La donna è la protagonista assoluta della poesia STILNOVISTICA.
Non è più decantata per la sua bellezza, ma per la sua intelligenza angelica, con la quale diventa l’intermediaria tra l’uomo e Dio.
Attraverso la sublimazione del pensiero d’amore, la donna avvia l’uomo sulla strada della perfezione spirituale.
L’amore passionale, tematica che caratterizzava il poema cavalleresco, in cui le protagoniste venivano coinvolte in rapporti peccaminosi, spesso adulterini, viene con lo stilnovo trasformato in amore mistico, soprannaturale, religioso.
La poesia stilnovistica mette in atto un processo di elevazione, di spiritualizzazione dell’amore fisico al una contemplazione della donna come creatura angelica.
Addirittura possiamo parlare di materializzazione del Paradiso, inteso come metafora di suprema bellezza
mai preso un dieci in vita mia... perseguitato dalla sfiga, sono sempre stato interrogato su quello che non avevo preparato...però ho fatto tante ricerche, alcune persino curiose, che oggi ho deciso di pubblicare

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martedì 20 dicembre 2011
INFERNO - CANTO III
IVINA COMMEDIA - CANTO III
Nel momento in cui Dante presenta il tentativo di uscire dal male, egli deve precisare anche la natura di questo male.
Il mondo del male è ridotto ad una selva; l’immagine su cui Dante costruisce la SIMILITUDINE delle tre fiere.
Dante, con una perizia tecnica, utilizza nel verso 36 una PARONOMASIA. (fui per ritornar più volte volto) (mi voltai più volte)
Nei versi (32 e 42) si utilizzano FRANCESISMI come a la gaetta pelle (gaietta, screziata, variopinta).
La LONZA (31-43vv): rimanda al tema dell’amore, al tema della poesia amorosa che attraverserà tutta l’opera. Questo non esclude altri significati simbolici, infatti ve n’è uno politico-sociale, in quanto la lonza rappresenta Firenze e la borghesia.
La lussuria della lonza è in stretta connessione con altre motivazioni, oltre a quella fisica, come i dati culturali. Rappresenta anche la libertà di pensiero e per questo a salvare Dante e l’umanità del ‘300 sarà inviato un poeta: Virgilio.
Il LEONE nei versi 44 e 48 è la belva meno delineata. Il leone rappresenta la superbia feudale o la bestialità del regno di Francia.
Il bersaglio principale è la LUPA (vv 49-60, 88-111) che rappresenta l’avarizia universale e mercantile fiorentina, nonché malizia della corte papale.
Nel verso 52 si trova un PLEONASMO (questa = è superfluo perchè nel versetto c’è già il soggetto)
Nei versetti 100-111 si trovano molte CITAZIONI e SIMBOLI che sottolineano una caratteristica centrale del personaggio della lupa, cioè in avarizia come manifestazione della malizia. Per es. (dopo aver mangiato ha più fame di prima) ( si accoppia a tanti animali diversi) ecc ecc
Il male di cui Dante ci parla è un male morale. Male che colpisce le persone e le istituzioni: Comune – Chiesa – Sistema Feudale – Classi Sociale – Ceto Colto.
Le risposte che l’umanità si pone devono essere a livello morale e fornite da un saggio ( 73-75)
La scelta ricade giustamente su VIRGILIO, giustificata sul piano personale e culturale e ricade anche sul piano dell’intera umanità trecentesca.
Il singolo individuo può uscire dal vicolo cieco del peccato (13-30) ma viene subito frustrato dalla vita peccaminosa.
È quindi necessario l’uso rigoroso della ragione (67-87, 112-120), purchè quella ragione sia sorretta dalla grazia divina.
Dante dice che Virgilio fu offerto a lui. L’intervento di Virgilio sulla sorte di Dante avviene nel momento opportuno per pura grazia divina. Con questi elementi si contribuisce ad attribuire l’immagine di grande saggio a Virgilio, collocandolo in un “passato mistico”, cioè nell’età dell’oro del mondo pagano.
E’ un saggio che conosce tutto (82-84-91-111-112-120-127-129) e che sa trasmettere tutto a tutti (85-87). La proposta di salvezza passa attraverso la via evangelica francescana e la via dell’Impero.
Ma passa anche attraverso la cultura e la conoscenza di ciò che è bene e ciò che è male.
Non può esserci la salvezza del singolo senza quella dell’intera umanità. Appare quindi nella Commedia la profezia di un salvatore politico. Però bisognerà aspettare il Paradiso perchè la profezia si chiarifichi, in quanto è la sede della verità rivelata.
Il VELTRO di cui parla Dante che dovrà sconfiggere questa lupa, cioè il male, è un riformatore, un personaggio forte, forse politico o religioso, non viene specificato, ma che saprà opporsi alla lupa, la stanerà e la sconfiggerà. Il termine veltro identifica un cane da caccia.
E’ chiaro il riferimento ad una riforma di povertà evangelico francescana (110-115), promossa dal potere imperiale (106-111).
L’ambito morale-religioso si preciserà sempre meglio come ideale basato sul pauperismo (103-105-106) come restaurazione della Chiesa Evangelica che deve essere lontana dal potere e nutrirsi di sapienza, amore e virtù (104).
L’ambito politico (70-71-73-75-106-108-124-129) senza il quale il singolo non può effettuare il viaggio che lo condurrà verso il Paradiso, sarà quello della civiltà cortese del passato e del futuro, garantita dall’Impero.
I temi
Dante come nuovo Enea (portatore di idee)
Portatore di idee conformi al volere di Dio. La profezia non è puntale, anzi, Dante sembra che voglia renderla meno precisa.
Diventerà lo strumento dell’Impero della giustizia, manifestazione sulla terra dell’ordine universale.
Attraverso Dante si potrà risalire dai singoli fatti fino ai grandi disegni celesti.
La commedia è il mezzo per esprimere questo messaggio:
1. Dante rappresenta se stesso in quanto peccatore, ma anche l’umanità corrotta del suo periodo;
2. Dante è sia protagonista sia narratore
3. In quanto uomo ha bisogno di una guida
4. In quanto poeta e narratore ha bisogno della guida di un poeta sapiente
5. Il narratore non espone idee proprie, ma verità assolute con fine educativo, cioè riguardanti il piano morale ma anche il piano della scienza e politica
6. Le posizioni ideologiche sono quelle a cui Dante è giunto: per dire l’opera si può leggere come risultato dell’evoluzione dell’iter letterario.
7. Dalla presenza di Virgilio, dalla sua presentazione delle tesi culturali come verità assolute, deriva anche l’investitura di Dante come profeta-poeta. Egli cioè deve svolgere nei confronti di tutta l’umanità lo stesso ruolo che i profeti hanno avuto nei confronti di Israele. Come i profeti biblici erano poeti e cantori, così quest’opera è stata affidata ad un poeta che, come Virgilio, è saggio. La rivelazione della verità avviene secondo le modalità della poesia profetica. Ai versetti (vv 101-111) troviamo la profezia, piuttosto oscura.
Ai versetti (vv 31-54 riferimento alle fiere ) (vv 1-3 selva oscura) (vv 13-18 colle giunto e valle e poi i raggi del pianeta) (vv 60) la dove l sol tace = la selva oscura) ci accorgiamo di METAFORE ALLEGORICHE. Mentre ai versetti (vv 100-102) (vv 109-111) il tono è angosciato. Virgilio può svolgere il ruolo di mediatore nei confronti della poesia poetica perchè nell’immagine che il Medioevo aveva creato di lui, il poeta era profeta del cristianesimo (4° Egloga) (6° Eneide)
8. Siccome la realtà morale e politica contemporanea si pone come negativa, deriva la necessità di uscirne, necessità di un viaggio.
Narratività
Superamento di un’esperienza soggettiva: Dante deve rendere conto di ciò che sta vivendo.
Sul piano linguistico
Nei primi 12 versi si trova una reduplicazione di parole: anominazione per intensificare le sensazioni vissute.
INFERNO - CANTO III
La specificità
La specificità in questo canto è data dalla PORTA DELL’INFERNO, che indica la GIUSTIZIA DIVINA
Dal versetto 1 al versetto 9 c’è la scritta, l’insegna che si trova sulla porta dell’inferno. “per me si va alla città dolente...” ecc ecc cioè “attraverso di me” (la porta) “si va alla città dei dolenti...”
Nel primo versetto c’è anche un’ANAFORA “per me si va.. per me si va” cioè una ripetizione all’inizio della frase
Ai versetti 4-6, le parole indicano chiaramente il carattere provvidenziale di questa giustizia in quanto opera della Trinità Divina. “Giustizia mosse il mio alto fattore; facemi la divina podestate, la somma sapienza e ‘l primo amore.”
L’inferno è il luogo dei diavoli, non degli uomini.
Quando l’angelo Lucifero si ribellò a Dio, venne cacciato dal cielo. Precipitando verso la terra, Lucifero formò la voragine dell’Inferno, nella quale lo seguirono tutti quegli angeli che come lui scelsero di ribellarsi a Dio. Così Lucifero diventò il diavolo.
L’Inferno è la città del male.
Dio ha discriminato tra il bene ed il male, vita e morte.
Con la ANNOMINAZIONE “...dolente... dolore” e con l’ASTRATTO “eterno dolore”, Dante sottolinea la caratteristica dell’ambiente infernale.
L'annominazione è una figura retorica che consiste nella ripetizione di una stessa radice etimologica in più vocaboli diversi.
L’insistenza (v2 e v8) sul concetto dell’eternità, “etterno dolore” e in seguito “se non etterne io etterno duro” puntualizza la differenza con il mondo dei viventi.
Le parole sono forti e con il III canto Dante inizia ad usare un linguaggio duro: iniziano ad arrivarci i sospiri, i lamenti, le grida, i pianti, i guaiti in un crescedo di dolore.
In un ambiente come l’inferno era indispensabile una guida.
Virgilio, infatti, non si limita a spiegare, ma prende materialmente per mano il suo discepolo, quando questi gli domanda smarrito di non comprendere il significato delle parole iscritte sulla porta dell’inferno. Per ben 4 volte Dante si rivolge a Virgilio per chiedere spiegazione delle cose che vede e Virgilio risponde per 3 volte in modo affettuoso, prendendolo per mano. All’ultima domanda, quando Dante chiede chi sono quelli che vede sulla riva del fiume Acheronte, Virgilio si spazientisce e gli risponde bruscamente che vedrà a suo tempo.
Il canto è costruito a blocchi che non sono fusi, in quanto si riescono ad individuare sequenze ben distinte.
E’ uno schema a quadri chiusi. Secondo gli studi di Eric Auerbach, ricopia la struttura della Chanson de Geste.
La vigliaccheria è il primo male dell’inferno, dove vengono puniti gli ignavi.
La loro maledizione è di essere rifiutati sia dal bene che dal male.
Insieme alle anime degli ignavi, ci sono anche gli angeli che non hanno seguito nè Dio nè Lucifero ( vv 61-63) “a Dio spiacenti e a’ nemici sui”
L’invidia verso tutti i dannati, unitamente alla dimenticanza e sommo disprezzo dell’umanità, rappresentano l’essenza della pena dei vigliacchi.
La grandezza d’animo si oppone alla pusillanimità.
Le punte estreme bene/male sono rappresentate da personaggi influenti ( vv 58-60). Dante non fa i nomi, ma si presume che alludesse a papa Celestino V, che rinunciò al Pontificato, quando dice “fece il grande rifiuto”, quindi per Dante è un pusillanime.
La schiera interminabile di anime è la prova che la vigliaccheria è un male molto diffuso. Le anime sono costrette ad inseguire una bandiera.
Chi è stato pigro sulla terra, ora corre; siccome in vita non ha voluto prendere decisione, ora è costretto ad inseguire una bandiera.
