l’alterazione di alcuna informazione genetica, e anzi consente di “guadagnare” nuovi geni;  i nuovi cromosomi possiedono tutti i geni iniziali più uno duplicato, in genere innocuo.

➢    inversione dei geni: in questo caso viene invertito un particolare ordine di geni; la nuova sequenza potrebbe non essere adatta a produrre un organismo, in funzione del tipo di geni che è stato invertito. Da questo genere di mutazione è possibile trarre caratteri vantaggiosi

➢    translocazione dei geni: ha luogo dove l’informazione di due cromosomi omologhi si rompe e si lega all’altra. Normalmente questa mutazione è letale.

ALTERAZIONI DI UNA SEQUENZA DI  DNA

Anche le sequenze di nucleotidi del DNA sono suscettibili di mutazione:

➢    delezione: alcuni nucleotidi vengono eliminati, compromettendo il codice per le proteine che usano questa sequenza di DNA.
➢    inserzione: l’effetto è simile a quello della delezione: un nucleotide viene inserito in una sequenza genetica e quindi altera tutta la catena successiva
➢    inversione: si ha quando si inverte una certa sequenza di nucleotidi, e non è pericolosa come le altre mutazioni perché i nucleotidi invertiti di ordine compromettono solo una piccola parte della sequenza
➢    sostituzione: un dato nucleotide viene sostituito con un altro, che influenzerà gli aminoacidi che devono venire sintetizzati dalla sequenza. Se il gene è essenziale, per esempio codifica per l’emoglobina, le conseguenze sono serie e l’organismo è in pericolo

Tutte le mutazioni genetiche che abbiamo considerato hanno impatti più o meno negativi e sono indesiderabili, tuttavia in alcune circostanze possono essere vantaggiose. Le mutazioni aumentano la diversità genetica e quindi svolgono un ruolo benefico fondamentale, anche se rappresentano la ragione per la quale molte persone ereditano le malattie.

La poliploidia

Gli esseri umani sono creature diploidi, cioé per ogni cromosoma del nostro corpo ne esiste un altro corrispondente:

> sono aploidi gli organismi che contengono un solo esemplare di ciascun cromosoma
> sono diploidi gli organismi che contengono due copie di ciascun cromosoma
> sono triploidi gli organismi che contengono tre copie di ciascun cromosoma
> sono poliploidi gli organismi che contengono tre o più copie di ciascun cromosoma

la rappresentazione di questa condizione avviene con la lettera dell’alfabeto “n”, dove n=aploide, 2n=diploide, ecc.


EREDITARIETA’ MENDELIANA ED EREDITARIETA’ MULTI FATTORIALE

La maggior parte dei caratteri umani come l’altezza, il colore della pelle, degli occhi e dei capelli ma anche la pressione sanguigna, ecc., viene ereditata con una modalità mendeliana, un’altra parte, invece, nota come ereditarietà multifattoriale, così denominata proprio perché determinata dall’interazione di più fattori genetici con i fattori ambientali, ognuno dei quali esercita un effetto difficile da quantificare.
Quasi tutte le malattie hanno base genetica: per esempio la rottura ossea per traumi non violenti è causata da una fragilità ossea ereditaria, ovvero di ereditarietà mendeliana, o cromosomica, o monofattoriale.
Il 10% dei tumori è causato da una forte componente genetica e la predisposizione ad avere tumori può essere trasmessa ai figli.

LE MALATTIE GENETICHE

Le malattie genetiche si dividono in quattro categorie:
le malattie cromosomiche che coinvolgono la mancanza o la presenza in eccesso di un cromosoma, o la presenza di un cromosoma in cui ci sono lesioni osservabili al microscopio;
le malattie monogeniche che sono determinate invece da un solo gene mutante, e vengono trasmessse con un meccanismo ereditario di tipo mendeliano;
le malattie multifattoriali, che sono il prodotto dell’interazione di molti geni e di molti fattori ambientali, e la loro trasmissione ereditaria è molto complessa;
le malattie legate a eredità mitocondiale , che sono prodotte dall’alterazione del DNA mitocondriale che si trasmette solo in linea femminile, perché durante la fecondazione gli spermatozoi perdono i loro mitocondri e solo il nucleo partecipa alla messa in comune del DNA, mentre l’ovocita conserva  il citoplasma e i mitocondri contenenti anch’essi DNA e li trasmette all’embrione che si forma.



