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martedì 20 dicembre 2011

PONTIFEX

Bran era il re dei Britanni. Sua sorella sposò il re d’Irlanda, ma lui la trattava come una serva.
Così Bran decise di liberarla.
Con il suo esercito andò in Irlanda, ma al confine, un fiume li fermò.
Bran era alto e forte.
Disse: Colui che è capo, sia ponte !
Così si inginocchiò nell’acqua e i suoi soldati attraversarono il fiume sul suo corpo.
Questa leggenda impressionò i romanzieri romani the tradussero il termine “essere ponte”  con “Pontifex”
Da allora in poi, tutti gli Imperatori e Re vennero chiamati Pontifex Maximus.
In seguito anche il Papa è stato chiamato Pontifex.

IL COLONIALISMO EUROPEO

                 

INTRODUZIONE
L’approfondimento che abbiamo preparato sul colonialismo, prevede qualche cenno riepilogativo di quel che è stato il colonialismo antico e la nascita del colonialismo moderno che abbiamo affrontato l’anno scorso, proprio per poter meglio sviluppare l’argomento principale che sarà il cuore della nostra ricerca, ossia il colonialismo europeo nel 19°esimo secolo, con particolare riguardo ai continenti africano ed asiatico.
Infine accompagneremo brevemente l’evolversi di questo  processo che dal punto di vista storico, economico e sociale, ancora sta influenzando la nostra realtà contemporanea.

TERMINOLOGIA
Occorre chiarire che per “colonizzazione” si intende il processo di espansione e di conquista, mentre il termine “colonialismo” definisce più propriamente l’organizzazione politica, sociale ed economica intrapresa nei domini.
‘Colonialismo’ viene spesso usato come sinonimo di “imperia¬lismo”, mentre in realtà quest’ultimo ne è una forma più complessa, assunta nel corso della storia, ossia quando si passò dall’informalità del libero commercio all’assoggettamento diretto dei territori conquistati e precisamente durante il 19°esimo secolo.

Il colonialismo viene distinto in antico e moderno.

COLONIALISMO ANTICO

La colonizzazione è un fenomeno che risale ai Fenici ed ai Greci.
Si trattava di un tipo di colonizzazione, determinato soprattutto da carestie, lotte politiche o per il rifornimento di materie prime di cui la madrepatria era carente; prevedeva la fondazione di insediamenti stabili nei quali i cittadini che immigravano trasferivano il loro modo di vita, la loro civiltà, che si fondeva con quella delle popolazioni locali, dando origine a centri che sarebbero diventati fiorenti città. Parliamo dunque di un colonialismo economico, commerciale e demografico.

Diverse erano le forme del colonialismo romano, che era prevalentemente politico-militare, dettato dall'esigenza di controllare i confini ed acquisire terre da distribuire ai veterani.

   
IL COLONIALISMO MODERNO

Il ‘Colonialismo’ moderno ha inizio intorno al 1400 con i viaggi d’esplorazione ad opera dei primi conquistadores portoghesi che ambivano a  scoprire la via marittima delle Indie, con  l’obiet¬tivo di sfruttarne le ricchezze.  Le motivazioni di quella prima fase della colonizzazione furono senz’altro di tipo economico, soprattutto per la ricerca di metalli preziosi, ma anche di tipo religioso, per diffondere il cristianesimo e combattere gli infedeli, idee queste ultime, che circolavano specialmente in ambiente spagnolo. Ma abbiamo visto che vi furono anche motivazioni culturali, grazie allo spirito umanistico che andava diffondendosi in quegli anni, che coinvolse la curiosità degli intellettuali dell’epoca, spingendoli ad intraprendere lunghi viaggi alla scoperta di verità scientifiche e geografiche.
In questa prima fase, dunque, furono Spagna e Portogallo a finanziare viaggi di esplorazione. Citerei soltanto 3 tra le imprese memorabili

•    1488 Bartolomeo Diaz  doppiò Capo di Buona Speranza
•    1492 Cristoforo Colombo  scoprì l'America
•    1519-1522 Ferdinando Magellano compì in quasi tre anni la circumnavigazione del mondo; a questo proposito, proprio questa settimana, è stata diffusa la notizia che un gruppo di ricercatori ha scoperto come durante la circumnavigazione, Magellano venne sorpreso in pieno oceano pacifico dal ciclone El Nino le cui correnti resero la traversata estremamente più semplice per l’equipaggio ormai stremato da mesi di navigazione, rendendo possibile la conclusione di un viaggio che altrimenti si sarebbe interrotto. (la Stampa – 14-05-08)

Gli Spagnoli conquistarono quasi tutta l'America Latina,  distruggendo le antiche civiltà Maya, Inca e Atzeca: devastarono le società colonizzate, sottoponendole ad un intenso sfruttamento prima nelle miniere e poi nelle piantagioni.
Dobbiamo ricordare che nella mentalità degli uomini del tempo le popolazioni indigene erano considerate in modo differente: il conquistadore Colombo e lo scrittore umanista Sepùlveda, consideravano gli indigeni come animali, “humuncoli”, cioè esseri inferiori rispetto alla razza umana, mentre altri filosofi e pensatori del tempo come Montaigne e Las Casas li consideravano uguali agli europei.
Nel periodo che va dalla fine del 1400 ai primi anni del 1800 non solo portoghesi e spagnoli, ma anche olandesi, francesi ed inglesi fecero delle Americhe colonie di insediamento, basate sul sistema delle pianta¬gioni schiavistiche . Il continente africano diventò il fornitore di schiavi per le piantagioni d’oltreoceano.
Fra tutte le potenze commer¬ciali emerse l’Inghilterra che estese i suoi possedimenti su tutti i continenti ed iniziò ad utilizzare gli Stati Uniti ed Australia anche come colonie di popolamento.

L’accumulo di ricchezze in Europa, e soprat¬tutto in Inghilterra, forte della sua superiorità marit¬tima e commerciale e della sua più avanzata ed ef¬ficiente organizzazione, permise, verso la fine del secolo XVIII, lo sviluppo su vasta scala della produzione manifatturiera e diede il via alla rivoluzione industriale trasformando definitivamente i termini dell’economia mondiale. L’Inghilterra, pri¬mo paese ad operare la rivoluzione industriale, man¬terrà la supremazia e quindi il monopolio, anche coloniale, fino quasi alla fine del secolo XIX.