Questi dannati sono nudi, punti da vespe ed il sangue delle loro ferite, mescolato alle lacrime, diventa pasto per i vermi ( vv 64-69).
Lo stimolo che li spinge ora è così vile perchè in vita non sono stati punti da ideali nobili.
Il Contrappasso è un’ALLEGORIA su cui è basata la pena: LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO è molto usato nella Divina Commedia. Tutte le figure presenti nell'Inferno e nel Purgatorio sono colpite da tale legge con punizioni adeguate alla loro condotta in vita.
Le anime degli ignavi che in terra predilessero una vita fatta di inerzie e di non parteciapazione sono condannate ad una corsa frenetica ed insensata.
Chi ha scelto l’anonimato della non-scelta, non merita di essere ricordato.
Anche Virgilio dice a Dante di non stare tanto a guardarli e di passar oltre.
Allora Dante alza lo sguardo verso il fiume Acheronte e vede altre anime. E’ a questo punto che chiede a Virgilio chi sono e ne riceve una risposta brusca. Mortificato, Dante si prefigge di non chiedergli più niente fino a che non vi fossero giunti.
Caronte è il primo guardiano infernale, barcaiolo, traghettatore di quel fiume.
Caron Dimonio, come lo chiama Dante, è un demonio medievale, frutto della culura classica. I tratti della sua malvagità (vv 82.87.97.99) sono presenti anche nell’Eneide!
Ma chi era un dio in quest’opera, in Dante diventa demonio.
Da ciò deriva il gridare scomposto, le lanose gote, occhi rossi “occhi di bragia”, caratteristiche tipiche del demonio.
Caronte pronuncia la prima profezia sul futuro: il poeta non è destinato a salire sulla sua barca, con altri mezzi e con altre destinazioni Dante raggiungerà l’eternità
“Per altra via, in altri porti verrai sulla spiaggia dell’eternità”
Virgilio spiega che Caronte trasporta anime in peccato mortale pertanto è un bene che non voglia traghettare Dante: è perchè sa che la sua anima è innocente.
Alla ragione umana classica spetta il compito di chiarire le parole di Caronte e dare una speranza di “salus”.
Alla fine del III canto Dante racconta che dopo le parole di Virgilio sentì un terremoto fortissimo, seguito da un gran vento che fece lampeggiare una luce rossa che lo fece svenire.
Nè Dante nè noi lettori sappiamo come sia stato trasportato al di là del fiume Acheronte.
INFERNO - CANTO V
Siamo sempre la sera del venerdì santo e Dante passa dal primo al secondo cerchio dell’Inferno.
Il luogo è più stretto: l’inferno è fatto come un imbuto e più si scende, più si restringe. La sofferenza si fa più grave.
Il custode del secondo cerchio, Minosse, il mitico re di Creta, confessa i dannati, applica le sanzioni divine e li distribuisce nei vari cerchi infernali, avvinghiandoli con la coda e lanciandoli in basso verso la destinazione che si meritano. Minosse è trasfigurato da Dante in un mostro grottesco, alla luce della cultura popolaresca medioevale: ringhia come un cane e castiga spietatamente. Vedendo Dante interrompe il suo ufficio e lo avverte di guardarsi da come entra nell'Inferno e da chi lo guida, che non lo inganni l'ampiezza della porta infernale (come a voler dire che entrare è facile ma uscirci no). Virgilio allora prende subito la parola e, come aveva già fatto con Caronte, lo ammonisce a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo, usando le stesse identiche parole: Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare.
Qui vengono punite le anime che hanno peccato di lussuria, quindi gli amanti, coloro che per passione hanno abbandonato la ragione ed hanno abbandonato la retta via.
Il contrappasso vuole che in vita siano stati trascinati dalla passione dei sensi mentre nell’Inferno siano trascinati dalla bufera.
Il quinto canto è il canto d’AMORE, concepito come dolcezza e come peccato ed insieme è il canto della PIETA’ concepita come la comprensione della fragilità umana e come presa di consapevolezza della coscienza.
Dante scorge Semiramide, l'imperatrice assira che cambiò le leggi del suo paese per rendere lecito il libero amore; Didone, la regina di Cartagine che morì per amore di Enea, nonostante avesse giurato eterno amore al marito morto; Cleopatra, l'amante di Cesare e Antonio; Elena, la cui bellezza fu la causa della guerra di Troia. E vede anche Paride, Tristano ed Achille.
Ma soprattutto il poeta incontra Francesca ed il suo amante, Paolo. La leggenda narra che Francesca da Polenta sposò Gianciotto Malatesta di Rimini, storpio e goffo, il quale aveva un fratello bellissimo e raffinato di nome Paolo.
Francesca e Paolo, complice la lettura del romanzo cortese di Lancillotto e Ginevra, si innamorano. Gianciotto scopre la tresca e li uccide entrambi.
Nel parlare con l’anima di Francesca, Dante si confronta superando quello che pensa sia il suo principale peccato.
Anche dal punto di vista letterario, Paolo e Francesca sono protagonisti di un romanzo cavalleresco, ma anche di un DRAMMA NUOVO. Dante utilizza la poesia precedente (cortese e stilnovistica) ma la giudica superata, moralmente colpevole,perchè l’amore è una cosa peccaminosa.
E’ in questo canto il famoso verso d’amore “amor, ch’al cor gentile ratto s’apprende.....” “amore, che subito accende i cuori gentili..”
È Francesca stessa che narra la propria miserevole vicenda al poeta, esponendo durante il colloquio le concezioni amorose del tempo, le stesse abbracciate dagli stilnovisti, Dante compreso. Si tratta di enunciati tratti dal “De Amore”, un prontuario di dottrina amorosa, scritto da Andrea Cappellano nel dodicesimo secolo ver 113/114 118/120 124/125
Nel V canto, per questi due amanti, Dante sceglie di descrivere il momento in cui loro due non sapevano di essere innamorati e vengono trafitti dall’amore e quel momento rimarrà scolpito per sempre. Lui sceglie quel momento e sarà il momento dell’eternità.
Dante vuol sapere come hanno fatto a capire che erano innamorati. Ciò interessa a lui personalmente, è proprio la sua domanda: come accadde che voi vi scopriste innamorati? E lei dice:
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Le parole di Francesca vengono accompagnate dal pianto di Paolo. E’ un momento bellissimo in cui lei racconta di quando, leggendo insieme a Paolo la storia di Lancillotto e Ginevra, si guardarono e si baciarono tremanti di passione.
Dante si impietosisce al racconto di Francesca, c'è in lui, sicuramente, complicità emotiva con i due amanti, che lo riportano alla sua giovinezza, quando egli stesso condivideva il medesimo ideale amoroso.
La commozione però non ha ragione delle considerazioni di carattere etico e non impedisce al poeta di condannare i due amanti.
Francesca è un'adultera che ha violato la sacralità del matrimonio. Pur con tutte le attenuanti è morta senza pentirsi ed è perciò una peccatrice anche se la sua nobiltà d'animo la riscatta agli occhi del lettore e commuove noi e il poeta, di cui ci colpisce ancor oggi la complessità dell'atteggiamento: di condanna e, insieme, di umana comprensione.
A parte l’intervento iniziale, Virgilio non parla per tutta la durata del V canto.
Non è un caso che Virgilio SIA MUTO da quando compaiono i ragazzi: la poesia classica che ha creato Didone rimane muta davanti al dramma romanzo (impostazione nuovo dramma, superato quello classico, superamento di una tradizione).
Specificità del canto
Temi chiave : amore, pace (forse ha capito male, non è pace ma pietà)
Terminologia che rimanda al francese:
mena, vi piace, lasso, passo, affannata nella letteratura francese, lai rimando
poesia dei lais autrice maria di francia
vers 71 riferimenti al cielo bretone
il riso
ver 113/114 118/120 124/125 riferimento a Andrea Cappellano (de amore) questo è confermato ed è evidenziato nel testo
Francesca : vittima della letteratura, come quelli che scambiano sull’immaginario dei romanzi alla realtà
Novelle,favelle, si legge imperatrice (guarda se il riferimento è per Sermiramide, l’imperatrice)
Più specifici RISO rispetto al passato BOCCA
Nel parlare con la prima anima dell’inferno Dante si confronta superando il suo primo peccato e tutta la letteratura cortese e stilnovistica perchè l’amore è una cosa peccaminosa. questo è confermato ed è evidenziato nel testo
Il canto V presenta in molti luoghi termini tipici della poesia stilnovistica
Tema amoroso: la poesia stilnovistica è lo svolgimento della francese
Caratteristiche: dolcezza e grazia in cui si muovono donne e cavalieri
Stilemi stilnovistici
• Trarre, traggar guai, verbo + gerundio
• Oere portatori di morte, morisse, morto, partilla
• Spense : presenti con Cavalcanti nello stilnovo valore simbolico di morte dello spirito
Centralità del corpo : bella persona, riferimenti ai sensi: gride, note, sentire, pianto, muto compianto, lamento, bestemmian
Altra funzione fondamentale : gli occhi
Vedi, ombre, paion, vedrai, visitando, viso, occhi
Repertorio già noto ma aggraziato da Dante con suoni dolci: sò, dò, ma, mo, mm (vedere le rime in ore e iso
Ricorrenti in rima stilnovistica
Viso, basso, lasso, dolci, doloroso, amore, dolore, dottore
La retorica è ampia e ricca
Ver 27 metafora
Ver 28 d’ogna luce muto : sinestesia
Zitto
Ver 40-49 similitudine
Ver 54 metonimia
Ver 92: noi pregheremmo lui ADUNATON dal greco dunamai impossibilità che qualcosa si realizzi
Ver 103/107 annominazione
Ver 106 anafora
Ver 59 insteron proteron invesione a livello di successione logica
Nell’elenco relati i riferimenti letterali
I primi : sono riferimenti classici (cleopatra)
Medio : letterari – Achille (eroi anche dei romanzi francesi)
Ultimi : rif lett francese Tristano/ Lancillotto
Paolo e Francesca: eroi di romanzi ma anche di un DRAMMA NUOVO Dante utilizza sia la poesia precedente fino allo stilnovo ma la giudica superata, moralmente colpevole.
Non è un caso che Virgilio SIA MUTO da quando compaiono i ragazzi: la poesia classica che ha creato Didone rimane muta davanti al dramma romanzo (impostazione nuovo dramma, superato quello classico, superamento di una tradizione).
Specificità del canto
Temi chiave : amore, pietà
Particolarità
Anche nel V canto troviamo dei francesismi. Alcuni esempi di terminologia che rimanda al francese:
• mena gli spiriti (vv 32) , che significa affannare in francese
• lasso, passo, (vv 112-114)
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Il lasso si rifà ai “Lais” della letteratura francese, che sono poesie, scritte da Maria di Francia.
Il “lai” è una cantilena lamentosa; in provenzale, la parola indicava il canto degli uccelli.
Nei versetti 113/114 118/120 124/125 Dante fa chiaramente riferimento ad un’opera di Andrea Cappellano, il De Amore.
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Ai versetti 52-54 si parla Semiramide, l’imperatrice
La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
Notare la scelta di vocaboli più specifici, che rendono meglio l’immagine al lettore: il termine RISO rispetto al termine bocca. (vv 133-138)
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Al versetto 25, troviamo una terminologia che è diventata usuale per noi, per descrivere una situazione negativa: le dolenti note: i dolorosi lamenti.
Il canto V presenta in molti luoghi termini tipici della poesia stilnovistica
• Tema amoroso: la poesia stilnovistica è lo svolgimento della francese
• Caratteristiche: dolcezza e grazia in cui si muovono donne e cavalieri
• Presenza di tipici stilemi stilnovistici
Ai vv 47-48
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai,
quel traendo guai, con il gerundio
quel aere sta per portatori di morte (chiedere)
al vv 107 Caina attende chi a vita ci spense».