LA BIRRA !

Signore e Signori
abbiamo il piacere di presentarvi
LA BIRRA !!!

INGREDIENTI (e credits)

Magri/Cherubini/Samuelli/Pittori han fatto un leasing per comprare l’acqua minerale
Il sottoscritto ha portato lo zucchero Zefiro.
La miscela di malto e luppolo, si compra su internet e se ne è occupato il Prof.
L’orzo che si utilizza per fare la birra è distico
Gli orzi appartengono alla famiglia delle graminacee e si distinguono in distici e polistici secondo il numero di chicchi presenti su ogni internodo .
Nell’orzo distico i chicchi si presentano più grandi, uniformi e regolari rispetto ai polistici e per queste caratteristiche sono preferibili nella produzione della birra .

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NOTE


Il contenuto proteico non deve essere superiore all’11%, i lipidi, cioè l’acido oleico,linoleico,linolenico, devono essere in bassa percentuale
Il luppolo permette la trasformazione dell’amido

La birra è composta per il 90% da acqua.

Contiene calcio, magnesio, bicarbonati e solfati.

No3 basso
No2 assente
Cl- medio alto
Ca ++ medio alto
Na+ medio alto

Ph 5,2 ≤ ph s 5,4

SCOPO DELL’ESPERIMENTO

...non è di fabbricare la birra per poi festeggiare...

L’esperimento prescelto riguarda lo sviluppo del lievito di birra, il Saccharomyces cerevisiae,  che si riproduce per gemmazione ed è ad alta fermentazione.

Esiste anche un lievito a bassa fermentazione, chiamato Saccharomyces carlsbergensis, che si usa per produrre altri tipi di birra.

Una caratteristica delle fermentazioni  è che si passa da un reagente iniziale organico a un prodotto finale anch’esso organico, ma con un minor numero di atomi di carbonio rispetto al reagente

La fermentazione si svolge in due fasi: nella prima il lievito scinde, tramite l'enzima invertasi, gli zuccheri complessi (come il saccarosio): GLICOLISI.

Nella seconda fase avviene la formazione di etanolo (o alcol etilico) a partire dagli zuccheri semplici (ad esempio il fruttosio).


PROCEDIMENTO


Il professor Ardenghi ha  messo a macerare luppolo e malto.
Poi ha fatto sciogliere i lieviti in poca acqua e zucchero, così iniziavano a  lavorare.
Ha messo l’acqua e la miscela di malto e luppolo in una pentola abbastanza capiente, riscaldando il recipiente  a circa 80 °C.
In questa fase gli amidi si trasformano in zuccheri.
Poi ha atteso che il liquido raffreddasse a 24 gradi prima di passare il liquido nel fermentatore, aggiungendo i lieviti precedentemente sciolti e lo zucchero.
Adesso la nostra birra è in fase di maturazione e ci rimarrà per 15 giorni
... se i risultati dovessero essere quelli sperati... ce la portiamo in gita a Parigi...

LA GLICOLISI 

Abbiamo detto che durante la fermentaizone il lievito scinde gli zuccheri.

La glicolisi è un processo chimico in base al quale una molecola di glucosio viene scissa in due molecole di acido piruvico; tale reazione porta alla produzione di energia, immagazzinata in 2 molecole di ATP. 
img233/9040/glycanimnd0.gif    le fasi della glicolisi

La glicolisi ha la particolarità di potere avvenire sia in presenza che in assenza di ossigeno, anche se, nel secondo caso, viene prodotta una minore quantità di energia


CICLO DI KREBS

Gruppo di reazioni chimiche che avvengono all'interno della cellula durante il processo di respirazione cellulare. Tali reazioni sono responsabili della trasformazione delle molecole provenienti dalla glicolisi in anidride carbonica, acqua ed energia .
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Al termine della glicolisi si formano due molecole di piruvato, che entrano nei mitocondri e vengono trasformate in gruppi acetilici. Ciascun gruppo acetilico, contenente due atomi di carbonio, si lega a un coenzima, formando un composto denominato acetilcoenzima A.