IL COLONIALISMO EUROPEO DEL 19°ESIMO SECOLO : L’IMPERIALISMO

Dal 19°esimo secolo la spinta espansionistica dei paesi europei continuò verso l’Asia e l’Africa.
La meta non fu più l’America, dove, nel frattempo erano iniziate le guerre d’indipendenza (1804-1825) che avrebbero portato le colonie spagnole  latinoamericane a conquistare l’autonomia dalla madrepatria.
(Abbiamo brevemente visto quest’anno quali cause innescarono il processo di rivoluzione: 1) la violazione dei vincoli del patto atlantico riguardante gli interscambi commerciali; 2) la limitazione del potere della Chiesa e l’abbattimento delle reducciones  3) la diffusione delle nuove idee illuministiche tra i creoli; 4) la consapevolezza che un’economia orientata all’esportazione non producesse benefici. La disputa tra Spagna e Francia fu la scintilla che fece scoppiare le rivolte che portarono via, via molti paesi latini all’indipendenza.)

In questo stesso periodo vennero abolite la schiavitù e la tratta degli schiavi.

AFRICA
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Nel periodo che precedette la realizzazione del canale di Suez  le potenze europee si limitarono a conquistare le coste, i porti e i punti strategici lungo le grandi rotte marittime. L’apertura del canale nel 1869 permise alle navi europee di accorciare notevolmente le rotte per raggiungere i paesi dell’Asia, infatti non era più necessario circumnavigare l’Africa, riducendo notevolmente i costi. Il Mediterraneo, dopo la scoperta dell’America, aveva perso la sua importanza commerciale, ma in questi anni si ripopolò di navi e riconquistò la sua antica posizione di centro del commercio mondiale.
Fu allora che i grandi esploratori cominciarono a penetrare nelle regioni interne dell’Africa, mentre dietro di loro marciavano gli eserciti coloniali che prendevano possesso, in nome dei rispettivi Stati, delle terre del continente africano.
Viaggi avventurosi, pieni di insidie, dalle malattie alle belve, fino a quel momento sconosciute. Gli esploratori inglesi Burton, Livingstone e Stanley esplorarono l’Africa centrale, scoprendo il lago Vittoria e penetrando fino alle sorgenti del Nilo, che fino a quel momento nessun geografo sapeva dove fossero. L’italiano Vittorio Bòttego esplorò l’Etiopia, l’Eritrea e la Somalia, mentre Pietro Savorgnan di Brazzà, grande esploratore, friulano d’origine ma francese d’adozione, visitò il vasto Congo (chiamato poi Brazzaville in suo onore)  per conto della Francia.
Francia e Inghilterra furono i primi Stati europei ad insediarsi in Africa: la prima estese i suoi territori partendo dall’Algeria  fino alla parte occidentale ed equatoriale del continente, mentre la seconda, entrò in possesso di un sistema coloniale che dal Cairo arrivava fino a Città del Capo, in Sud Africa.
Come avvenne in America, anche la colonizzazione dell’Africa comportò atrocità a carico delle popolazioni indigene. I Belgi in Congo costrinsero gli abitanti ai lavori forzati, dominandoli con regimi terroristici.
Più tardi, nei primi anni del ‘900, (ma vale la pena di ricordarlo in questo contesto storico) i tedeschi massacrarono gli Herero, una popolazione di pastori bantù che si ribellò alla colonizzazione delle loro terre sud-occidentali.
Possiamo ben dire che fu il primo genocidio del XX secolo perchè 65000 Herero, vennero deportati in pieno deserto ed avvelenati con l’acqua che le truppe tedesche distribuirono.

La spartizione dell'Africa meglio nota in inglese come “scramble for Africa”, traducibile in "lo sgomitare per l'Africa" sarebbe stata assai difficile se alcuni fattori non avessero semplificato il processo di conquista. La mortalità per febbri tropicali venne frenata dalla scoperta del chinino; la sostituzione del moschetto con nuovi fucili a percussione rese nettamente superiore gli eserciti europei rispetto alle difese africane.
La Conferenza di Berlino del 1884 e 1885, a cui parteciparono le maggiori potenze europee, fu uno dei tentativi per regolare la corsa all'Africa.
Tra i punti discussi vi furono:
•    la spartizione del Congo, che venne suddiviso tra Congo francese e Congo belga lungo il fiume Congo;
•    la libera navigabilità dei principali fiumi, essenziali vie commerciali, tra cui il fiume Congo ed il fiume Niger, in favore del libero scambio;
•    una risoluzione contro la schiavitù, che divenne illegale, ma restò ampiamente applicata in tutta l'Africa;
•    il principio di effettività, che sancì il possesso del territorio solo previa ratifica, secondo il principio per cui chi arriva prima può vantarne i diritti;
In particolare è il principio di effettività la molla che accelera lo "scramble for Africa": la necessità di giungere per primi in un dato territorio, nonché la necessità della sua occupazione reale per poterne rivendicare il possesso, porta ad una vera corsa nel tentativo di occupare un maggior numero di territori, che vennero poi delimitati dalle parti secondo trattati territoriali basati su confini astratti e fittizi.
Le dispute relative alla spartizione dell'Africa, ed il conseguente inasprirsi delle relazioni tra le grandi potenze dell'epoca, rientrano tra le cause del primo conflitto mondiale.
Nella cartina sottostante si possono vedere le suddivisioni territoriali.

INGHILTERRA
Il territorio coloniale inglese, come abbiamo già accennato, partiva dall’Egitto estendendosi fino al SudAfrica.
Non subito l’Inghilterra aveva mostrato interesse al canale di Suez,  la cui costruzione fu per anni curata dalla Francia in collaborazione con il governo egiziano. Solo nel 1875 il governo inglese riuscì ad appropriarsi delle azioni del Canale di proprietà del sovrano egiziano Ismail. Quando quest’ultimo annunciò che non avrebbe rimborsato il debito, Gran Bretagna e Francia assunsero insieme il controllo sulle finanze del paese e lo costrinsero ad abdicare. Successivamente alla repressione di una rivolta interna, la Gran Bretagna approfittò per instaurare la sua dominazione informale: fu lasciato all’Egitto la sua autonomia amministrativa, obbligandolo però a dipendere dai conquistatori per tutte le questioni economiche.
Con l’apertura del Canale di Suez, il Sud Africa, sino ad allora terra obbligata per la circumnavigazione, venne quasi dimenticato per un certo tempo nelle mani dei Boeri, coloni di origine olandese divenuti cittadini britannici.
Dopo un tentativo di conquista, gli inglesi lasciarono che i boeri sfruttassero i giacimenti d’oro sudafricani .... finchè non si scoprì che quella terra era anche ricchissima di giacimenti di diamanti. Dopo una serie di scontri, gli Inglesi tolsero ai Boeri le terre dello Stato Libero di Orange e del Transvaal, impossessandosi così dei ricchissimi di giacimenti minerari.
La filosofia del colonialismo inglese non interferiva nella cultura e nelle usanze locali, mantenendo ad esempio al potere sotto tutela inglese i capi tradizionali o lasciando il diritto di famiglia sotto la giurisdizione di corti indigene. Questo sistema di governo incontrava minori resistenze presso le popolazioni colonizzate ma privilegiava gli elementi più conservatori delle società indigene.