Quel termine spense è presente con Cavalcanti nello stilnovo, ed ha valore simbolico di morte dello spirito
• Notiamo che è importante la Centralità del corpo: i termini “bella persona”, oppure i riferimenti ai sensi: gride, note, sentire, pianto, muto compianto, lamento, bestemmian .Altra funzione fondamentale : gli occhi e tutti i verbi ed i sostantivi che li coinvolgono: vedi, ombre, paion, vedrai, visitando, viso, occhi
• Troviamo tutto il repertorio stilnovistico già noto, ma aggraziato da Dante con suoni dolci: sò, dò, ma, mo,
• Infine, notare le rime tipiche con le parole che terminano in SO e in ORE assai ricorrenti in rima stilnovistica
viso, basso, lasso, doloroso,
amore, dolore, dottore
vers 71 riferimenti al cielo bretone ( non trovato rif)
FigureRetoriche
La retorica del v canto è ampia e ricca
Ver 27 metafora “là dove molto pianto mi percuote”
Ver 28 Io venni in loco d'ogne luce muto: sinestesia :zitto
Ver 40-49 similitudine “E come li stornei (…)E come i gru …”
Ver 54 metonimia «fu imperadrice di molte favelle.
Ver 92: “noi pregheremmo lui” Adunaton (dal greco ad´ynaton = cosa impossibile): metalogismo consistente nel menzionare situazioni e ipotesi impossibili;
Ver 103/107 annominazione
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Ver 106 anafora Amor condusse noi ad una morte
Ver 59 Hysteron proteron “… che succedette a Nino e fu sua sposa…”
L'hysteron proteron (locuzione greca, composta da hýsteron, «ultimo», e da próteron, «[come] primo») consiste nell'inversione dell'ordine cronologico di una successione di eventi, dei quali si dice per primo quello che è successo per ultimo, per dare risalto all'informazione più importante o per conseguire un particolare effetto espressivo.
Riferimenti alla letteratura
Chiedere perché impreciso e molto superficiale
Nel quinto canto troviamo chiari riferimenti alla letteratura conosciuta da Dante:
I primi : sono riferimenti classici (cleopatra)
Medio : letterari – Achille (eroi anche dei romanzi francesi)
Ultimi : rif lett francese Tristano/ Lancillotto
Il luogo è più stretto: l’inferno è fatto come un imbuto e più si scende, più si restringe. La sofferenza si fa più grave.
Il custode del secondo cerchio, Minosse, il mitico re di Creta, confessa i dannati, applica le sanzioni divine e li distribuisce nei vari cerchi infernali, avvinghiandoli con la coda e lanciandoli in basso verso la destinazione che si meritano. Minosse è trasfigurato da Dante in un mostro grottesco, alla luce della cultura popolaresca medioevale: ringhia come un cane e castiga spietatamente. Vedendo Dante interrompe il suo ufficio e lo avverte di guardarsi da come entra nell'Inferno e da chi lo guida, che non lo inganni l'ampiezza della porta infernale (come a voler dire che entrare è facile ma uscirci no). Virgilio allora prende subito la parola e, come aveva già fatto con Caronte, lo ammonisce a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo, usando le stesse identiche parole: Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare.
Qui vengono punite le anime che hanno peccato di lussuria, quindi gli amanti, coloro che per passione hanno abbandonato la ragione ed hanno abbandonato la retta via.
Il contrappasso vuole che in vita siano stati trascinati dalla passione dei sensi mentre nell’Inferno siano trascinati dalla bufera.
Il quinto canto è il canto d’AMORE, concepito come dolcezza e come peccato ed insieme è il canto della PIETA’ concepita come la comprensione della fragilità umana e come presa di consapevolezza della coscienza.
Dante scorge Semiramide, l'imperatrice assira che cambiò le leggi del suo paese per rendere lecito il libero amore; Didone, la regina di Cartagine che morì per amore di Enea, nonostante avesse giurato eterno amore al marito morto; Cleopatra, l'amante di Cesare e Antonio; Elena, la cui bellezza fu la causa della guerra di Troia. E vede anche Paride, Tristano ed Achille.
Ma soprattutto il poeta incontra Francesca ed il suo amante, Paolo. La leggenda narra che Francesca da Polenta sposò Gianciotto Malatesta di Rimini, storpio e goffo, il quale aveva un fratello bellissimo e raffinato di nome Paolo.
Francesca e Paolo, complice la lettura del romanzo cortese di Lancillotto e Ginevra, si innamorano. Gianciotto scopre la tresca e li uccide entrambi.
Nel parlare con l’anima di Francesca, Dante si confronta superando quello che pensa sia il suo principale peccato.
Anche dal punto di vista letterario, Paolo e Francesca sono protagonisti di un romanzo cavalleresco, ma anche di un DRAMMA NUOVO. Dante utilizza la poesia precedente (cortese e stilnovistica) ma la giudica superata, moralmente colpevole,perchè l’amore è una cosa peccaminosa.
E’ in questo canto il famoso verso d’amore “amor, ch’al cor gentile ratto s’apprende.....” “amore, che subito accende i cuori gentili..”
È Francesca stessa che narra la propria miserevole vicenda al poeta, esponendo durante il colloquio le concezioni amorose del tempo, le stesse abbracciate dagli stilnovisti, Dante compreso. Si tratta di enunciati tratti dal “De Amore”, un prontuario di dottrina amorosa, scritto da Andrea Cappellano nel dodicesimo secolo ver 113/114 118/120 124/125
Nel V canto, per questi due amanti, Dante sceglie di descrivere il momento in cui loro due non sapevano di essere innamorati e vengono trafitti dall’amore e quel momento rimarrà scolpito per sempre. Lui sceglie quel momento e sarà il momento dell’eternità.
Dante vuol sapere come hanno fatto a capire che erano innamorati. Ciò interessa a lui personalmente, è proprio la sua domanda: come accadde che voi vi scopriste innamorati? E lei dice:
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Le parole di Francesca vengono accompagnate dal pianto di Paolo. E’ un momento bellissimo in cui lei racconta di quando, leggendo insieme a Paolo la storia di Lancillotto e Ginevra, si guardarono e si baciarono tremanti di passione.
Dante si impietosisce al racconto di Francesca, c'è in lui, sicuramente, complicità emotiva con i due amanti, che lo riportano alla sua giovinezza, quando egli stesso condivideva il medesimo ideale amoroso.
La commozione però non ha ragione delle considerazioni di carattere etico e non impedisce al poeta di condannare i due amanti.
Francesca è un'adultera che ha violato la sacralità del matrimonio. Pur con tutte le attenuanti è morta senza pentirsi ed è perciò una peccatrice anche se la sua nobiltà d'animo la riscatta agli occhi del lettore e commuove noi e il poeta, di cui ci colpisce ancor oggi la complessità dell'atteggiamento: di condanna e, insieme, di umana comprensione.
A parte l’intervento iniziale, Virgilio non parla per tutta la durata del V canto.
Non è un caso che Virgilio SIA MUTO da quando compaiono i ragazzi: la poesia classica che ha creato Didone rimane muta davanti al dramma romanzo (impostazione nuovo dramma, superato quello classico, superamento di una tradizione).
Specificità del canto
Temi chiave : amore, pace (forse ha capito male, non è pace ma pietà)
Terminologia che rimanda al francese:
mena, vi piace, lasso, passo, affannata nella letteratura francese, lai rimando
poesia dei lais autrice maria di francia
vers 71 riferimenti al cielo bretone
il riso
ver 113/114 118/120 124/125 riferimento a Andrea Cappellano (de amore) questo è confermato ed è evidenziato nel testo
Francesca : vittima della letteratura, come quelli che scambiano sull’immaginario dei romanzi alla realtà
Novelle,favelle, si legge imperatrice (guarda se il riferimento è per Sermiramide, l’imperatrice)
Più specifici RISO rispetto al passato BOCCA
Nel parlare con la prima anima dell’inferno Dante si confronta superando il suo primo peccato e tutta la letteratura cortese e stilnovistica perchè l’amore è una cosa peccaminosa. questo è confermato ed è evidenziato nel testo
Il canto V presenta in molti luoghi termini tipici della poesia stilnovistica
Tema amoroso: la poesia stilnovistica è lo svolgimento della francese
Caratteristiche: dolcezza e grazia in cui si muovono donne e cavalieri
Stilemi stilnovistici
• Trarre, traggar guai, verbo + gerundio
• Oere portatori di morte, morisse, morto, partilla
• Spense : presenti con Cavalcanti nello stilnovo valore simbolico di morte dello spirito
Centralità del corpo : bella persona, riferimenti ai sensi: gride, note, sentire, pianto, muto compianto, lamento, bestemmian
Altra funzione fondamentale : gli occhi
Vedi, ombre, paion, vedrai, visitando, viso, occhi
Repertorio già noto ma aggraziato da Dante con suoni dolci: sò, dò, ma, mo, mm (vedere le rime in ore e iso
Ricorrenti in rima stilnovistica
Viso, basso, lasso, dolci, doloroso, amore, dolore, dottore
La retorica è ampia e ricca
Ver 27 metafora
Ver 28 d’ogna luce muto : sinestesia
Zitto
Ver 40-49 similitudine
Ver 54 metonimia
Ver 92: noi pregheremmo lui ADUNATON dal greco dunamai impossibilità che qualcosa si realizzi
Ver 103/107 annominazione
Ver 106 anafora
Ver 59 insteron proteron invesione a livello di successione logica
Nell’elenco relati i riferimenti letterali
I primi : sono riferimenti classici (cleopatra)
Medio : letterari – Achille (eroi anche dei romanzi francesi)
Ultimi : rif lett francese Tristano/ Lancillotto
Paolo e Francesca: eroi di romanzi ma anche di un DRAMMA NUOVO Dante utilizza sia la poesia precedente fino allo stilnovo ma la giudica superata, moralmente colpevole.
Non è un caso che Virgilio SIA MUTO da quando compaiono i ragazzi: la poesia classica che ha creato Didone rimane muta davanti al dramma romanzo (impostazione nuovo dramma, superato quello classico, superamento di una tradizione).
Specificità del canto
Temi chiave : amore, pietà
Particolarità
Anche nel V canto troviamo dei francesismi. Alcuni esempi di terminologia che rimanda al francese:
• mena gli spiriti (vv 32) , che significa affannare in francese
• lasso, passo, (vv 112-114)
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Il lasso si rifà ai “Lais” della letteratura francese, che sono poesie, scritte da Maria di Francia.
Il “lai” è una cantilena lamentosa; in provenzale, la parola indicava il canto degli uccelli.
Nei versetti 113/114 118/120 124/125 Dante fa chiaramente riferimento ad un’opera di Andrea Cappellano, il De Amore.
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Ai versetti 52-54 si parla Semiramide, l’imperatrice
La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
Notare la scelta di vocaboli più specifici, che rendono meglio l’immagine al lettore: il termine RISO rispetto al termine bocca. (vv 133-138)
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Al versetto 25, troviamo una terminologia che è diventata usuale per noi, per descrivere una situazione negativa: le dolenti note: i dolorosi lamenti.
Il canto V presenta in molti luoghi termini tipici della poesia stilnovistica
• Tema amoroso: la poesia stilnovistica è lo svolgimento della francese
• Caratteristiche: dolcezza e grazia in cui si muovono donne e cavalieri
• Presenza di tipici stilemi stilnovistici
Ai vv 47-48
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai,
quel traendo guai, con il gerundio
quel aere sta per portatori di morte (chiedere)
al vv 107 Caina attende chi a vita ci spense».
