martedì 20 dicembre 2011

JUAN GINES DE SEPULVEDA



Juan Ginés de Sepúlveda (PozoblancoCordoba 1490 - 1573) è uno scrittore umanista di origine spagnola che nei vari trattati sostenne l'inferiorità degli "indios" e la necessità della "conquista" per portare l'evangelizzazione nelle Americhe.
Sepúlveda definiva i nativi americani come uomini humuncoli, cioè esseri inferiori rispetto alla razza umana.
Gli si opponevano soprattutto i pensatori dell'Ordine Domenicano: la scuola di Salamanca e Bartolomeo de Las Casas, secondo cui i nativi americani sono uomini come noi, con tutti i nostri stessi diritti, basandosi sulle dottrine di Tommaso d'Aquino, uno dei principali studiosi occidentali del diritto naturale.
Nel periodo delle prime spedizioni nel nuovo mondo, in Europa si diffuse un immagine negativa dei nativi americani, che venivano definiti rozzi, aggressivi e violenti, ma privi di coraggio e di intelligenza. Spunti reali alle critiche erano offerti dal fatto che alcuni popoli sudamericani offrivano alle loro divinità sacrifici umani.
Nei suoi scritti si può appurare come elogi i conquistadores che, secondo lo scrittore, portarono la civiltà e il Vangelo a questi popoli dalla quale sono distanti quasi quanto gli uomini dalle bestie.
In uno scritto del 1547 La scoperta dei selvaggi, descrive i selvaggi come popoli non del tutto privi di umanità, infatti tende a precisare che possedevano un minimo di istruzione anche se allo stato primitivo. Sepúlveda, e altri umanisti della sua epoca, tendono a evidenziarne alcune pratiche incivili come ad esempio il cannibalismo e i sacrifici umani.
Nel 1550 partecipò, presso Carlo V del Sacro Romano Impero, ad una grande disputa con Bartolomeo de Las Casas proprio sui nativi americani: il domenicano sosteneva che essi sono uguali a noi, contro le posizioni di Sepúlveda. La disputa si risolse a favore di De Las Casas. In ogni caso, la disputa, ebbe il compito di sottoporre alla coscienza cristiana l'analisi del problema dell'evangelizzazione dei nuovi popoli. Il punto più controverso fu quello di stabilire se era giusto fare la guerra per evangelizzare i nativi oppure no (come sosteneva Las Casas).
In base ad alcuni resoconti dell'epoca, i popoli nativi si sarebbero cibati dei resti dei corpi umani che erano stato sacrificati per i loro idoli, che Sepúlveda definiva il diavolo. Sepúlveda giustificava la guerra contro i nativi come un’opera propedeutica alla successiva evangelizzazione. Egli vide nei conquistadores degli angeli punitivi che sottomettevano gli "infedeli" per poi guidarli sulla retta via, ovvero quella della cristianità

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