ITALIA
Le mire espansionistiche del governo italiano si indirizzarono verso una zona dell'Africa orientale nella quale l'insediamento coloniale appariva più agevole, sia perché esploratori e missionari avevano aperto un varco in quella regione, sia perché la concorrenza degli altri Paesi nella zona era meno agguerrita. Dopo aver acquistato nel 1882 la baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso, il governo italiano inviò i contingenti dell'esercito in quella che avrebbe formato la futura colonia di Eritrea, stanziandosi poi in Somalia e ponendo le basi per la successiva avanzata in Abissinia (ora Etiopia); ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l'Italia subì, il 1 marzo 1896, la pesante disfatta di Adua, nella quale caddero sul campo circa 7.000 uomini. Nello stesso anno fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. Il colonialismo italiano sarebbe stato rilanciato successivamente dal regime fascista.

FRANCIA
L'Africa Occidentale Francese comprendeva inizialmente le colonie francesi di Costa d'Avorio, Senegal, Guinea e Sudan, mentre Niger, Mauritania e Alto Volta (l'attuale Burkina Faso) si aggiunsero in seguito. Con il trattato di Bardo, nel 1881, stabilirono anche un protettorato sulla Tunisia.
Tutto quel vasto impero era un'evidente costruzione artificiosa, volta a soddisfare gli interessi economici della Francia. La colonia venne posta sotto l'autorità di un governatore francese di stanza a Dakar, in Senegal, che divenne capitale della federazione.
La Francia proponeva un modello filosofico e politico "assimilazionista" in cui gli africani potevano ottenere gli stessi diritti dei francesi se acquisivano la cultura e i valori della nazione francese. Nella pratica, tuttavia, le possibilità per gli africani di partecipare realmente all'amministrazione e agli affari pubblici su un piano di parità con i bianchi erano in realtà limitatissime.

GERMANIA
La colonia d’Africa Orientale Tedesca comprendeva gli attuali stati di Burundi, Ruanda e Tanzania (escluso l'arcipelago di Zanzibar).
La colonia fu fondata nel 1885 e cessò di esistere durante la Prima Guerra Mondiale, quando venne occupata dalle forze britanniche.
Pur non essendo interessata alla corsa coloniale in Africa, limitandosi ai modesti territori sulle coste occidentali e sud orientali, la Germania di quegli anni, retta dal Bismarck, il cancelliere di ferro, attuò una politica assai astuta, procurandosi alleanze.
All’interno dei paesi della colonia tedesca operava la Compagnia tedesca dell'Africa Orientale, un'organizzazione fondata dallo stesso Bismarck allo scopo di amministrare la colonia con l'autorizzazione ad agire per conto dell'Impero tedesco.
Tuttavia le continue insurrezioni delle popolazioni locali resero evidente che la Compagnia non era in grado di garantire il controllo dei territori assegnati. Fu quindi sollevata dall'incarico, e il governo tedesco iniziò ad amministrare direttamente i propri possedimenti in Africa orientale. La Compagnia mantenne una presenza minore nell'area, limitandosi a gestire alcune attività commerciali e piantagioni.

BELGIO
L'impero coloniale belga nacque come proprietà privata del re del Belgio Leopoldo II; egli organizzò il suo immenso possedimento, il Congo belga, 76 volte più grande del Belgio stesso, ricorrendo, come si seppe in seguito, ad un regime terroristico di sfruttamento della popolazione indigena.

RIFLESSIONI SULLA SPARTIZIONE D’AFRICA
La spartizione dell’Africa che seguì il congresso di Berlino favorì la costituzione di Stati organizzati per permettere un più efficiente sfruttamento delle risorse dei paesi e delle popolazioni dominate. La ricerca del profitto diventò una politica nazionale perseguita dagli Stati europei, finanziata con fondi pubblici, assistita dalla costituzione di apparati amministrativi e politici.

II ‘Colonialismo’ diventò il metodo di organizzazione della produzione basato sullo sfruttamento di una forza lavoro priva di diritti politici e sociali, che portava ad un trasferimento netto di ricchezza dalla colonia alla madrepatria, con un’economia orientata verso l’esportazione e non alla creazione di un mercato interno, cosicchè le terre assoggettate continuavano a produrre quello che non consumavano e a consumare quello che non pro¬ducevano.

Il danno arrecato all’Africa fu politico, economico ed addirittura psicologico e morale.
Le società africane vennero sconvolte nel processo di civilizzazione e la cultura preesistente venne sgretolata.

Per citare le parole di un’ attivista politica indiana (Arundhati Roy), “Stabilire i pro ed i contro del colonialismo è come dibattere i pro ed i contro di uno stupro”.
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BIBLIOGRAFIA
La bibliografia da cui ho elaborato il mio approfondimento, deriva da testi pubblicati su internet; in particolare dal “Dizionario di Politica”, che è una raccolta di materiale sul colonialismo sotto il profilo storico e politico.
Inoltre ho lavorato su una ricerca intitolata  “dal colonialismo alla globalizzazione”, pubblicata su un sito specifico di storia. Ho reperito altro materiale sul colonialismo in Africa e sui  grandi esploratori  dalle enciclopedie online.

PAOLO SARPI




Pietro Sarpi, nacque a Venezia nel 1552; giovanissimo, all’età di 14 anni, entrò nell'ordine dei Serviti (chiamati anche Servi di Maria), assumendo il nome di Paolo. Venne ordinato sacerdote a soli 22 anni. Si distinse presto per le sue capacità di studioso, sia nel settore umanistico sia in quello scientifico.
Assunse vari incarichi presso i Gonzaga di Mantova, tra i quali quello di teologo di corte; successivamente ricoprì anche prestigiose cariche all'interno dell'ordine religioso di cui faceva parte (dei Serviti, appunto)
Durante il conflitto tra Venezia e il Papa, in seguito al tentativo veneziano di sottoporre gli ecclesiastici ai tribunali laici e di limitare la proprietà ecclesiastica, operò come consultore ufficiale del governo, scrivendo diversi opuscoli di polemica anticuriale.
Condannato dall'Inquisizione e poi scomunicato, rifiutò di sottomettersi.
Nell'opera Storia dell'interdetto, il cui argomento è proprio il conflitto tra il Papa e Venezia, Sarpi riaffermò la necessità di separare il potere spirituale da quello temporale.
Questo periodo fu decisivo per la formazione della sua poliedrica personalità intellettuale: parallelamente agli studi religiosi e filosofici (conseguì la laurea in teologia a Padova), si dedicò con grande impegno a quelli scientifici, ed in particolare a ricerche sull’anatomia dell’occhio e sulla circolazione venosa del sangue.