Quel termine spense è presente con Cavalcanti nello stilnovo, ed ha valore simbolico di morte dello spirito
• Notiamo che è importante la Centralità del corpo: i termini “bella persona”, oppure i riferimenti ai sensi: gride, note, sentire, pianto, muto compianto, lamento, bestemmian .Altra funzione fondamentale : gli occhi e tutti i verbi ed i sostantivi che li coinvolgono: vedi, ombre, paion, vedrai, visitando, viso, occhi
• Troviamo tutto il repertorio stilnovistico già noto, ma aggraziato da Dante con suoni dolci: sò, dò, ma, mo,
• Infine, notare le rime tipiche con le parole che terminano in SO e in ORE assai ricorrenti in rima stilnovistica
viso, basso, lasso, doloroso,
amore, dolore, dottore
vers 71 riferimenti al cielo bretone ( non trovato rif)
FigureRetoriche
La retorica del v canto è ampia e ricca
Ver 27 metafora “là dove molto pianto mi percuote”
Ver 28 Io venni in loco d'ogne luce muto: sinestesia :zitto
Ver 40-49 similitudine “E come li stornei (…)E come i gru …”
Ver 54 metonimia «fu imperadrice di molte favelle.
Ver 92: “noi pregheremmo lui” Adunaton (dal greco ad´ynaton = cosa impossibile): metalogismo consistente nel menzionare situazioni e ipotesi impossibili;
Ver 103/107 annominazione
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Ver 106 anafora Amor condusse noi ad una morte
Ver 59 Hysteron proteron “… che succedette a Nino e fu sua sposa…”
L'hysteron proteron (locuzione greca, composta da hýsteron, «ultimo», e da próteron, «[come] primo») consiste nell'inversione dell'ordine cronologico di una successione di eventi, dei quali si dice per primo quello che è successo per ultimo, per dare risalto all'informazione più importante o per conseguire un particolare effetto espressivo.
Riferimenti alla letteratura
Chiedere perché impreciso e molto superficiale
Nel quinto canto troviamo chiari riferimenti alla letteratura conosciuta da Dante:
I primi : sono riferimenti classici (cleopatra)
Medio : letterari – Achille (eroi anche dei romanzi francesi)
Ultimi : rif lett francese Tristano/ Lancillotto
INFERNO - CANTO X
Nel X canto si racconta che il viaggio di Dante e Virgilio attraverso l’inferno dura da due giorni. E’ il Sabato Santo ed essi scendono al sesto cerchio.
Il terzo, quarto e quinto cerchio erano ambienti terrificanti, popolati da una confusione di anime disperate ed anonime (non si incontrano personaggi conosciuti), dove le grida dei condannati si sommavano all’aggressività dei loro orribili guardiani.
Nel sesto cerchio, l’ambiente cambia. C’è un mutamento radicale. C’è silenzio, il clima è solenne, quasi di rispettosa dignità.
Nel sesto cerchio vi sono i sepolcri degli ERESIARCHI. Probabilmente Dante, pur non condividendo il loro pensiero, segretamente li ammira.
La colpa di questi dannati è L’EPICUREISMO, ovvero il non credere all’immortalità dell’anima.
La pena di questi eretici è il permanere all’interno delle loro tombe, arsi da fiamme; Virgilio spiega che questi sepolcri verranno richiusi solo dopo il giudizio universale.
La condizione dei condannati permette loro di affiorare dalla tomba solo fino alla vita, senza uscirne.
Il contrappasso per le anime degli eretici generici è di ardere evocando l’analogia con i roghi medievali ai quali venivano destinati gli eretici stessi.
Il contrappasso degli epicurei in particolare è di essere posti in sepolcri come morti, perchè nel loro pensiero hanno fatto morire l’anima, non credendo alla sua immortalità.
Le anime che incontriamo in questo luogo, hanno tutte in qualche modo tradito, rifiutato, la superiorità di Dio rispetto all’uomo.
Farinata degli Uberti, pieno di superbia, ha creduto d’essere potente anche senza l’aiuto di Dio.
L'accusa d'eresia mossa ai ghibellini, e per la quale vennero considerati eretici, riguardava la contestazione della supremazia religiosa della Chiesa. In realtà, la fazione cui Farinata apparteneva ne contestava solamente l'ingerenza politica, reclamando una suddivisione tra potere spirituale e potere temporale.
Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, ha creduto e trasmesso al figlio ideali filosofici averroistici, allontanandosi dalla fede.
Trama del X canto
Mentre Virgilio e Dante attraversano il cimitero degli eresiarchi, odono all’improvviso la voce di un uomo all’interno di una delle tombe e vedono una figura levarsi in piedi tra le fiamme: Farinata.
Questo personaggio si erge fiero, con un’espressione sprezzante. Avendo riconosciuto l’accento toscano di Dante, desiderava potergli parlare.
Appena Farinata chiede a Dante chi fossero i suoi antenati e saputo che aveva a che fare con un Alighieri, incominciano a litigare ed a criticarsi. Farinata degli Uberti, in quanto ghibellino era rivale politico degli Alighieri, che erano guelfi bianchi.
I temi principali del loro colloquio sono la disputa politica (e l'accusa d'eresia) e il tema della famiglia (le colpe dei padri che ricadono sui figli).
Interviene ad un tratto Cavalcante, che vuol sapere se suo figlio Guido è ancora vivo. Dante però si attarda con la risposta e l’anima di Cavalcante ricade nella tomba.
Dal comportamento di Cavalcante, Dante capisce che le anime non sanno cosa sta succedendo al presente e chiede conferma di ciò a Farinata, che infatti gli risponde che a loro è concesso solo di conoscere il futuro, senza vedere il presente. Allora prega Farinata di avvisare Cavalcante che suo figlio è ancora vivo.
A questo punto Farinata dice che tra gli eresiarchi ci sono anche Federico II e il Cardinale.
Federico II era imperatore del sacro romano impero ed era notoriamente epicureo. Il Cardinale, di cui Dante non cita il nome, era un vescovo di Bologna che simpatizzava per i ghibellini e quindi considerato eretico.
Poi improvvisamente Farinata scompare nel suo sepolcro, lasciando Dante sconcertato al ricordo di certe parole dal carattere profetico, che il ghibellino aveva pronunciato contro il poeta a proposito del suo futuro.
Virgilio consiglia a Dante di tenere bene a mente la profezia per poterla riferire a Beatrice, qualora l’avessero incontrata una volta giunti in Paradiso.
DANTE ALIGHIERI
Quando visitai a Ravenna la tomba di Dante, rimasi colpito dalla frase incisa sulla sua lapide.
“Fannomi onore e di ciò fanno bene”.
Pensai a Dante come ad una persona piena di superbia ed alterigia; ad ogni modo ne rimasi incuriosito al punto da domandarmi il motivo di questo carattere.
In realtà poi scoprii che questa frase si trova nel IV canto dell’Inferno, quando Dante e Virgilio incontrano gli altri poeti e Virgilio spiega a Dante che questi grandi del passato, come Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, non sono invidiosi di lui, anzi lo onorano come poeta loro pari.
Eppure le vicende personali accadute a Dante ed alla sua famiglia influirono in modo incisivo sulla sua opera, sul suo carattere e sul suo stile compositivo.
Dante nacque a Firenze nel 1265.
La famiglia Aligheri era di nobili origini ma cadde in disgrazia quando i guelfi vennero perseguitati.
Dante venne esiliato e visse come una grande umiliazione l’abbandono della sua Firenze.
Soggiornò in moltissime corti, presso i nobili che desideravano circondarsi di personaggi colti. Ma Dante si sentiva degradato in questo ruolo, lui che era stato un nobile.
Nonostante la sua bravura, Dante non venne nemmeno insignito del titolo di ”poeta incoronato d’alloro” a causa della sua precisa scelta di ricercare una lingua diversa dal latino per divulgare la propria opera.
Abbiamo già visto nella scheda all’inizio del programma di Letteratura, tratta dall’opera “De vulgari eloquentia”, di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime. Comunque proprio per questo motivo Dante viene considerato il padre della lingua italiana, proprio perchè con la sua opera, la lingua si è arricchita.
Eppure prima dell’esilio, Dante era un altro uomo.
Da ragazzo amava la poesia cortese ed addirittura la poesia comica. Amava fantasticare, fuggire dalla realtà e vivere come in un sogno creato dalle sue stesse rime. Sappiamo che leggeva Virgilio, Orazio, Cicerone, Aristotele. Sappiamo anche che sperimentò vari pensieri religiosi che si andavano formando in quegli anni, miranti al rinnovamento di quel cattolicesimo considerato corrotto e decadente.
Erano gli anni in cui stava prendendo vita lo Stilnovo, il cui precursore fu il poeta bolognese Guido Guinizzelli, che Dante, infatti, cita nel Purgatorio, chiamandolo “padre mio”
Quando viveva a Firenze, Dante prendeva parte ai cenacoli dei poeti stilnovisti, come Guido Cavalcanti, che conosceva bene ed era suo amico.
In questo periodo giovanile Dante compose la Vita Nuova, che il poeta chiamava “libello”, che era un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che venivano qui riordinati, riallacciati fra loro con collegamenti. Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Come ho già detto le vicende politiche, nel giro di pochi anni, fecero cambiare drasticamente il destino del Sommo Poeta.
In esilio cambiò anche il suo stile letterario: via, via abbandonerà lo Stilnovo per abbracciare una poesia più complessa, che lo condurrà all’eccellenza della Divina Commedia.
Dante morì a Ravenna nel 1321.
Cronologicamente possiamo così elencare le opere di Dante
• RIME
• VITA NUOVA
• CANZONI ALLEGORICO DOTTRINALI
• TENZONE CON FORESTE DONATI
• CANZONI PETROSE
• EPISTOLE
• CONVIVIO
• DE VULGARI ELOQUENTIA
• INFERNO
• DE MONARCHIA
• PURGATORIO
• PARADISO
• LA FORMA ED IL LUOGO DELL’ACQUA E DELLA TERRA
VITA NUOVA
Come ho già detto poc’anzi, Dante compose la Vita Nuova in gioventù, si presume appena dopo la morte di Beatrice.
Dante chiama quest’opera “libello”, che significa piccolo libro, ed è un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che vengono qui riordinati e riallacciati fra loro con collegamenti. Si tratta di 42 capitoli che comprendono 31 componimenti poetici (25 sonetti, 5 canzoni ed una ballata). La struttura è il PROSIMETRON, un genere appunto misto di prosa e versi.
L’opera Vita Nuova è composta in volgare, però quando parlano gli spiriti o le entità come l’Amore, esse si esprimono in latino, proprio per sottolineare l’universalità delle loro parole.
Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Dante conosce Beatrice da bambina, all’età di 9 anni e resta folgorato dalla sua grazia angelica. La rivede esattamente 9 anni dopo, ormai giovinetta e si lascia divorare dall’incanto per quell’incontro casuale, dal quale ottiene soltanto un saluto, un cenno di riconoscimento, castissimo, gentilissimo, che lo innalza alla più alta gioia.
Occorre fare un cenno particolare alla simbologia del numero 9. Esso rappresenta il miracolo, perchè, come spiega Dante nell’opera stessa, il numero 9 deriva dal numero 3 che è divino in quanto simboleggia la Trinità ed è lo fattore per sè medesimo de li miracoli. Nell’opera di Dante spesso ritroveremo il numero nove: sono 9 i cerchi dell’inferno e sono 9 i cieli del paradiso.
Bisogna comunque aggiungere che le opere medievali spesso fanno riferimento alla numerologia intesa come ricerca dell’armonia matematica di tutte le cose, come la teoria Pitagorica, come scritto sulla Bibbia e come veniva diffuso dalle dottrine mistiche che circolavano in quel periodo come per esempio la Cabala, ecc ecc.
Nella Vita Nuova un ulteriore riferimento al numero 9 lo abbiamo quando Dante stila la lista delle 60 donne più belle di Firenze. A Beatrice assegnerà il nono posto.
Beatrice non sarà mai la sua fidanzata e la loro storia d’amore è soltanto simbolica. Eppure Dante fantastica su questo loro amore, nonostante fosse sposato ed avesse dei figli.