Questo, a sua volta, si combina con una molecola a quattro atomi di carbonio, l'ossalacetato, per formare un composto a sei atomi di carbonio, l'acido citrico. Nei successivi passaggi del ciclo, la molecola di acido citrico viene gradualmente rielaborata, perdendo così due atomi di carbonio che vengono eliminati sotto forma di anidride carbonica. In questi passaggi vengono, inoltre, liberati quattro elettroni che verranno utilizzati per l'ultimo passaggio della respirazione cellulare, la fosforilazione ossidativa.

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La Fosforilazione ossidativa consiste nel trasferimento degli elettroni dell'idrogeno del NADH a una catena di trasporto formata da citocromi, fino all'ossigeno, che rappresenta l'accettore finale degli elettroni.

LA CASEIFICAZIONE



IL LATTE ed i suoi componenti.
Il latte è un secreto della ghiandola mammaria, prodotto in parte a spese del sangue. Il latte intero è formato per circa il 3,2% di grasso, mentre per l’87, 88 % è formato da acqua. Inoltre contiene proteine, amminoacidi e lipidi che sono acidi grassi saturi.
Il colostro è un componente del latte, più denso e di colore giallognolo, che rende possibile lo sviluppo del sistema immunitario.
Il lattosio è lo zucchero principale ed ha un potere dolcificante pari ad 1/6 di quello del saccarosio.
Il latte contiene anche vari microrganismi, quali lieviti, muffe e batteri lattici. La fermentazione di questi microrganismi porta il latte all’acidificazione che lo rende dannoso per l’assunzione diretta, ma necessario per fare il formaggio e lo yogurt.
La caseina è una fosfoproteina formata da frazioni in sospensione colloidale. Per azione enzimatica le frazioni si aggregano e coagulano. L’acidificazione porta il latte al punto isoelettrico della caseina e ciò provoca l’allontanamento del fosfato di calcio.
Il caglio è un insieme di enzimi ed acidi.

LA COAGULAZIONE
La coagulazione del latte può avvenire in due modi: o grazie al caglio ed allora abbiamo la coagulazione  presamica o enzimatica, oppure con l’abbattimento del pH, ed abbiamo la coagulazione acida. Abbiamo già detto che il caglio contiene essenzialmente enzimi.
Grazie ad un'azione combinata di questi enzimi, ed in presenza di una sufficiente acidità e temperatura, si ha la precipitazione della caseina, che dà origine ad un coagulo, la cagliata, che cede il siero trattenendo, oltre a varie proteine, anche percentuali di grasso.
Frantumando il prodotto caglio e latte, si formano le sieroproteine che non coagulano.
La coagulazione, dunque è resa possibile dal caglio, che forma un reticolo nel quale viene imprigionata una grande quantità di grassi. Così si forma la cagliata.
La coagulazione acida è possibile anche per mezzo del succo di limone, la soluzione acida deve essere un PH pari a 4,6.
Dalla cagliata si procede allo spurgo, che consiste nella separazione del siero dalla cagliata.

In laboratorio: LA PREPARAZIONE DEL FORMAGGIO
Quello che otterremo sarà un formaggio tipo crescenza per coagulazione enzimatica o presamica.
Si mescolano, in un recipiente di alluminio, 4 litri di latte e 3 ml di caglio, portando il composto a 37°C e lasciandolo a temperatura per circa 45 minuti. Dopo di che si filtra con delle speciali reticelle e si lascerà riposare.

LA DETERMINAZIONE ANALITICA DELLA CASEINA

L’anno scorso, durante lo stage presso l’Istituto Zooprofilattico, mi sono procurato un opuscolo curato dal loro staff operativo, che spiega come la qualità della caseina sia determinante per la standardizzazione del procedimento per ottenere il formaggio e per la qualità finale del prodotto.