Conobbe il naturalista napoletano Giovan Battista Della Porta, che studiava la realizzazione di uno specchio parabolico.

Intanto altre denunce giunsero al Sant’Uffizio nei suoi confronti: questa volta lo si accusava di aver frequentato ebrei e di aver negato l’aiuto dello Spirito Santo. Denuncia dalla quale fu scagionato, ma che inevitabilmente proiettò sul frate un’ombra difficile da dissipare nei sospettosi ambienti della curia romana. Ormai erano vane le speranze di Sarpi di ottenere, grazie al sostegno della Repubblica, una dignità ecclesiastica che gli assicurasse la possibilità di attendere più serenamente agli studi.

In questi anni, dalla meditazione dei problemi filosofici relativi alla conoscenza, nacque lo scritto Del nascere dell’opinioni e del cessare che fanno in noi (edito postumo nel Settecento con il più noto titolo di Arte di ben pensare).
Sempre in questo periodo Sarpi, fu artefice dei rapporti che Galileo Galilei ebbe con il governo veneziano in merito al telescopio. Grazie alle sue competenze di fisica, meccanica e ottica derivò lo scambio con Galilei, che gli sottopose la legge sulla caduta dei gravi e sperimentò con lui le potenzialità del cannocchiale.

In seguito al crescente conflitto tra Roma e la Serenissima, che si era rifiutata di consegnare alla giustizia ecclesiastica due religiosi macchiatisi di gravi reati comuni, Sarpi accettò la carica di consultore teologo, preparandosi ad affrontare i delicati rapporti con la Santa Sede. A lui si deve infatti una vibrante dichiarazione di protesta, la Risposta all’editto degli inquisitori.


Proprio per le sue idee antipapali fu oggetto di un attentato.
Dagli scritti del suo amico e biografo Fulgenzio Micanzio, in particolare da “Vita del Padre Paolo”, (trovato in versione integrale al sito http://www.intratext.com/X/ITA1654.HTM) possiamo conoscere i dettagli di questo attentato:
“Imperoché la sera delli 5 d'ottobre, circa le 23 ore, ritornando il padre al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, fu assaltato da cinque assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e restò l'innocente padre ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto.”
In sostanza, Sarpi riuscì a scampare a un agguato tesogli da cinque sicari, che gli diedero tre pugnalate, ferendolo gravemente. A tale attacco nei suoi confronti il Senato rispose prontamente, promulgando una legge speciale a tutela della sua sicurezza.

In questi anni intensificò le sue relazioni epistolari con vari esponenti di religione protestante: calvinisti, anglicani, studiosi di religioni orientali,  attirandosi ancor più l’odio della Chiesa cattolica.
Nel gennaio del 1609 non si lasciò intimidire nemmeno dal fallimento di un secondo attentato, messo in atto da altri due confratelli su mandato del cardinal Margotti.
La sua opera più celebre, pubblicata a Londra nel 1619 con lo pseudonimo di Pietro Soave Polano, è l'Istoria del Concilio tridentino, che venne subito tradotta in latino, tedesco, francese e inglese. In stile vivace si mostra l’intenzione papale di limitare la libertà del Concilio per impedire la riforma della chiesa. Nonostante il taglio polemico, gli storici hanno riconosciuto nel lavoro di Sarpi una precisione sorprendente dal momento che a quei tempi non era possibile avere accesso alle fonti vaticane.
Il suo stile, caratterizzato da semplicità strutturale e dall'uso di un registro linguistico medio, rifugge la ricercatezza retorica tipica del suo tempo, nell'evidente intento di farsi comprendere da un vasto pubblico.
Già ammalato dal 1621, poco dopo aver presentato il consulto Sopra una bolla pontificia in materia delli eretici abitanti in Italia, Sarpi morì a Venezia nel suo monastero, assistito dall’amico, collaboratore e biografo Fulgenzio Micanzio, il 15 gennaio 1623

I MAYA




Il territorio dove nacque e fiorì la grande cultura del popolo Maya è una vasta regione che gli studiosi suddividono in due diverse zone, corrispondenti a due diversi ecosistemi, nonchè a due culture vissute in periodi differenti.

➢    Zona centro/sud – antico insediamento - periodo classico
L’antico insediamento era a sud e comprendeva parte del Guatemala, parte di El Salvador e la zona occidentale del Chiapas, fino alla regione più centrale, in cui sorsero le città che segnarono l’apogeo della civiltà Maya, come Tikàl, Palènque e Copàn; queste città non avevano mura difensive ed i Maya erano miti agricoltori.
➢    Zona nord – insediamento tardo - periodo post-classico
Successivamente (ed inspiegabilmente) vi fu un esodo di massa verso l’area settentrionale, ovvero la parte più prominente della penisola dello Yùcatan, che ebbe una fioritura culturale piena più tarda rispetto alle regioni centrali, con le famose città di Tulùm, Merìda e Chichen Itza. Queste città erano dotate di mura difensive in quanto i Maya del secondo periodo si fusero con gli invasori Toltechi, dediti alla guerra.
 
Ho scelto di parlare dei Maya di questo ultimo periodo perchè ho visitato i siti archeologici di Chichen Itza, Cobà e Tulùm, situati nella penisola dello Yùcatan.

TERRITORIO

Prima di descrivere la civiltà Maya, è necessario spendere due parole sul territorio dello Yùcatan perchè è molto particolare: si presenta interamente pianeggiante ed il paesaggio è dominato da un’estesa foresta, la cui crescita è favorita dalle piogge intense. Ancor oggi la selva custodisce innumerevoli testimonianze del mondo antico e se si osserva con attenzione la distesa verde, si possono scorgere delle gobbe, là dove la foresta ha inghiottito antichi templi e piramidi.
Il suolo calcareo, risulta costellato di grotte, di lagune, di fiumi sotterranei che si congiungono con il mare e, soprattutto, di cenotes, una sorta di pozzi naturali con profondità variabile tra i due e i dieci metri che sono stati e sono tutt’oggi una preziosa fonte di approvvigionamento d’acqua per gli abitanti di queste regioni. Da notare il fatto che nello Yùcatan NON ci sono corsi d’acqua in superficie: sono tutti sotterranei.