Beatrice muore di malattia ed il poeta resta frastornato dal dolore. Finchè ha la visione della sua amata splendente di gloria celeste, che lo guida ad uscire da quel vicolo cieco per condurlo alla perfezione divina.
Dunque Dante incontra Beatrice a 9 anni e 9 anni dopo la incontra di nuovo. Lei gli fa un cenno di saluto dispensatore di salvezza, di grazia. Con il saluto Beatrice infonde in Dante beatitudine, carità, umiltà, sanando i suoi tormenti morali. Ricordiamoci che nel medioevo si dava importanza all’interpretazione dei nomi. Beatrice significa infatti “portatrice di beatitudine” .
Per difendere il proprio amore per Beatrice, Dante inventa delle “donne-schermo” e, fingendosi innamorato di loro, compone delle poesie di poco valore. Purtroppo nasce l’equivoco, perchè Beatrice pensa che lui sia frivolo e gli toglie il saluto. Il poeta allora compone per lei delle lodi che segnano il passaggio tra l’amore che il poeta prova per la sua donna, all’amore disinteressato, che trova gioia nella celebrazione delle virtù dell’amata.
I versi danteschi della Vita Nuova si possono confrontare con l’opera di Cavalcanti “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Troviamo il tema della donna intesa come strumento per avvicinarsi a Dio, troviamo il tema della nobiltà dell’animo. In questi due casi comunque Dante supera il Cavalcanti nell’enfatizzare questi due concetti.
Il concetto d’amore per il Cavalcanti è ancora passione, per Dante è di più: è slancio spirituale verso l’amata, è immaginarla in cielo accanto a Dio.
I brani che abbiamo studiato, tratti dalla Vita Nuova, sono:
• la descrizione dell’incontro con Beatrice del secondo capitolo, di cui abbiamo già parlato
• il valore simbolico del numero nove
• la lode “Donne ch’avete intelletto d’amore”.
• la lode “Tanto gentile e tanto onesta appare”
“Donne ch’avete intelletto d’amore”
La forma metrica di questa poesia è molto raffinata in quanto sono tutti endecasillabi.
La poesia è preceduta da un prologo in cui il poeta spiega come gli sia venuta l’ispirazione per questi versi
La particolarità di questa lode è che è rivolta ad un pubblico femminile, al quale Dante chiede conforto, comprensione, in quanto la mente femminile ha già provato, conosce l’amore e dunque può capire meglio il suo stato d’animo.
Dante si rivolge alle donne per presentare loro le doti meravigliose di Beatrice, che descrive con tre parole emblematiche del vocabolario stilnovistico ANGELO, MADONNA e AMOR.
In tutta la canzone, possiamo riscontrare similitudini con “io voglio del ver la mia donna laudare” del Guinizzelli.
In più Dante ci dice che Beatrice ha il potere di rendere nobili le persone e le cose che le stanno vicino, o le cose e le persone che lei guarda.
“Tanto gentile e tanto onesta appare”
Anche in questo sonetto Dante si propone di celebrare le doti di Beatrice.
Questa lode sembrerebbe molto attuale nelle espressioni. Leggendola sembra che non ci sia alcun bisogno di convertire i versi in prosa.
In realtà ci giunge un avvertimento da Gianfranco Contini, studioso dell’opera dantesca, (1912-1990) che ci fa notare come i termini usati da Dante non abbiano lo stesso significato che viene loro attribuito ai nostri giorni ed in certi casi stravolgono completamente il significato che pensiamo.
Leggendo queste lodi, dunque non dobbiamo lasciarci ingannare dalla perfetta comprensione delle frasi, perchè in realtà a quei tempi avevano un altro significato.
RIME
Le rime sono un insieme di liriche di Dante giunte fino a noi ad esclusione di quelle che scelse di inserire nella Vita Nuova e ad esclusione delle tre canzoni inserite nel Convivio.
Non si tratta di una raccolta ordinata ma di un corpus eterogeneo. Per questo motivo non si può parlare di un vero canzoniere, che starebbe a significare una scelta organica con un preciso svolgimento stilistico. Studiosi danteschi moderni hanno cercato di disporre le rime secondo un ordine cronologico e stilistico.
Allo stato attuale la produzione di rime risalenti al periodo anteriore all’esilio comprende 54 componimenti tra sonetti, canzoni ... e dubbi. Alcune rime sono state addirittura attribuite ad altri poeti.
L’importanza delle rime sta nel fatto che testimoniano la graduale conquista di uno stile personale attraverso uno sperimentalismo aperto a tematiche e tecniche disparate.
Le Rime rappresentano l’esordio poetico dantesco, anche se non siamo in grado di stabilire una datazione certa. Nel corpus troviamo delle poesie, dei sonetti che Dante scriveva ai suoi amici, come a Dante da Maiano (si chiavano con lo stesso nome), a Cino da Pistoia o a Guido Cavalcanti, al quale scrive del suo desiderio di fare un viaggio avventuroso in un’atmosfera arturiana.
Fra le rime, spicca l’insolita “Tenzone con Forese Donati” in cui Dante si prende gioco del fratello del capo della fazione dei guelfi neri, suoi avversari politici. In questa tenzone si può notare come il poeta esperimenti lo stile di scherno tipico dei versi che troveremo nei canti dell’Inferno.
Le cosiddette “Rime Petrose” invece sono due canzoni in cui Dante esperimenta un linguaggio duro, aspro, dove anche la scelta lessicale è di impatto, crudele. Nelle rime petrose il poeta si rode d’amore per una donna che lo rifiuta con durezza e con altrettanta durezza egli le giura vendetta. Qui la donna non è l’angelo dello stilnovo e le regole comportamentali vengono completamente disattese.
Il nostro libro accenna anche ad una rima dal titolo “Il Fiore”. I critici sono in dubbio sull’attribuzione della paternità dantesca a quest’opera che è la trasposizione in volgare di un poemetto francese della tradizione cortese, meglio conosciuto come “Il romanzo della rosa”
LE CANZONI ALLEGORICO-DOTTRINALI
Alla morte di Beatrice, Dante rimane profondamente colpito e cerca consolazione negli studi filosofici. Ispirato, compone alcune rime di argomento filosofico, chiamate appunto canzoni allegorico dottrinali, in cui celebra l’amore per una donna gentile che è la FILOSOFIA.
IL CONVIVIO
Sempre di carattere filosofico dottrinale è il contenuto del Convivio, trattato rivoluzionario, perchè scritto interamente in volgare.
A quei tempi i trattati filosofici erano assolutamente scritti in latino in quanto rivolti ad un pubblico selezionato.
Il libro si prefiggeva invece proprio lo scopo di divulgare il sapere ad un pubblico più vasto, abbracciando anche quello meno colto. Il titolo, Convivio, significa banchetto e metaforicamente Dante, seduto a tavola distribuisce ai commensali il pane della sapienza, cibo per l’anima.
In realtà qui gli argomenti vengono solo introdotti ed il progetto iniziale risulta meno sviluppato di quanto Dante intendesse fare. Infatti si presume volesse creare una vera e propria enciclopedia del sapere universale, ma l’impegno profuso alla stesura della Commedia abbia esaurito il tempo e le forze che il poeta avrebbe potuto destinare a questo progetto. Il Convivio è rimasto incompiuto proprio perchè è servito da impalcatura per la Divina Commedia, che in effetti è un trattato universale del comportamento umano.
Dal Convivio abbiamo approfondito:
• Il naturale desiderio di sapere
• In difesa del volgare
• Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
• I quattro sensi delle scritture
Il naturale desiderio di sapere
Con questo trattato inizia il Convivio. Dante, ispirato dalla filosofia aristotelica, così in voga in quel periodo, sostiene che l’uomo è naturalmente portato alla sapienza, solo che per vari motivi, magari perchè non ha tempo a causa di impegni famigliari, oppure non può frequentare circoli di divulgazione culturale, non può così soddisfare questa sua inclinazione.
In questo brano Dante fa notare la differenza tra quest’opera matura rispetto alla Vita Nuova, scritta in età giovanile, non tanto per sminuire quest’ultima, quanto per giustificare la caratteristica dello stile determinato dall’età e dall’indole dello scrittura.
In difesa del volgare
In questo brano Dante cerca di convincere il suo pubblico sulla necessità di esprimersi in volgare anzichè in latino. La scansione è ternaria: 1) è assurdo scrivere commenti in latino ad una canzone in volgare, subordinando una lingua superiore ad una lingua inferiore; 2) l’opera scritta in volgare è accessibile anche ad un pubblico meno colto; 3) il volgare è la lingua naturale, quella che ci viene insegnata dalla mamma.
Il trattato dantesco prosegue con un elogio del latino, sempre in tre punti: 1) è incorruttibile, da secoli è invariato, mentre il volgare è soggetto a continui mutamenti; 2) è una lingua ricca che si presta alla divulgazione scientifica, tecnica e teologica; 3) il latino è bello, armonioso, grammaticalmente perfetto.
In questo brano del Convivio Dante annuncia la sua intenzione di scrivere il “De vulgari eloquentia” anticipando il contenuto.
Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
È la prima canzone che compare nel Convivio, al secondo capitolo. Dante, questa volta sceglie come pubblico gli angeli del terzo cielo, ritenendo che solo simili entità divine possano capirlo e spiega loro che ora che Beatrice non c’è più, lui si consola con la donna gentile, che allegoricamente è la filosofia.
Descrive dunque il suo nuovo sentimento, confrontandolo con quello che provava per Beatrice.
Il riferimento alla cosmologia, all’inizio di questa canzone, in cui cita un terzo cielo in cui risiedono gli angeli ai quali si rivolge, è dovuto al fatto che Dante abbraccia la teoria tolemaica, in voga in quel periodo, secondo la quale la terra era al centro dell’universo, circondata da 9 cieli; si credeva che la rivoluzione di questi cieli influisse sulla vita degli uomini. Ecco perchè Dante pensava che il pensiero d’amore prendesse vita nel terzo cielo, quello dominato da Venere.
Importantissimo il riferimento a questa “donna gentile” diversa da Beatrice, che troviamo sia nel Convivio sia nella Vita Nuova. In entrambe le opere Dante è diviso tra l’amore di queste due donne, solo che nella Vita Nuova trionferà Beatrice, mentre nel Convivio Dante contraddice i suoi precedenti sentimenti.
Gli studiosi danteschi hanno avanzato l’ipotesi che effettivamente Dante avesse composto questi versi proprio per una donna e che poi li avesse adattati successivamente attribuendo loro l’allegoria.
Ad ogni modo, sia che la donna fosse reale o allegorica, Dante la canta riprendendo la forma stilnovistica.
I quattro sensi delle scritture
Questo brano introduce il secondo capitolo del Convivio, dove troviamo anche la canzone sopracitata. In esso Dante spiega, sempre utilizzando la metafora della cena, come deve essere mangiato il cibo da lui proposto, ovvero come deve venire interpretato un testo poetico.
I gradi dell’interpretazione sono 4: letterale, allegorico, morale e anagogico.
Per interpretazione letterale s’intende quella chiara, la più intuibile che è quella che il testo suggerisce senza significati occulti.
L’interpretazione allegorica è quella che invece va colta con un po’ di sensibilità da parte del lettore; Dante cita parecchi esempi di interpretazione allegorica, fra cui certi brani tratti dalla Bibbia o da classici latini; in particolare cita l’esempio dell’episodio delle Metamorfosi di Ovidio in cui Orfeo che con il suo canto ammansiva le bestie e faceva muovere le pietre, è la metafora dell’uomo saggio che riesce ad ammansire i crudeli ed a trasmettere la propria elevazione spirituale.
Dante spiega l’interpretazione morale avvalendosi di brani tratti dai Vangeli e dai Salmi dal cui testo evangelico si possono trarre suggerimenti comportamentali avendo quindi uno scopo didattico.