Se ci troviamo di fronte ad un buon formaggio dobbiamo essere certi di due cose:
•    che non erano presenti nel latte sostanze inibenti come antibiotici o antibatterici che non avrebbero permesso la fermentazione
•    che i parametri di processo, quali temperatura, ph, concentrazione salina, essendo ottimali, hanno impedito la sopravvivenza di germi patogeni

Le sostanze azotate del latte, che determinano la buona riuscita della cagliata, sono distinte in:
•    proteine totali   - caseine, sieroproteine (albumine, immunoglobuline, ecc )
•    sostanze azotate non proteiche  - urea, creatinina, nucleotidi, ecc

In realtà le espressioni con cui ci si riferisce al contenuto proteico sono molteplici ed hanno precise diferenze: per proteine totali si intende la quantità di azoto totale, per proteine vere si intende la differenza tra proteine totali e sostanze azotate non proteiche; per contenuto di caseina si intende la quantità di caseina presente nel latte espressa in grammi; per indice di caseina si intende il rapporto tra quantità di caseina e quantità di proteine totali.

Questo per dire che fare un’analisi precisa del contenuto di caseina per tenere monitorata la qualità ai fini produttivi era una cosa difficile da gestire. Con gli strumenti classici si stabiliva che il latte era ricco di sostanze azotate e dunque idoneo alla caseificazione, punto e basta. I sistemi per la determinazione analitica della caseina erano: il metodo di Kildal, che calcola il valore della caseina in base al coefficiente di conversione dell’azoto contenuto nel latte campione; il metodo dell’amido nero, che colorando la proteina le rende visibile.

Grazie ad un nuovo strumento analitico all’infrarosso,  lo staff di Brescia è in grado di analizzare anche 500 campioni di latte all’ora e questo consente di individuare sensibilmente le varianti della composizione del latte e conseguentemente della qualità della caseina in esso contenuto.

Il sistema della Spettrofotometria nel medio infrarosso si basa sull’assorbimento dell’energia emessa da un raggio infrarosso a specifiche lunghezze d’onda da parte dei trigliceridi, da parte dei legami peptidici e da parte dei gruppi idrossilici. La possibilità di quantificare la caseina è essenzialmente dovuta alla diversa composizione fra caseina e le sieroproteine in termini di fosforo e di amminoacidi solforati. Questo provoca una differenza nell’assorbimento energetico che permette allo strumento di discriminare le diverse frazioni proteiche del latte.

Si è scoperto che l’andamento dell’indice di caseina non è affatto costante ed uniforme. Non solo è fortemente influenzato dalle condizioni climatiche e stagionali ed ovviamente anche dall’ origine genetica di una determinata selezione bovina, ma si è potuto individuare come fondamentali responsabili della variazione della composizione azotata del latte siano le infezioni del bestiame, che provocano la formazione di proteine di origine infiammatoria come l’urea. Per esempio con i vecchi sistemi di analisi, in forte presenza di urea si aveva un aumento percentuale di sostanze azotate nel latte, senza aver la percezione che potesse essere un valore negativo.

ECOSISTEMI ACQUATICI

ECOSISTEMI ACQUATICI

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Tutti gli ecosistemi acquatici sono caratterizzati da vari fattori abiotici, i più importanti dei quali sono la salinità e la temperatura, oltre alla densità, il colore. La trasparenza e la quantità di gas disciolti in acqua.

LA SALINITA’
La salinità corrisponde al peso i grammi dei gas disciolti in 1 kg di acqua. La salinità aumenta o diminuisce con l’aumentare o il diminuire della temperatura. Assumono particolare importanza l’azoto e il fosforo che regolano la produttività primaria.

LA TEMPERARURA
La temperatura superficiale varia al variare della latitudine, delle stagioni ed è influenzata dalle condizioni geografiche e dalle correnti. Il trasporto del calore in profondità avviene per conduzione o per convezione.

LA DENSITA’
La densità è il rapporto tra la massa di un corpo e il suo volume. La densità dell’acqua è influenzata dalle variazioni della salinità e dalla temperatura.

LA TRASPARENZA, IL COLORE E LA PENETRAZIONE DELLA LUCE
Il colore del mare, dipende da svariati fattori ed è intimamente legato alla trasparenza e alla penetrazione delle radiazioni. I massimi valori di trasparenza si registrano nelle zone più calde e i minori, quindi, nelle zone più fredde. Ci sono tre zone: Zona eufotica, ben illuminata, zona oligofotica,con poca luce e zona afotica,senza luce.