RELIGIONE
Come ho già detto, i Maya che popolavano il territorio dello Yùcatan non avevano le stesse abitudini culturali e religiose dei pacifici Maya delle origini, perchè avevano subito l’influenza dei Toltèchi, una popolazione molto più bellicosa e sanguinaria, che infuse nuovi valori legati alla guerra ed al militarismo, nonchè il culto del dio Kukulcan, il serpente piumato.
I Maya avevano un’organizzazione culturale e sociale basata sulla figura del REGGENTE che poteva essere uomo o donna, ovvero una sorta di sciamano, di stregone in grado di comunicare con i morti.
Secondo la cultura maya erano i morti che facevano risorgere il sole ogni giorno.
Il reggente si perforava il corpo in varie parti, di solito la lingua o i genitali, per far uscire il sangue da far cadere sul terreno per dare energia ai morti affinchè potessero far risorgere il sole.
Ecco perchè essi costruivano le piramidi: per essere più vicini al cielo e dunque ai morti. Sulla cima della piramide vi è uno spiazzo con una stanza dove il reggente celebrava i suoi riti: si perforava, bruciava erbe allucinogene e andava in estasi, comunicando con gli antenati.
La popolazione riunita sotto alla piramide ossevava il fumo attorcigliarsi verso il cielo come un serpente.

SACRIFICI UMANI

Le molte raffigurazioni di sacrifici umani, hanno indotto gli storici a credere che i Maya li praticassero.
Abbiamo detto che i Maya del periodo post classico, sono stati fortemente influenzati dai loro invasori Toltechi, anche per quanto riguarda l’architettura e le decorazioni dei templi.
E’ nata così la credenza che dalla piramide tagliassero le teste e le buttassero nel cenote sacro. In realtà, ricerche recenti hanno dimostrato che nel cenote non ci sono scheletri e teschi se non quelli appartenenti a bambini deformi, che dunque venivano soppressi alla nascita, o scheletri di vecchi, probabilmente caduti nel pozzo per cause incidentali.
L’unico sangue che certamente veniva quotidianamente sparso a Chichen Itza era quello del reggente.

ASTRONOMIA, MAGIA, ARCHITETTURA E... SPORT

I Maya erano indubbiamente astronomi e matematici. Avevano messo a punto tre calendari: lunare, civile e sacrale.
La piramide di KUKULKAN a Chichen Itza è un gigantesco calendario.
Le 4 scale con 90 scalini ciascuna rappresentano 360 giorni; gli ultimi 4 scalini e la piattaforma completano il perfetto calendario maya di 365 giorni.
Nel giorno dell’equinozio di primavera il serpente scende dalla piramide per fecondare la terra. Gli architetti hanno creato la struttura in modo che l’ombra del sole sui gradini crei l’immagine del serpente che scende verso il cenote sacro. Allo stesso modo l’ombra del serpente risale verso la piramide il giorno dell’equinozio autunnale.
L’acustica è stata studiata in modo che il reggente dall’alto, parlando normalmente, potesse farsi sentire dalla folla in basso e viceversa.
Sempre nel sito di Chichen Itza,  che oltre alla piramide comprende sette templi ed innumerevoli altre costruzioni, troviamo il Caracol, che altro non è che un osservatorio astronomico, costituito da una scala a chiocciola (caracol, appunto) che conduce ad una cupola con feritoie, aperture e finestre studiate apposta per osservare le costellazioni.
In tutti i siti Maya di rispetto troviamo infine il campo per il gioco della pelòta. L’area di gioco è un rettangolo delimitato da due muri alti e paralleli, al cui centro sono inseriti due anelli di pietra in cui i giocatori devono riuscire ad introdurre la palla servendosi solo di fianchi, gomiti e ginocchia.
Pare che i vincitori venissero sacrificati... ma anche in questo caso non ci sono prove, se non leggende tramandateci dai primi colonizzatori.

CONQUISTA E COLONIZZAZIONE DELLO YUCATAN

I Maya non dettero vita ad uno stato accentrato ma a delle “città stato” e per questo motivo furono soprannominati “i greci d’america”. Questa organizzazione rendeva i Maya fragili ed indifesi.
Nonostante ciò la conquista dello Yucatan non fu facile e tantomeno rapida.
Gli Spagnoli ebbero grandi difficoltà a sottomettere gli abitanti della penisola e la conquista fu una campagna condotta a singhiozzo che durò vent’anni prima che il popolo Maya fosse completamente dominato. La spedizione dello Yucatan non ebbe nulla a che vedere con le conquiste rapide e per certi versi spettacolari con le quali gli Spagnoli vinsero la resistenza di altre popolazioni mesoamericane.
A contribuire al ritardo nella conquista della penisola fu in primo luogo lo scarso interesse dei conquistatori per una zona  dalle risorse poco stimolanti oltre al fatto che la mancanza di un’unità politica centralizzata indigena fu un fattore di ostacolo: Fransisco de Montejo dovette conquistare una per una tutte le provincie in cui era suddiviso il territorio maya.

Il periodo di colonizzazione e dominazione spagnola ebbe una durata di circa tre secoli, sino al 1821, data in cui il Messico si liberò del giogo della madrepatria ed acquisì l’indipendenza.