Infine l’interpretazione anagogica consiste nel trovare verità e conoscenze supreme, soprattutto nei testi sacri.
IL DE VULGARI ELOQUENTIA
Questo trattato è scritto in latino perchè in esso Dante si rivolge ai letterati per convincerli della necessità di diffondere la cultura in lingua volgare.
Purtroppo quest’opera non solo è incompleta ma è anche interrotta bruscamente lasciando incompiuto persino il periodo.
Ad ogni modo il primo libro, che è completo, è composto da 19 capitoli in cui si fornisce una vera e propria teoria del linguaggio, indagando alle sue origini.
Dante afferma che l’uomo deve esprimere il proprio pensiero e da sempre ha preferito il linguaggio alla gestualità, anche se precedentemente all’episodio della torre di Babele, vi era un’unica lingua.
L’esame linguistico di Dante continua con l’analisi dei dialetti italiani. Questa ricerca in realtà non era finalizzata alla conoscenza dei vari dialetti, bensì alla ricerca di un dialetto adatto per fare poesia. Ho già citato precedentemente la scheda consegnataci all’inizio del programma di Letteratura, tratta da quest’opera di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime.
Dal De vulgari eloquentia abbiamo approfondito
• Le teoria degli stili
Nel brano Dante afferma che è necessario stabilire delle regole fisse per creare i versi poetici. E’ vero che ci sono poeti improvvisati che hanno scritto parole bellissime, però chiamarli poeti è improprio, perchè essi non ricorrono a quelle regole metriche che determinano la perfezione del verso.
Allo stesso modo lo stile d’espressione dovrà essere scelto dal poeta in base all’argomento. Nel chiudere il discorso Dante investe la figura del poeta della responsabilità addirittura sacra di divulgare la cultura.
“Fannomi onore e di ciò fanno bene”.
Pensai a Dante come ad una persona piena di superbia ed alterigia; ad ogni modo ne rimasi incuriosito al punto da domandarmi il motivo di questo carattere.
In realtà poi scoprii che questa frase si trova nel IV canto dell’Inferno, quando Dante e Virgilio incontrano gli altri poeti e Virgilio spiega a Dante che questi grandi del passato, come Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, non sono invidiosi di lui, anzi lo onorano come poeta loro pari.
Eppure le vicende personali accadute a Dante ed alla sua famiglia influirono in modo incisivo sulla sua opera, sul suo carattere e sul suo stile compositivo.
Dante nacque a Firenze nel 1265.
La famiglia Aligheri era di nobili origini ma cadde in disgrazia quando i guelfi vennero perseguitati.
Dante venne esiliato e visse come una grande umiliazione l’abbandono della sua Firenze.
Soggiornò in moltissime corti, presso i nobili che desideravano circondarsi di personaggi colti. Ma Dante si sentiva degradato in questo ruolo, lui che era stato un nobile.
Nonostante la sua bravura, Dante non venne nemmeno insignito del titolo di ”poeta incoronato d’alloro” a causa della sua precisa scelta di ricercare una lingua diversa dal latino per divulgare la propria opera.
Abbiamo già visto nella scheda all’inizio del programma di Letteratura, tratta dall’opera “De vulgari eloquentia”, di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime. Comunque proprio per questo motivo Dante viene considerato il padre della lingua italiana, proprio perchè con la sua opera, la lingua si è arricchita.
Eppure prima dell’esilio, Dante era un altro uomo.
Da ragazzo amava la poesia cortese ed addirittura la poesia comica. Amava fantasticare, fuggire dalla realtà e vivere come in un sogno creato dalle sue stesse rime. Sappiamo che leggeva Virgilio, Orazio, Cicerone, Aristotele. Sappiamo anche che sperimentò vari pensieri religiosi che si andavano formando in quegli anni, miranti al rinnovamento di quel cattolicesimo considerato corrotto e decadente.
Erano gli anni in cui stava prendendo vita lo Stilnovo, il cui precursore fu il poeta bolognese Guido Guinizzelli, che Dante, infatti, cita nel Purgatorio, chiamandolo “padre mio”
Quando viveva a Firenze, Dante prendeva parte ai cenacoli dei poeti stilnovisti, come Guido Cavalcanti, che conosceva bene ed era suo amico.
In questo periodo giovanile Dante compose la Vita Nuova, che il poeta chiamava “libello”, che era un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che venivano qui riordinati, riallacciati fra loro con collegamenti. Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Come ho già detto le vicende politiche, nel giro di pochi anni, fecero cambiare drasticamente il destino del Sommo Poeta.
In esilio cambiò anche il suo stile letterario: via, via abbandonerà lo Stilnovo per abbracciare una poesia più complessa, che lo condurrà all’eccellenza della Divina Commedia.
Dante morì a Ravenna nel 1321.
Cronologicamente possiamo così elencare le opere di Dante
• RIME
• VITA NUOVA
• CANZONI ALLEGORICO DOTTRINALI
• TENZONE CON FORESTE DONATI
• CANZONI PETROSE
• EPISTOLE
• CONVIVIO
• DE VULGARI ELOQUENTIA
• INFERNO
• DE MONARCHIA
• PURGATORIO
• PARADISO
• LA FORMA ED IL LUOGO DELL’ACQUA E DELLA TERRA
VITA NUOVA
Come ho già detto poc’anzi, Dante compose la Vita Nuova in gioventù, si presume appena dopo la morte di Beatrice.
Dante chiama quest’opera “libello”, che significa piccolo libro, ed è un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che vengono qui riordinati e riallacciati fra loro con collegamenti. Si tratta di 42 capitoli che comprendono 31 componimenti poetici (25 sonetti, 5 canzoni ed una ballata). La struttura è il PROSIMETRON, un genere appunto misto di prosa e versi.
L’opera Vita Nuova è composta in volgare, però quando parlano gli spiriti o le entità come l’Amore, esse si esprimono in latino, proprio per sottolineare l’universalità delle loro parole.
Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Dante conosce Beatrice da bambina, all’età di 9 anni e resta folgorato dalla sua grazia angelica. La rivede esattamente 9 anni dopo, ormai giovinetta e si lascia divorare dall’incanto per quell’incontro casuale, dal quale ottiene soltanto un saluto, un cenno di riconoscimento, castissimo, gentilissimo, che lo innalza alla più alta gioia.
Occorre fare un cenno particolare alla simbologia del numero 9. Esso rappresenta il miracolo, perchè, come spiega Dante nell’opera stessa, il numero 9 deriva dal numero 3 che è divino in quanto simboleggia la Trinità ed è lo fattore per sè medesimo de li miracoli. Nell’opera di Dante spesso ritroveremo il numero nove: sono 9 i cerchi dell’inferno e sono 9 i cieli del paradiso.
Bisogna comunque aggiungere che le opere medievali spesso fanno riferimento alla numerologia intesa come ricerca dell’armonia matematica di tutte le cose, come la teoria Pitagorica, come scritto sulla Bibbia e come veniva diffuso dalle dottrine mistiche che circolavano in quel periodo come per esempio la Cabala, ecc ecc.
Nella Vita Nuova un ulteriore riferimento al numero 9 lo abbiamo quando Dante stila la lista delle 60 donne più belle di Firenze. A Beatrice assegnerà il nono posto.
Beatrice non sarà mai la sua fidanzata e la loro storia d’amore è soltanto simbolica. Eppure Dante fantastica su questo loro amore, nonostante fosse sposato ed avesse dei figli.
Beatrice muore di malattia ed il poeta resta frastornato dal dolore. Finchè ha la visione della sua amata splendente di gloria celeste, che lo guida ad uscire da quel vicolo cieco per condurlo alla perfezione divina.
Dunque Dante incontra Beatrice a 9 anni e 9 anni dopo la incontra di nuovo. Lei gli fa un cenno di saluto dispensatore di salvezza, di grazia. Con il saluto Beatrice infonde in Dante beatitudine, carità, umiltà, sanando i suoi tormenti morali. Ricordiamoci che nel medioevo si dava importanza all’interpretazione dei nomi. Beatrice significa infatti “portatrice di beatitudine” .
Per difendere il proprio amore per Beatrice, Dante inventa delle “donne-schermo” e, fingendosi innamorato di loro, compone delle poesie di poco valore. Purtroppo nasce l’equivoco, perchè Beatrice pensa che lui sia frivolo e gli toglie il saluto. Il poeta allora compone per lei delle lodi che segnano il passaggio tra l’amore che il poeta prova per la sua donna, all’amore disinteressato, che trova gioia nella celebrazione delle virtù dell’amata.
I versi danteschi della Vita Nuova si possono confrontare con l’opera di Cavalcanti “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Troviamo il tema della donna intesa come strumento per avvicinarsi a Dio, troviamo il tema della nobiltà dell’animo. In questi due casi comunque Dante supera il Cavalcanti nell’enfatizzare questi due concetti.
Il concetto d’amore per il Cavalcanti è ancora passione, per Dante è di più: è slancio spirituale verso l’amata, è immaginarla in cielo accanto a Dio.
I brani che abbiamo studiato, tratti dalla Vita Nuova, sono:
• la descrizione dell’incontro con Beatrice del secondo capitolo, di cui abbiamo già parlato
• il valore simbolico del numero nove
• la lode “Donne ch’avete intelletto d’amore”.
• la lode “Tanto gentile e tanto onesta appare”
“Donne ch’avete intelletto d’amore”
La forma metrica di questa poesia è molto raffinata in quanto sono tutti endecasillabi.
La poesia è preceduta da un prologo in cui il poeta spiega come gli sia venuta l’ispirazione per questi versi
La particolarità di questa lode è che è rivolta ad un pubblico femminile, al quale Dante chiede conforto, comprensione, in quanto la mente femminile ha già provato, conosce l’amore e dunque può capire meglio il suo stato d’animo.
Dante si rivolge alle donne per presentare loro le doti meravigliose di Beatrice, che descrive con tre parole emblematiche del vocabolario stilnovistico ANGELO, MADONNA e AMOR.
In tutta la canzone, possiamo riscontrare similitudini con “io voglio del ver la mia donna laudare” del Guinizzelli.
In più Dante ci dice che Beatrice ha il potere di rendere nobili le persone e le cose che le stanno vicino, o le cose e le persone che lei guarda.
“Tanto gentile e tanto onesta appare”
Anche in questo sonetto Dante si propone di celebrare le doti di Beatrice.
Questa lode sembrerebbe molto attuale nelle espressioni. Leggendola sembra che non ci sia alcun bisogno di convertire i versi in prosa.
In realtà ci giunge un avvertimento da Gianfranco Contini, studioso dell’opera dantesca, (1912-1990) che ci fa notare come i termini usati da Dante non abbiano lo stesso significato che viene loro attribuito ai nostri giorni ed in certi casi stravolgono completamente il significato che pensiamo.
Leggendo queste lodi, dunque non dobbiamo lasciarci ingannare dalla perfetta comprensione delle frasi, perchè in realtà a quei tempi avevano un altro significato.
RIME
Le rime sono un insieme di liriche di Dante giunte fino a noi ad esclusione di quelle che scelse di inserire nella Vita Nuova e ad esclusione delle tre canzoni inserite nel Convivio.
Non si tratta di una raccolta ordinata ma di un corpus eterogeneo. Per questo motivo non si può parlare di un vero canzoniere, che starebbe a significare una scelta organica con un preciso svolgimento stilistico. Studiosi danteschi moderni hanno cercato di disporre le rime secondo un ordine cronologico e stilistico.
Allo stato attuale la produzione di rime risalenti al periodo anteriore all’esilio comprende 54 componimenti tra sonetti, canzoni ... e dubbi. Alcune rime sono state addirittura attribuite ad altri poeti.
L’importanza delle rime sta nel fatto che testimoniano la graduale conquista di uno stile personale attraverso uno sperimentalismo aperto a tematiche e tecniche disparate.