I GAS DISCIOLTI
L’acqua di mare contiene in soluzione gli stessi gas costituenti l’atmosfera.

LA PRESSIONE
La pressione è la forza esercitata sull’unità di superficie.

I MOVIMENTI DEL MARE
Le acque degli oceani e dei mari sono caratterizzate da movimenti di diverso tipo, di cui i principali sono le onde, le maree e le correnti. Alta marea flusso e bassa marea riflusso. 2 tipi di correnti: di densità e di vento.

ECOLOGIA: DEFINIZIONI

 
definizioni di ecologia 
1. Bioma: insieme delle comunità animali e vegetali che occupano regioni intere;es.:tundra, savana, prateria.

2. Ecosfera: insieme di biosfera (insieme organismi viventi) + atmosfera (aria) + litosfera (terra) + idrosfera (acqua).

3. Ecosistema: unità funzionale di base dell’ecologia composto da organismi viventi e dal loro ambiente abiotico.

4. Leggi di conservazione dell’energia: l’energia non può essere creata nè distrutta ma solo trasformata.

5. Legge del costo dell’energia: ogni trasformazione energetica comporta perdite sotto forma di calore che viene disperso nell’ambiente.

6. Legge del minimo (Liebig): la crescita di una pianta dipende dalla risorsa presente in quantità minima.

7. Foto sintesi clorofilliana: 6H2O + 6CO2 + ATP  C6H12O6 + 6O2.

8. Steno ed Euri: relativamente, che non riescono a sopportare grandi variazioni e che riescono a sopportare grandi variazioni.

9. Stenotermi ed Euritermi: relativamente alla temperatura.

10. Stenoalini ed Eurialini:relativamente alla salinità.

11. Ecotipo: popolo adattato ad una certa condizione ambientale.

12. Composizione della luce: 10% UV, 45% infrarossi, 45% luce visibile.

13. Fototropismo: reazione di movimento causato dalla luce.

14. Autotrofi: organismi biotici che sono in grado di prodursi il cibo.

15. Eterotrofi: organismi biotici che non sono in grado di prodursi il cibo.

16. Fotosintetici: autotrofi che si producono il cibo tramite l’energia del sole.

17. Chemiosintetici: autotrofi che si producono il cibo tramite l’energia chimica.

18. Anaerobi: organismi che per vivere non necessitano di aria.

19. Aerobi: organismi che per vivere necessitano di aria.


20. Molecola: insieme di più atomi.

21. Atomo:la particella più piccola di un elemento che mantiene le proprietà chimiche dell’elemento stesso, inizialmente definita non divisibile, ma recentemente è stato scoperto che è formata da Protoni (carica positiva), Elettroni (carica negativa), Neutroni(carica neutra).

22. Numero atomico: identifica il numero di protoni e di elettroni contenuti in un atomo.

23. Isotopo: una di due o più forme di atomi aventi lo stesso numero atomico ma differenti masse atomiche.

24. Materia: tutto ciò che esiste ed ha massa.

25. Massa: quantità di materia posseduta da un corpo; è anche la misura della sua inerzia.

26. Massa atomica: è la quantità di materia che compone un atomo somma.

27. Inerzia: resistenza che il corpo oppone a tutte le variazioni del suo stato di quiete o di moto.

28. Peso: è l’espressione della forza di gravità.

29. Densità: massa di un materiale per unità di volume (se il volume aumenta, la densità diminuisce).

30. Temperatura: in chimica è lo stato termico di un corpo ; in ecologia è il calore raggiunto in un certo luogo.

31. Temperatura: agitazione delle particelle di un corpo.

32. Isoterme: linee che uniscono punti terrestri con la stessa temperatura.

33. Endoergonici: processi che richiedono energia.

34. Esoergonici: processi che rilasciano energia.

35. Psicrofili: organismi che vivono a temperature inferiori a 0°.

36. Mesofili :organismi che vivono in ambito intermedio fino a 35°.

37. Termofili: organismi(batteri) che vivono a temperature vicine all’ebollizione.

38. Omeotermi: animali che mantengono costante la temperatura del proprio corpo.

39. Effetto serra: fenomeno per cui i raggi solari (UV) captati dalla terra vengono trasformati in raggi infrarossi che non riescono ad attraversare i gas serra.