MICHEL DE MONTAIGNE



Michel Eyquem de Montaigne (Castello di Montaigne, 28 febbraio 1533 - Périgord, 13 settembre 1592) fu un influente e colto scrittore nonché insigne filosofo francese.
Più conosciuto con il semplice appellativo di Montaigne, nacque da Pierre Eyquem, ricco negoziante di Bordeaux, il quale ricevette il titolo nobiliare nel 1519 e che venne eletto sindaco della stessa Bordeaux nel 1554. Sotto lo stimolo del padre, iniziò lo studio dei classici in tenera età. Già a sei anni, Michel parlava correntemente il latino.
Nel 1558 incontrò Étienne de La Boétie, suo collega in parlamento, di tre anni più anziano, con cui strinse un'affettuosa ed intensa amicizia e del cui pensiero, intriso di stoicismo, subì l'influenza. Nel 1565 si sposò. La prima opera pubblicata da Montaigne (1568-1569), composta per accontentare un desiderio del padre, fu la traduzione della Teologia naturale di Raymond Sebond, teologo catalano del XV secolo.
Il solo avvenimento che segnò profondamente la sua esperienza fu la sua amicizia con Étienne de La Boétie, iniziata nel 1558. La prematura morte dell'amico, quattro anni dopo, lasciò un vuoto incolmabile in Montaigne, come risulta dalle espressioni commoventi contenute nel saggio De l'amitié:
Nel 1568 morì il padre, al quale Michel era stato molto legato. Dal 1570, ritiratosi nelle sue terre, si dedicò agli studi, alla meditazione ed alla composizione dei "Saggi" (Essais, opera pubblicata in tre edizioni nel 1580, 1588, 1595). Commentando i classici Plutarco, Seneca e Lucrezio, Montaigne analizzò la condizione umana e la quotidianità, con una rara capacità d'introspezione libera da pregiudizi.
Nel 1580 e nel 1581 effettuò viaggi in Francia, Svizzera, Germania ed Italia, nella speranza di trovare beneficio nelle acque termali per combattere la calcolosi renale di cui soffriva.
Nel 1587 fu assalito e derubato in viaggio verso Parigi, ed arrivato nella città, venne imprigionato per qualche ora, in seguito ai tumulti scoppiati. Nel 1588 il filosofo conobbe Maria de Gournay, un'appassionata ammiratrice delle sue opere. La morte lo sorprese nel 1592, mentre lavorava ai suoi Saggi.
 La ricchezza e la varietà di esperienze della sua vita ed il ruolo importante ricoperto danno un valore particolare alle sue osservazioni psicologiche ed alle sue incantevoli riflessioni morali.
L'opera del filosofo dà al lettore l'impressione che l'attività pubblica abbia impegnato l'autore esclusivamente nel tempo libero, ossia la sola cosa essenziale per Montaigne rimane la conoscenza di sé e la ricerca della saggezza. Nei Saggi viene raffigurato un uomo in tutta la sua complessità, consapevole delle sue contraddizioni, animato da due sole passioni: la verità e la libertà.
I più interessanti sono quelli di carattere eminentemente filosofico, che affrontano temi come l'educazione, l'amicizia, la virtù, il dolore, la morte.
Inoltre, ammira gli indigeni americani per la loro lealtà e semplicità di costumi, indi analizza la vera e la falsa amicizia affidandosi all'esperienza umana più che alle teorie astratte.

JUAN GINES DE SEPULVEDA



Juan Ginés de Sepúlveda (PozoblancoCordoba 1490 - 1573) è uno scrittore umanista di origine spagnola che nei vari trattati sostenne l'inferiorità degli "indios" e la necessità della "conquista" per portare l'evangelizzazione nelle Americhe.
Sepúlveda definiva i nativi americani come uomini humuncoli, cioè esseri inferiori rispetto alla razza umana.
Gli si opponevano soprattutto i pensatori dell'Ordine Domenicano: la scuola di Salamanca e Bartolomeo de Las Casas, secondo cui i nativi americani sono uomini come noi, con tutti i nostri stessi diritti, basandosi sulle dottrine di Tommaso d'Aquino, uno dei principali studiosi occidentali del diritto naturale.
Nel periodo delle prime spedizioni nel nuovo mondo, in Europa si diffuse un immagine negativa dei nativi americani, che venivano definiti rozzi, aggressivi e violenti, ma privi di coraggio e di intelligenza. Spunti reali alle critiche erano offerti dal fatto che alcuni popoli sudamericani offrivano alle loro divinità sacrifici umani.
Nei suoi scritti si può appurare come elogi i conquistadores che, secondo lo scrittore, portarono la civiltà e il Vangelo a questi popoli dalla quale sono distanti quasi quanto gli uomini dalle bestie.
In uno scritto del 1547 La scoperta dei selvaggi, descrive i selvaggi come popoli non del tutto privi di umanità, infatti tende a precisare che possedevano un minimo di istruzione anche se allo stato primitivo. Sepúlveda, e altri umanisti della sua epoca, tendono a evidenziarne alcune pratiche incivili come ad esempio il cannibalismo e i sacrifici umani.
Nel 1550 partecipò, presso Carlo V del Sacro Romano Impero, ad una grande disputa con Bartolomeo de Las Casas proprio sui nativi americani: il domenicano sosteneva che essi sono uguali a noi, contro le posizioni di Sepúlveda. La disputa si risolse a favore di De Las Casas. In ogni caso, la disputa, ebbe il compito di sottoporre alla coscienza cristiana l'analisi del problema dell'evangelizzazione dei nuovi popoli. Il punto più controverso fu quello di stabilire se era giusto fare la guerra per evangelizzare i nativi oppure no (come sosteneva Las Casas).
In base ad alcuni resoconti dell'epoca, i popoli nativi si sarebbero cibati dei resti dei corpi umani che erano stato sacrificati per i loro idoli, che Sepúlveda definiva il diavolo. Sepúlveda giustificava la guerra contro i nativi come un’opera propedeutica alla successiva evangelizzazione. Egli vide nei conquistadores degli angeli punitivi che sottomettevano gli "infedeli" per poi guidarli sulla retta via, ovvero quella della cristianità