Le Rime rappresentano l’esordio poetico dantesco, anche se non siamo in grado di stabilire una datazione certa. Nel corpus troviamo delle poesie, dei sonetti che Dante scriveva ai suoi amici, come a Dante da Maiano (si chiavano con lo stesso nome), a Cino da Pistoia o a Guido Cavalcanti, al quale scrive del suo desiderio di fare un viaggio avventuroso in un’atmosfera arturiana.
Fra le rime, spicca l’insolita “Tenzone con Forese Donati” in cui Dante si prende gioco del fratello del capo della fazione dei guelfi neri, suoi avversari politici. In questa tenzone si può notare come il poeta esperimenti lo stile di scherno tipico dei versi che troveremo nei canti dell’Inferno.
Le cosiddette “Rime Petrose” invece sono due canzoni in cui Dante esperimenta un linguaggio duro, aspro, dove anche la scelta lessicale è di impatto, crudele. Nelle rime petrose il poeta si rode d’amore per una donna che lo rifiuta con durezza e con altrettanta durezza egli le giura vendetta. Qui la donna non è l’angelo dello stilnovo e le regole comportamentali vengono completamente disattese.
Il nostro libro accenna anche ad una rima dal titolo “Il Fiore”. I critici sono in dubbio sull’attribuzione della paternità dantesca a quest’opera che è la trasposizione in volgare di un poemetto francese della tradizione cortese, meglio conosciuto come “Il romanzo della rosa”
LE CANZONI ALLEGORICO-DOTTRINALI
Alla morte di Beatrice, Dante rimane profondamente colpito e cerca consolazione negli studi filosofici. Ispirato, compone alcune rime di argomento filosofico, chiamate appunto canzoni allegorico dottrinali, in cui celebra l’amore per una donna gentile che è la FILOSOFIA.
IL CONVIVIO
Sempre di carattere filosofico dottrinale è il contenuto del Convivio, trattato rivoluzionario, perchè scritto interamente in volgare.
A quei tempi i trattati filosofici erano assolutamente scritti in latino in quanto rivolti ad un pubblico selezionato.
Il libro si prefiggeva invece proprio lo scopo di divulgare il sapere ad un pubblico più vasto, abbracciando anche quello meno colto. Il titolo, Convivio, significa banchetto e metaforicamente Dante, seduto a tavola distribuisce ai commensali il pane della sapienza, cibo per l’anima.
In realtà qui gli argomenti vengono solo introdotti ed il progetto iniziale risulta meno sviluppato di quanto Dante intendesse fare. Infatti si presume volesse creare una vera e propria enciclopedia del sapere universale, ma l’impegno profuso alla stesura della Commedia abbia esaurito il tempo e le forze che il poeta avrebbe potuto destinare a questo progetto. Il Convivio è rimasto incompiuto proprio perchè è servito da impalcatura per la Divina Commedia, che in effetti è un trattato universale del comportamento umano.
Dal Convivio abbiamo approfondito:
• Il naturale desiderio di sapere
• In difesa del volgare
• Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
• I quattro sensi delle scritture
Il naturale desiderio di sapere
Con questo trattato inizia il Convivio. Dante, ispirato dalla filosofia aristotelica, così in voga in quel periodo, sostiene che l’uomo è naturalmente portato alla sapienza, solo che per vari motivi, magari perchè non ha tempo a causa di impegni famigliari, oppure non può frequentare circoli di divulgazione culturale, non può così soddisfare questa sua inclinazione.
In questo brano Dante fa notare la differenza tra quest’opera matura rispetto alla Vita Nuova, scritta in età giovanile, non tanto per sminuire quest’ultima, quanto per giustificare la caratteristica dello stile determinato dall’età e dall’indole dello scrittura.
In difesa del volgare
In questo brano Dante cerca di convincere il suo pubblico sulla necessità di esprimersi in volgare anzichè in latino. La scansione è ternaria: 1) è assurdo scrivere commenti in latino ad una canzone in volgare, subordinando una lingua superiore ad una lingua inferiore; 2) l’opera scritta in volgare è accessibile anche ad un pubblico meno colto; 3) il volgare è la lingua naturale, quella che ci viene insegnata dalla mamma.
Il trattato dantesco prosegue con un elogio del latino, sempre in tre punti: 1) è incorruttibile, da secoli è invariato, mentre il volgare è soggetto a continui mutamenti; 2) è una lingua ricca che si presta alla divulgazione scientifica, tecnica e teologica; 3) il latino è bello, armonioso, grammaticalmente perfetto.
In questo brano del Convivio Dante annuncia la sua intenzione di scrivere il “De vulgari eloquentia” anticipando il contenuto.
Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
È la prima canzone che compare nel Convivio, al secondo capitolo. Dante, questa volta sceglie come pubblico gli angeli del terzo cielo, ritenendo che solo simili entità divine possano capirlo e spiega loro che ora che Beatrice non c’è più, lui si consola con la donna gentile, che allegoricamente è la filosofia.
Descrive dunque il suo nuovo sentimento, confrontandolo con quello che provava per Beatrice.
Il riferimento alla cosmologia, all’inizio di questa canzone, in cui cita un terzo cielo in cui risiedono gli angeli ai quali si rivolge, è dovuto al fatto che Dante abbraccia la teoria tolemaica, in voga in quel periodo, secondo la quale la terra era al centro dell’universo, circondata da 9 cieli; si credeva che la rivoluzione di questi cieli influisse sulla vita degli uomini. Ecco perchè Dante pensava che il pensiero d’amore prendesse vita nel terzo cielo, quello dominato da Venere.
Importantissimo il riferimento a questa “donna gentile” diversa da Beatrice, che troviamo sia nel Convivio sia nella Vita Nuova. In entrambe le opere Dante è diviso tra l’amore di queste due donne, solo che nella Vita Nuova trionferà Beatrice, mentre nel Convivio Dante contraddice i suoi precedenti sentimenti.
Gli studiosi danteschi hanno avanzato l’ipotesi che effettivamente Dante avesse composto questi versi proprio per una donna e che poi li avesse adattati successivamente attribuendo loro l’allegoria.
Ad ogni modo, sia che la donna fosse reale o allegorica, Dante la canta riprendendo la forma stilnovistica.
I quattro sensi delle scritture
Questo brano introduce il secondo capitolo del Convivio, dove troviamo anche la canzone sopracitata. In esso Dante spiega, sempre utilizzando la metafora della cena, come deve essere mangiato il cibo da lui proposto, ovvero come deve venire interpretato un testo poetico.
I gradi dell’interpretazione sono 4: letterale, allegorico, morale e anagogico.
Per interpretazione letterale s’intende quella chiara, la più intuibile che è quella che il testo suggerisce senza significati occulti.
L’interpretazione allegorica è quella che invece va colta con un po’ di sensibilità da parte del lettore; Dante cita parecchi esempi di interpretazione allegorica, fra cui certi brani tratti dalla Bibbia o da classici latini; in particolare cita l’esempio dell’episodio delle Metamorfosi di Ovidio in cui Orfeo che con il suo canto ammansiva le bestie e faceva muovere le pietre, è la metafora dell’uomo saggio che riesce ad ammansire i crudeli ed a trasmettere la propria elevazione spirituale.
Dante spiega l’interpretazione morale avvalendosi di brani tratti dai Vangeli e dai Salmi dal cui testo evangelico si possono trarre suggerimenti comportamentali avendo quindi uno scopo didattico.
Infine l’interpretazione anagogica consiste nel trovare verità e conoscenze supreme, soprattutto nei testi sacri.
IL DE VULGARI ELOQUENTIA
Questo trattato è scritto in latino perchè in esso Dante si rivolge ai letterati per convincerli della necessità di diffondere la cultura in lingua volgare.
Purtroppo quest’opera non solo è incompleta ma è anche interrotta bruscamente lasciando incompiuto persino il periodo.
Ad ogni modo il primo libro, che è completo, è composto da 19 capitoli in cui si fornisce una vera e propria teoria del linguaggio, indagando alle sue origini.
Dante afferma che l’uomo deve esprimere il proprio pensiero e da sempre ha preferito il linguaggio alla gestualità, anche se precedentemente all’episodio della torre di Babele, vi era un’unica lingua.
L’esame linguistico di Dante continua con l’analisi dei dialetti italiani. Questa ricerca in realtà non era finalizzata alla conoscenza dei vari dialetti, bensì alla ricerca di un dialetto adatto per fare poesia. Ho già citato precedentemente la scheda consegnataci all’inizio del programma di Letteratura, tratta da quest’opera di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime.
Dal De vulgari eloquentia abbiamo approfondito
• Le teoria degli stili
Nel brano Dante afferma che è necessario stabilire delle regole fisse per creare i versi poetici. E’ vero che ci sono poeti improvvisati che hanno scritto parole bellissime, però chiamarli poeti è improprio, perchè essi non ricorrono a quelle regole metriche che determinano la perfezione del verso.
Allo stesso modo lo stile d’espressione dovrà essere scelto dal poeta in base all’argomento. Nel chiudere il discorso Dante investe la figura del poeta della responsabilità addirittura sacra di divulgare la cultura.
NICCOLO' MACHIAVELLI
Machiavelli non viene ricordato solo come scrittore. Egli fu filosofo, storiografo, pensatore politico, commediografo.
Egli viene considerato il padre fondatore del pensiero politico moderno: infatti tentò per primo di fondare una scienza della politica basata su una ricerca di leggi comportamentali dell’uomo politico.
Fu straordinario autore di commedie (basti pensare all’intramontabile Mandragola) e storiografo dall’eccezionale acutezza interpretativa (Istorie fiorentine); inoltre dedicò ai classici antichi un singolarissimo metodi di studio per confrontarli all’attualità rendendo così un’interpretazione originalissima della realtà contemporanea.
L’attualità di Machiavelli
Certamente egli continua ad essere il letterato italiano più conosciuto e più letto all’estero di tutti i tempi.
La Chiesa vietò a lungo la pubblicazione e la diffusione dei suoi testi perchè la sua visione laica e spregiudicata della politica offendeva i sentimenti religiosi.
Nonostante ciò il suo pensiero seppe squotere e risvegliare la politica europea. I concetti di stato, di potere, ed i metodi di analisi politica con Machiavelli cambiarono radicalmente.
La vita
Nasce a Firenze il 3 maggio 1469 (ha 5 anni più di Ariosto). Della sua giovinezza e dei suoi studi si sa ben poco. Dai libri ritrovati, appartenuti al padre, si presume abbia ricevuto una buona cultura.
Abbiamo la prima testimonianza che lo riguarda dal 1498, anno in cui, quasi trentenne, divenne segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina, l’organismo che si occupava della politica estera. Nel 1501 si sposò.
Manterrà questo incarico per 14 anni, lavorando con una passione innata per la politica. Inviato presso principi e re presso varie città italiane ed europee, egli ebbe modo di osservare e conoscere da vicino i grandi protagonisti della storia del suo tempo. Questa esperienza sarà di grande beneficio per le sue opere della maturità.
In questo periodo di continui incarichi, egli colse varie opportunità per scrivere lettere, trattati, discorsi, considerazioni sulle effettive problematiche che via, via si presentavano alla sua attenzione, in qualità di funzionario di stato. Per esempio, quando viene inviato alla corte di Cesare Borgia ne resta così colpito da scrivere “il tradimento del duca Valentino....” ; la figura politica del Valentino (Cesare Borgia) verrà ripresa per delineare i requisiti del Principe.
Nel 1512 la famiglia de’ Medici rientra a Firenze dopo 18 anni d’esilio. Machiavelli, essendo funzionario del governo uscente, venne licenziato. Addirittura, un anno dopo, sospettato di aver tramato contro i Medici, viene imprigionato e torturato.
Confinato in una piccola tenuta fuori Firenze, approfittò della reclusione per iniziare a scrivere il Principe. Nel 1516 comincia a frequentare l’accademia degli Orti Oricellari.