40. Traspirazione: rappresenta la maggior perdita di acqua in una pianta.

41. Ciclo biogeofisico: ciclo vitale a cui partecipano tutti gli organismi viventi.

42. Ciclo biogeochimico: ciclo che riguarda gli elementi.

43. Idrofili: organismi che vivono in acqua.

44. Idrofili: organismi che vivono in umidità.

45. Mesofili: organismi che vivono con poca acqua e tollerano momenti di carenza.

46. Xerofili: organismi che vivono quasi senza acqua.

47. Calore specifico: è la quantità di calore necessaria per fare aumentare di 1°C la temperatura di 1 Kg di quella sostanza; il calore specifico dell’acqua è il più alto.

48. Occorre più calore per scaldare acqua che aria e/o terra.

49. Climatogramma: grafico che indica il clima in zone in un determinato periodo.

50. Climi:
• Megatermico umido > 18°C
• Arido vario
• Mesotermico umido tra 3 e 18°C
• Microtermico > di 10°C e < di –3°C
• Polare < di 10°C

51. Fattori biotici: organismi produttori consumatori e degradatori(1°detritivori
2° degradatori).

52. Pedosfera: la parte più superficiale della terra.

53. Fattori podologici: i fattori legati alla pedosfera.

54. Fermentazione: C6H12O6  2CH3CH2OH + 2CO2 + 22 Kcal/mole.

55. Solubilizzazione: CO2 + H2O  H2CO3  H+ + HCO3-.

56. Enzimi Endocellulari: particolari enzimi contenuti nelle cellule che utilizzano l’N2 per la costruzione di aminoacidi.

57. Aminoacidi: costituenti delle proteine.

58. Lettiera: accumulo di residui morti oppure escrementi di animali che poi si trasformano in humus.

59. Batteri nitrosatori: batteri che trasformano quello che non è ammoniaca in acido nitroso.

60. Organismi azoto fissatori: organismi in grado di utilizzare l’N2 atmosferico facendolo reagire all’interno del loro citoplasma trasformandolo in azoto utilizzabile dalle piante superiori.

61. Simbiosi: rapporto di mutuo vantaggi tra pianta e batteri.

62. Sovesci: le radici e i noduli permangono nel terreno arricchendolo di azoto con la loro decomposizione.

63. Dendrificazione: consiste nel ritrasformare i nitrati in protossido di azoto.

64. Ipertrofizzazione: esagerato nutrimento.

65. Eutrofizzazione: ben nutrito.

66. Fosforo: componente necessario per le cellule.

67. il ciclo della catena alimentare: produttori  erbivori  carnivori  decompositori.

68. Defosfatazione: eliminazione del fosforo presente nelle acque di scarico mediante opportuni processi.

69. Clostridium, Proteus, Salmonella: batteri decompositori anaerobi.

70. Solfobatteri: costituiscono il primo anello della catena alimentare.

71. Piogge acide: causate dall’acido solforico combinato all’acqua.

L'ENTROPIA

 


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L’entropia è la probabilità che un certo stato abbia di verificarsi.

E’ il logaritmo della probabilità.

Certi casi si possono verificare più probabilmente di altri.

L’entropia è una grandezza che si vuole introdurre per caratterizzare i fenomeni reali, e quindi irreversibili, differenziandoli da quelli reversibili.

Per esempio: una determinata quantità di calore ha in se una diversa potenzialità nel trasformarsi in lavoro meccanico a seconda della temperatura in cui si trova. Più la temperatura è bassa, minore è il lavoro. L’entropia è il rapporto tra la quantità di calore scambiata e la temperatura assoluta.
La quantità di calore scambiata da una reazione reversibile, sarà maggiore della quantità di calore i una trasformazione irreversibile.
La variazione di entropia che si ha in una trasformazione irreversibile è maggiore di zero.

L’entropia (grandezza additiva) è una funzione della probabilità (grandezza prodotto).
L’entropia deve essere  additiva e deve essere una funzione, per cui l’evento prodotto è determinato dal prodotto delle probabilità.

Funzione crescente. L’entropia di un sistema è la somma delle singole parti; è la probabilità del sistema di avere le sue componenti in un certo stato.