BARTOLOMEO DE LA CASAS

Bartolomé de las Casas (Siviglia 1484 - Madrid 17 luglio 1566), fu un sacerdote domenicano spagnolo del XVI secolo.
Nacque a Siviglia, probabilmente nel 1484, anche se il 1474 viene indicato tradizionalmente. De Las Casas fu il primo ecclesiastico a prendere gli ordini nel nuovo mondo. Dopo essere stato "encomendero", si convertì leggendo la Bibbia. Così, nel 1515, entrò nell'ordine domenicano, che si era già schierato a favore dei diritti degli indigeni, ad esempio con Antonio Montesinos, e iniziò la sua instancabile battaglia a favore degli indios: egli condannò senza eccezioni il colonialismo e l'espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e attraversò molte volte l'oceano per portare in Spagna le sue proteste. Nei suoi testi Las Casas ci presenta una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell'umanità degli abitanti del nuovo mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, soprattutto di cultura umanistica.
Sotto la pressione di De Las Casas e dell'Ordine Domenicano, qualcosa cominciò a cambiare.
De Las Casas ottenne dall'imperatore Carlo V la liberazione per legge degli indios, ma l'applicazione delle "Leyes Nuevas" che la stabilivano fu resa difficile dalla resistenza dei conquistadores, che arrivarono ad uccidere i messi del re che cercavano di farle rispettare. In ogni caso, la condizione degli indigeni nei territori dominati dagli spagnoli risultò diversa da quella dei vicini territori portoghesi, dove la schiavitù rimase in vigore.
Anche se il sistema dell'encomienda non poté venir totalmente smantellato, in quanto sostenuto dalle classi coloniali spagnole che da esso traevano profitto, gli scritti di De Las Casas vennero tradotti e pubblicati in tutta Europa, influenzando ad esempio le opinioni del saggista Montaigne, e dimostrando la capacità della Spagna di riflettere su di sé e sulla propria storia.
Fu l'autore della monumentale Historia de las Indias.
In uno dei suoi ritorni in Spagna, de Las Casas fu in grado di aprire il grande dibattito del 1550, le Giunte di Valladolid, tra lui e il rappresentante del pensiero colonialista, l'umanista Juan Ginés de Sepúlveda, che sosteneva che alcuni uomini sono servi per natura e che la guerra è conveniente e giusta a causa della gravità morale dei delitti di idolatria, dei peccati contro natura e dei sacrifici umani. Anzi che l'assoggettamento avrebbe favorito la loro conversione alla fede. Invece secondo Las Casas non è lecita la guerra ma la conversione dei barbari e che gli indios sono buoni per natura ("senza malizia né doppiezza"): gli stessi sacrifici umani non sono tanto negativi se li consideriamo "indotti dalla ragione naturale" al punto che essi avrebbero peccato se non avessero onorato i loro idoli. Il processo e le discussioni durarono ben cinque giorni. Se i domenicani non appoggiarono nessuno dei due, il tribunale sembrava propendere per Sepulveda ma alla fine la disputa si risolse in un pareggio.
Da uno scritto di De las Casas: «..entrarono cristiani dando principio alle immense stragi e distruzioni di queste genti, facendo razzia dei loro raccolti, non accontentandosi di quello che gli Indiani davano spontaneamente. Quando gli Indios si accorsero che queste persone non erano venute dal cielo, cominciarono ad escogitare un modo per cacciare questi cristiani, i quali però forti delle loro armi fecero una strage, costringendo uomini e donne a lavorare nelle miniere per estrarre l'oro che arricchiva gli spagnoli.»
Nei suoi scritti De las Casas tende a denunciare le atrocità attuate contro gli Inca e ad evidenziare le qualità positive di queste popolazioni: ritiene ingiuste la violenza e la cupidigia, ma non è certamente contrario a diffondere il cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo De Las Casas trae quella spinta universalistica e quell'idea dell'uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l'opera e che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d'Africa.
Il suo tentativo di creare una società coloniale pacifica in Venezuela nel 1520 fallì, e la comunità venne massacrata da una rivolta indigena che, secondo alcuni critici, venne incitata dai vicini coloniali.
La fortuna di Las Casas come scrittore fu quasi assente in campo cattolico ma suscitò grandi entusiasmi in protestanti e illuministi. In effetti i suoi scritti divennero un formidabile strumento di propaganda che i nemici della Spagna ebbero a disposizione da quel momento in poi.
Alcuni resoconti sostengono che de Las Casas discendeva da una famiglia di conversi, ovvero di Ebrei costretti a convertirsi al Cristianesimo.
I resoconti da lui pubblicati sono documenti al centro della "Leggenda nera" delle atrocità coloniali spagnole.
Bartolomé de las Casas morì a Madrid il 17 luglio 1566.

CRISTOFORO COLOMBO

Cristoforo Colombo (Genova, 25 agosto o 31 ottobre 1451 - Valladolid, 20 maggio 1506) è stato un navigatore ed esploratore italiano.
Primogenito dei quattro figli (tre fratelli ed una sorella) di Domenico e Susanna Fontanarossa, poco si sa della sua vita fino al 1470. In una lettera lo stesso afferma di aver iniziato a navigare all'età di quattordici anni. Quel che si sa per certo è che nel 1470 la famiglia del futuro navigatore si trasferì a Savona, città nella quale il padre aveva rilevato la gestione di una taverna.
Verso il 1479 Colombo si trasferì a Lisbona, dove il fratello Bartolomeo lavorava come cartografo.
Fu probabilmente in questo periodo della sua vita, tra il soggiorno a Madera ed il successivo in Portogallo che nella mente di Cristoforo iniziò a prendere forma il disegno della rotta breve per le Indie.
Basandosi sulle carte geografiche del suocero, sui racconti dei marinai e sui reperti (canne, legni ed altro) trovati al largo delle coste delle isole dell'Oceano Atlantico, Colombo cominciò a convincersi che al di là delle Azzorre dovesse esserci una terra e che questa non potesse essere altro che l'Asia.
Dopo aver chiesto inutilmente al re Giovanni II la somma necessaria per il suo progetto, Colombo nel 1485, dopo la morte della moglie, si recò a Palos con il figlio.
Dopo essere stato a Cordoba ed a Siviglia, nel 1486 Colombo si presentò al cospetto di Ferdinando II di Aragona e di Isabella di Castiglia, ai quali presentò il suo progetto di raggiungere per mare il Catai ed il Cipango.
Ma una commissione riunita per vagliare le effettive possibilità di riuscita del viaggio bocciò la proposta.
Negli anni seguenti Colombo cercò varie volte di farsi ascoltare dalla corte spagnola e si rivolse pure, tramite il fratello Bartolomeo, ai re d'Inghilterra e di Francia. In seguito all'unificazione della Spagna con la conquista di Granada, Colombo, grazie all'intermediazione del francescano Juan Pérez, del duca di Medinaceli e del tesoriere di corte Luis de Santangel, raggiunse un accordo con Isabella.
Furono così allestite tre caravelle, la Santa Maria, di 150 tonnellate, capitanata da Colombo, la Pinta di 140 t. e la Niña di 100 t., al comando di due armatori di Palos, Alonso e Vicente Pinzón.

L'incapacità di comprendere le altrui culture e la convinzione della propria superiorità, sempre presenti nelle descrizioni di Colombo e degli altri viaggiatori e conquistatori, sono state messe a nudo dal semiologo bulgaro Tzvetan Todorov. Nelle seguenti pagine lo studioso rileva l'assimilazione al paesaggio ed alla natura dei nativi incontrati nelle scoperte dal navigatore genovese, e quindi la sottovalutazione delle loro religioni, culture e leggi - in sostanza della loro qualità di uomini civili.
Fonte: Da: T. Todorov, "La conquista dell'America. Il problema dell'«altro»", Einaudi, Torino, 1984

Colombo parla degli uomini che vede solo perché, dopotutto, fanno parte anch'essi del paesaggio. I suoi accenni agli abitanti delle isole sono sempre inframmezzati alle sue notazioni sulla natura: fra gli uccelli e gli alberi vi sono anche gli uomini.