Nell’universo, l’entropia non potrà mai diminuire. L’aumento dell’entropia è indice dell’aumento del disordine e dell’aumento della asimmetria.
Il sistema evolve verso lo stato che ha una maggiore probabilità di verificarsi.

PI GRECO: MATEMATICA, STORIA, LETTERATURA E...

La costante matematica π (si scrive "pi" dove le lettere greche non sono disponibili) è utilizzata moltissimo in matematica e fisica. Nella geometria piana, π viene definito come il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio, o anche come l'area di un cerchio di raggio 1. Molti libri moderni di analisi matematica definiscono π usando le funzioni trigonometriche, per esempio come il più piccolo numero strettamente positivo per cui sen(x)=0 oppure il più piccolo numero che diviso per 2 annulla cos(x). Tutte le definizioni sono equivalenti.
π è conosciuto anche come la costante di Archimede (da non confondere con i numeri di Archimede), la costante di Ludolph o numero di Ludolph. Contrariamente ad un'idea comune, π non è una costante fisica o naturale, quanto piuttosto una costante matematica definita in modo astratto, indipendente dalle misure di carattere fisico.
Le prime 64 cifre decimali di π sono (sequenza A000796 del OEIS) :
3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 592

UN PO’ DI STORIA...

Un versetto poco noto della Bibbia riporta:
E costruì un bacino di metallo, lungo dieci cubiti da un capo all'altro: era rotondo, alto cinque cubiti: e la circonferenza era di trenta cubiti. (I Re 7, 23)

Lo stesso verso è riportato in II Cronache 4, 2. Si trova in una lista di specifiche per il grande tempio di Salomone, costruito intorno al 950 a.C. ed il suo interesse per noi è che fornisce π = 3. Non è certo una stima accurata e non lo era neanche in quei tempi, giacché i valori egiziani e mesopotamici di 25/8 = 3.125 e  10 = 3.162 risalgono a date ben anteriori: sebbene in difesa dei costruttori di Salomone debba essere notato che l'oggetto descritto era costituito da un'unica colata di ottone molto ampia, dove un alto grado di precisione geometrica non era possibile né necessario.Ci sono alcune interpretazioni di ciò (se il diametro fosse misurato internamente e la circonferenza esternamente, ad esempio) che conducono a un valore molto più accurato.
Il fatto che il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio sia costante è noto da così lungo tempo che la sua origine è pressoché irrintracciabile. I più antichi valori di π, compreso il valore biblico di 3, erano certamente stati trovati per misura. Nel papiro egiziano di Rhind, datato intorno al 1650 a.C., c'è chiara evidenza che 4(8/9)2 = 3.16 sia assunto come valore di π.
Il simbolo "π" per la costante di Archimede è stato introdotto nel 1706 dal matematico inglese William Jones, benché lo stesso simbolo fosse stato utilizzato in precedenza per indicare la circonferenza del cerchio. La notazione diventò di uso comune dopo che la utilizzò Eulero. In entrambi i casi π è la prima lettera di περιμετροσ (perimetros), che significa «misura attorno» in greco. Inoltre il simbolo π venne usato all'inizio dallo stesso William Jones che, nel 1706 lo usò in onore di Pitagora (l'iniziale di pitagora nell'alfabeto greco è appunto Π, ma trattandosi di un numero si preferisce usare la minuscola). Tuttavia, ancora nel 1739 lo svizzero Eulero usava il simbolo "p".

UN PO' DI  LETTERATURA ...

Anche Dante nel canto XXXIII del Paradiso esprime il concetto del “π”, quando arriva alla visione di Dio nei versetti 133-135:
Quale è ‘l geomètra che tutto s’affligge
Per misurare lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,…


Come il matematico che si concentra completamente
Per trovare la misura del cerchio, e non trova,
pur impegnandosi con il pensiero, il principio matematico di cui egli ha bisogno,…

Questo è stato un suggerimento datoci dal nostro professore di storia e filosofia, che ci ha inoltre fatto ragionare sul significato filosofico di questo valore matematico. Infatti stiamo studiando in questo periodo filosofi che ritengono la figura dell’uomo una nullità a confronto della verità assoluta; lo stesso è per “π” in quanto è composto da infinite cifre decimali, di cui ne sono state scoperte solo una parte infinitesimale in confronto al totale.