Significative certe è  menzioni di Colombo sugli indiani:
”benché nudi, gli indiani sembravano piú simili a uomini che ad animali”
oppure
“Gli indiani si assomigliano perché sono tutti nudi, privi di caratteri distintivi”.

CATARI E ALBIGESI

La Chiesa cattolica a partire dal 1270 iniziò una vera e propria crociata contro le eresie.
Papa Innocenzo III equiparò l’eresia a delitto di lesa maestà e con il canone Excommunicavimus del quarto Concilio Lateranense  vengono formulate disposizioni per giudicare tutte le dottrine che avevano dogmi diversi da quello ortodosso.
La comunità catara era localizzata in Francia, al confine segnato dai Pirenei.
Erano cristiani che accettavano il Nuovo Testamento. Credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, in eterna lotta.  Erano dualisti, credevano in due Dei che avevano creato tutte le cose.
Si pensa che fossero custodi del Graal e che scappando lo avessero nascosto.
La figura di Cristo, coincideva con la dottrina cattolica. In realtà vi era una sfumatura filosofica in quanto non credevano in un Gesù fatto uomo ma di un di puro spirito.
Negavano quindi la sua morte per cui non adoravano la croce.
Non avevano battesimo, comunione, cresima ma un rito che ne riuniva i valori chiamato “consolamentum”
Erano vegetariani, non mangiavano carne, uova e latte, ma mangiavano il pesce.
Non si sposavano ed erano casti.
Infine essi erano tenuti al precetto di non uccidere, il che li mise spesso in forte crisi quando si trattava di difendersi durante la crociate e le successive campagne di persecuzioni dell'Inquisizione.
Per i Catari la Chiesa avendo accettato il potere e le ricchezze aveva scelto il male.
La Chiesa li condannò come eretici,  ed i nobili della Francia settentrionale presero le armi e partirono per quella crociata. Ai soldati che  chiedevano come avrebbero distinto i Catari dai cattolici,  venne risposto: "Uccideteli tutti, Dio li riconoscerà".
I  Catari che rifiutarono di ripudiare la propria fede vennero bruciati vivi. Caddero tutte le fortezze della regione dove i Catari avevano cercato rifugio La conquista territoriale era compiuta, ma il primo obiettivo della crociata, combattere l’eresia, fu una completa sconfitta.
Nel 1233 venne istituita l’inquisizione a cura dei domenicani avevano la missione di giudicare gli eretici (e di torturarli).
Più  di  200 "eretici" furono bruciati al palo di fronte alla cittadella. Il luogo è ancor oggi chiamato "Camp dels Cremats" (Campo dei Cremati) in lingua occitana. Quei pali divennero il simbolo del loro martirio.
Ebbe così fine l’eresia dei Catari.

CARLO MAGNO A BRESCIA

La leggenda racconta che Carlo Magno, conquistata Brescia longobarda nel 774, durante il viaggio di ritorno verso Parigi, abbia trovato in rovina il ponte sul fiume Mella, l’attuale ponte Crotte.  Scelse così la strada della collina, tra Cellatica e Collebeato, dirigendosi a nord, passando proprio dove adesso sorge il ristorante Carlo Magno.
Infine si fermò a Rodengo Saiano, importante crocevia determinato dall’intersezione di due antiche strade romane, dove si accampò con il suo esercito.
Quando venne il momento di celebrare la festa di San Dionigi, che lui aveva giurato di festeggiare a Parigi, risolse la questione decretando che questa terra sarebbe stata per lui come una "piccola Francia" e ordinò che così fosse chiamata tutta la zona circostante. Da qui il nome di Franciacorta.

Proprio a Rodengo Saiano, Carlo Magno avrebbe fatto erigere la chiesa dedicata appunto al santo francese Dionigi, come attesta l’effige posta sulla facciata dei resti della chiesa stessa: “Qui fu la chiesa di St. Dionigi Areopagita edificata da Re Carlo Magno nella sua seconda discesa in Italia l’anno DCCLXXVI” 

Nessun documento storico accerta la verità di questa leggenda.

Centinaia di sepolture di epoca medioevale fanno pensare piuttosto  ad un lungo assedio, con battaglie cruente e centinaia di morti fra i Franchi.

E’ vero anche che con la vittoria di Carlo Magno su Brescia arrivarono numerosi coloni francesi che si concentrarono soprattutto a Saiano professando la "lex salica". Da qui Saliani, Saiani, Saiano.
I legami di Carlo Magno con Brescia non sono stati solo militari ma anche affettivi. Ricordiamo che nel chiostro di San Salvatore, l’attuale  museo di Santa Giulia,  si è rifugiata la sua sposa Ermengarda, a morire di crepacuore.
Lei era innamorata di Carlo Magno e attendeva ogni giorno che lui venisse a riprenderla per riportarla a corte.

I RE MEROVINGI

I RE MEROVINGI

  
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Il nostro testo di storia definisce i re della dinastia merovingia “RE FANNULLONI”.
Questo curioso appellativo nasce dal fatto che questi re tradizionalmente non erano politicamente attivi; le funzioni di governo venivano svolte dai loro “MAESTRI DI PALAZZO” ovvero i primi ministri.

I re Merovingi si occupavano solo di questioni sociali ed il loro interesse principale era l’istruzione: erano avidi studiosi di scienza, medicina, filosofia, astronomia ed erano alla continua ricerca della sapienza. Erano dunque dei sapienti come i MAGI SAMARITANI e pare avessero la capacità di guaritori, grazie alle loro conoscenze esoteriche ed occulte.

Portavano i capelli lunghi, secondo la tradizione degli antichi re  della STIRPE DI DAVIDE e si ispiravano chiaramente al modello di RE SALOMONE.
Sono stati ribattezzati anche “RE DAI LUNGHI CAPELLI” oppure  “RE PESCATORI” e con loro misteriosi rituali hanno ispirato leggende e romanzi cavallereschi della tavola rotonda.

Il loro simbolo era il FAVO delle api, perché composto da prismi esagonali e considerato dai filosofi una manifestazione dell’ARMONIA della natura. L’APE è il simbolo della SAGGEZZA.

Quando venne ritrovata la tomba di Childerico I, figlio di Meroveo, il suo corpo era avvolto in un mantello ricoperto di api d’oro.