...E  QUALCHE CURIOSITA'....


Che cosa è pi?
Pi greco o pi per gli amici è definito come il rapporto fra una qualsiasi circonferenza C e il il suo diametro d=2r.
 = C/d = C/2r
Pi è un numero irrazionale e trascendente
. Ecco le sue prime 999 cifre decimali.
Le prime 999 cifre di pi greco.
Meno di un granello di sabbia nell'Universo.

3.14159265358979323846264338327950288419716939937510582097494459230
7816406286208998628034825342117067982148086513282306647093844609550
58223172535940812848111745028410270193852110555964462294895493038196
44288109756659334461284756482337867831652712019091456485669234603486
104543266482133936072602491412737245870066063155881748815209209628292
5409171536436789259036001133053054882046652138414695194151160943305727
03657595919530921861173819326117931051185480744623799627495673518857527
248912279381830119491298336733624406566430860213949463952247371907021798
6094370277053921717629317675238467481846766940513200056812714526356082778
57713427577896091736371787214684409012249534301465495853710507922796892589
235420199561121290219608640344181598136297747713099605187072113499999983729
7804995105973173281609631859502445945534690830264252230825334468503526193118
81710100031378387528865875332083814206171776691473035982534904287554687311595
6286388235378759375195778185778053217122680661300192787661119590921642019...


Un aneddoto su John Horton Conway (un celebre matematico inglese)


"Un giorno decisi di imparare a memoria le prime mille cifre del pi greco - ricorda Conway - stimolato da mia moglie Larissa, una matematica di origine russa, che aveva bisogno del valore di π e non ricordava che 3,14. Le insegnai le prime cento cifre che ricordavo già a memoria. Ma questo a lei non bastava e, visto che anch'io non sapevo andare oltre, decidemmo insieme di programmare lo studio di cento nuove cifre ogni giorno, per arrivare almeno a mille, da imparare nei momenti in cui eravamo insieme, al di fuori del nostro lavoro".
"E' stato divertente - continua Conway - perché ogni domenica facevamo una passeggiata fino a Grantchester, una graziosa, piccola cittadina vicino a Cambridge e lungo il percorso recitavamo a turno i gruppi successivi di 20 cifre del π, come fossero piccole poesie. Venti cifre io e venti cifre mia moglie e così di seguito, alternandoci nella recita: in questo modo siamo arrivati a memorizzare le mille cifre del pi greco".

Come ricordare pi?

Esistono molte frasi o filastrocche in diverse lingue che permettono di ricordare a memoria un certo numero di cifre di pi.

Ecco tre esempi in italiano.
Ave o Roma o Madre gagliarda di latine virtù che tanto luminoso splendore prodiga spargesti con la tua saggezza.

Qual è il segreto?
Ogni parola rappresenta una cifra di pi. Per sapere quale, basta contare le lettere.

Ave    o    Roma    o    madre    gagliarda    di    latine    virtù    ...
3,    1    4    1    5    9    2    6    5    ...

Ecco alcuni esempi in inglese

How I want a drink, alcoholic of course, after the heavy chapters involving quantum mechanics. One is, yes, adequate even enough to induce some fun and pleasure for an instant, miserably brief.

Oppure:

But a time I spent wandering in bloomy night;
Yon tower, tinkling chimewise, loftily opportune.
Out, up, and together came sudden to Sunday rite,
The one solemnly off to correct plenilune.




UNA POESIA PER CELEBRARE  LA GIORNATA DEL PI GRECO

3,1415926535897932384626433832795028841971693993751058209749445923078164062862089986

Più o meno è forse Archimede il grande genio
che trovò pensando soluzioni incerte disegnava con il suo
compasso gran cerchi su sabbia nuda per far imparare
con le formule gradevoli forme … lo travolse gridando
ieri l'incredulo soldato e adesso piangiamo con amorevole
rimpianto lui fervido genio è! Amato studioso fu!
Studiando disegni fece progressi veri così sarem discepoli
di lui! Precoce studente o somaro vero!
Guarda ai postulati impara ma … poliedri platonici ricordati
studiare dovrai