Intanto i rapporti con i dè Medici si rasserenano, ottiene qualche incarico e guadagna un po’ di soldi. Gli viene commissionata dal cardinale Giulio dè Medici(futuro papa) una storia di Firenze, le Istorie Fiorentine.
Nel 1521 incontra il letterato Francesco Guicciardini, con il quale instaurerà un vivace rapporto epistolare.
Nel maggio 1527, durante un suo viaggio, apprende che i dè Medici, nel corso di un’insurrezione della città, sono stati di nuovo cacciati da Firenze: egli torna immediatamente a casa ma dopo appena un mese, il 21 giugno, muore per il riacutizzarsi di un’ulcera gastrica (anche se qualcuno pensa potesse trattarsi di infarto)
Le opere in Ordine cronologico
Le opere di Machiavelli sono tante e varie: trattati, discorsi, lettere, commedie, storiografie.
1499 - Discorso sopra Pisa
1503 - Parole da dirle sopra la provisione del danaio
1503 – Il tradimento del duca Valentino al Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo et altri
1503 - De natura gallorum
1504 - Decennale primo
1509 - Provvedimenti per la riconquista di Pisa
1510 - Ritracto di cose di Francia
1512 - Ritracto delle cose della Magna
1512 - Ai palleschi
1513 - Il principe
1514 - Decennale secondo
1517 - L'asino
1518 - La mandragola
1518 - Belfagor arcidiavolo
1518 - Discorso intorno alla nostra lingua
1519 - Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio
1520 - Dell'arte della guerra
1520 - Vita di Castruccio Castracani
1521 - Discursus florentinarum rerum
1525 - Istorie fiorentine
1525 – Clizia
Le lettere
Ci sono pervenute circa 300 lettere tra private e diplomatiche. Non essendo nate consapevolmente per far parte di un epistolario, esse sono diversissime per tono e argomento.
Quelle private, scritte a parenti ed amici, come Guicciardini (letterato) e Vettori (uomo politico), sono occasione per comprendere il suo temperamento scanzonato ed irriverente, soggetto a frequenti sbalzi d’umore, dal beffardo al malinconico.
Delle lettere diplomatiche, rimangono analisi accuratissime di realtà politiche o previsioni di mosse dei grandi protagonisti della storia europea.
I discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
L’opera risulta scritta nel periodo in cui Machiavelli frequentava gli Orti Oricellari: infatti è dedicata a Cosimo Rucellai, l’animatore di quelle riunioni di intellettuali.
Trattiamo quest’opera perchè essa è complementare del Principe come argomentazione politica. Tra le due opere vi è un’evoluzione di pensiero, cambiano i soggetti dell’osservazione, al posto del principe c’è la collettività, il popolo, che è il vero protagonista dei Discorsi, però la finalità è la stessa: cercare un modello di comportamento politico di successo.
Alcuni pensieri tratti dai Discorsi sono di grande lungimiranza.
Per Machiavelli il diffondersi della corruzione è un processo inevitabile, perchè lo Stato, come ogni organismo, nasce, invecchia e muore, ed è pertanto soggetto alla decadenza. Il compito dei politici è saper ritardare questo processo degenerativo.
Ai Discorsi appartengono altre intuizioni geniali, quali, ad esempio, l’elogio alla costituzione romana, che aveva permesso alle componenti della repubblica di esprimere liberamente i propri legittimi interessi senza generare conflitti civili: visione che anticipava di due secoli l’organizzazione dello stato liberale.
Nei discorsi, Machiavelli parte dall’analisi della storia di Roma fino ai suoi tempi, avvalendosi della testimonianza di Tito Livio (storico non sempre oggettivo, perchè tende a giustificare il comportamento romano a costo di falsificare gli eventi).
Machiavelli studia attentamente l’organizzazione politica della Roma antica, che egli ammira profondamente, non limitandosi ad una sterile osservazione: egli ne individua la logica, dall’analisi dei fatti, dal comportamento dei politici, cercando modelli adattabili alla politica attuale.
Egli tocca vari aspetti della politica e della storia: il ruolo della religione, i valori della comunità, la salvaguardia della libertà; si parla di guerra e di politica estera. Ed ancora: filosofia, filologia (in questo contesto si parla della manipolazione di fonti storiche).
L’opera è un insieme di saggi, in tutto 142, raggruppati per 3 libri che in linea generale sono organizzati per tematiche, anche se non in modo rigido: segno che Machiavelli ha composto i libri nell’ordine in cui li ha scritti, senza badare troppo alla classificazione dei testi.
IL PRINCIPE
L’opera è un TRATTATO costituito da 26 brevi capitoli. Machiavelli la scrisse in pochi mesi, nel 1513, come si evince dalla lettera inviata all’amico Francesco Vettori, nella quale gli annuncia d’aver completato l’opera.
Abbiamo già accennato al fatto che l’opera venne composta quando i de’ Medici erano tornati a Firenze, licenziando Machiavelli , essendo egli funzionario del governo uscente. L’anno succesivo addirittura era stato accusato, imprigionato e torturato per congiura contro la famiglia medicea.
Confinato in una tenuta fuori Firenze, impiegò l’esilio forzato per scrivere il trattato.
Tematiche
In questo trattato, Machiavelli indica al principe come conquistare e mantenere il potere monarchico, e persino come comportarsi in caso di perdita.
Struttura
All’inizio del Principe vi sono due lettere: una all’amico Francesco Vettori, in cui annuncia di aver terminato di scrivere il trattato; l’altra lettera è la dedica che Machiavelli rivolge a Lorenzo de’ Medici il giovane (nipote del Magnifico)
Nei primi capitoli egli descrive alcune forme di governo. Le finalità dell’opera non si fermano senz’altro ad una classificazione delle molteplici forme di monarchia esistenti, proponendosi, invece, di trovare una immediata soluzione all’instabilità politica italiana di quegli anni, fornendo ai principi gli strumenti operativi indispensabili alla loro posizione di potere.
La situazione politica italiana
Nel 1494 i francesi avevano invaso la penisola per conquistare il regno di Napoli, su cui vantavano pretese dinastiche. Successivamente, tra incessanti guerre, l’Italia era diventata territorio di contesa anche per Spagna e Impero della Confederazione Svizzera.
Di fronte all’invasione delle grandi monarchie europee, i piccoli stati italiani non erano stati capaci di difendersi, perdendo il potere.
E’ in questo contesto storico che Machiavelli avverte l’esigenza di cercare i mezzi per creare uno stato forte e saldo.
La scienza politica
Fin dalla lettera di dedica a un membro della famiglia de’ Medici, scritta nel tentativo di trovare un impiego presso di loro, Machiavelli avvisa che il trattato è frutto di anni di esperienza politica pratica, acquisita in 14 anni di lavoro come funzionario governativo. E spiega che è altresì frutto dello studio delle opere storiche.
Fare dell’analisi politica una scienza è la grande sfida di Machiavelli.
L’analisi del comportamento
Per poter prevedere le manovre dell’avversario è necessario analizzare il comportamento umano che, secondo Machiavelli, è regolato da costanti antropologiche: possono mutare le circostanze, ma le reazioni saranno sempre dettate da una struttura intima umana, fatta di impulsi, desideri, egoismi, interessi.
Il modello del perfetto principe
Sarebbe bello se il principe potesse essere buono, leale, pietoso e contemporaneamente sapesse mantenere il proprio potere. Ciò non è possibile.
Machiavelli prende come esempio Cesare Borgia, chiamato il Valentino, (figlio di papa Alessandro Borgia e della sua concubina, madre anche di Giovanni, Goffredo e Lucrezia, la famosa avvelenatrice) presso il quale venne inviato come funzionario nel 1502, avendo così modo di osservarne attentamente il comportamento che lo colpì al punto da indurlo a scrivere “Il tradimento del duca Valentino al Vitellozzo Vitelli.....” in cui narra di quando Cesare Borgia, aveva invitato ad una cena luculliana i partecipanti ad una congiura contro di lui e dopo aver fatto loro complimenti e salamelecchi, li aveva fatti uccidere tutti nottetempo. Di lui si sa anche che avesse il volto e le mani deturpate dalla sifilide.
Di lui, Machiavelli afferma che grazie alla sua crudeltà, durezza ed inflessibilità, aveva ristabilito pace, ordine, rispetto per le leggi in una terra come la Romagna, lacerata da discordie e violenze.
Diversamente dal governo fiorentino che per evitare violenze non aveva saputo sedare la rivolta di Pistoia.
Dunque, un principe buono non è mai un buon principe.
Conflitto con la moralità
Curiosi alcuni suggerimenti comportamentali: se il principe deve eliminare un suddito che gli è d’intrancio, può farlo uccidere, senza però sottrargli denari e proprietà, in quanto, afferma Machiavelli, l’uomo dimentica più facilmente la morte del padre che la perdita del patrimonio.
E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un netto conflitto con la moralità religiosa.
Eppure Machiavelli mette bene in chiaro che la politica è materia infida e chi si mette in politica deve essere pronto a rispondere alla violenza, al tradimento, con pari strumenti.
Per anni la Chiesa ha proibito la diffusione de “Il Principe”, accusando il pensiero machiavelliano di cinismo ed amoralità.
Il male è condizione costitutiva della natura dell’uomo.
Il male esiste ed il principe, per sopravvivere, deve conoscerlo, accettarlo, sapersene difendere con ogni mezzo, anche se ciò significa fare a sua volta del male.
Questi pensieri vennero fortemente criticati dall’opinione pubblica e soltanto dopo Foscolo si riuscì ad accettare l’ottica della necessità di dover ricorrere a decisioni politiche estreme sacrificando pochi per il benessere di molti.
Virtù e fortuna
Di questi due concetti è impregnato il cinquecento.
La virtù per Machiavelli è un’insieme di doti che deve possedere l’individuo, che ricorda assai più il concetto di virtus romana intesa come valore militare, coraggio, sagacia, ecc ; niente a che vedere con la virtù intesa come moralità positiva della comune accezione cristiana.
La fortuna indica l’insieme di circostanze imprevedibili e casuali.
Per Machiavelli, applicare la virtù alle costruzioni politiche significa sottrarle al destino di corruzione e rovina che sempre incorre su loro.
Di fronte agli eventi tragici della storia di uno stato, bisogna lottare: sono affermate le potenzialità dell’uomo contro la sorte. Non è vero che nulla può l’uomo per contrastare il destino!
A questo proposito egli paragona la fortuna alla donna, che preferisce la compagnia dei giovani perchè sono più impulsivi, coraggiosi, decisi ed audaci.
Lo stile compositivo
Anche se nella lettera di dedica lo scrittore avvisa di non aver badato allo stile di scrittura, in realtà le pagine del Principe sono redatte in una prosa elegante, studiata nei minimi dettagli per enfatizzare gli argomenti trattati. Lo stile è personalissimo ed efficace.
- Uno degli espedienti argomentativi più usati è il ragionamento binario, introdotto dalla congiuzione coordinante “o”. esempi: o per fortuna o per virtù; oppure gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; i capi mercenari o sono valorosi o non lo sono.
In questo modo esclude alternative lasciando solo due possibilità.
- Machiavelli fa uso di termini metaforici concreti, tratti da un lessico di arti e mestieri, di modo che il lettore riesca a immaginarsi meglio il significato, mettendolo immediatamente in relazione con l’esempio che rappresenta. Di seguito qualche esempio:
Creare le fondamenta di uno stato (come il muratore costruire le basi di una casa); il disordine è una malattia, l’intervento del principe una medicina (termini di origine medica); il politico è un centauro (figura mitologica mezzo uomo e mezzo cavallo, per descriverne la bestialità unita all’umanità); oppure il termine “spegnere” per indicare con asettica freddezza l’uccidere...
- Da segnalare anche la tendenza ad usare termini che esprimono necessità : si deve, è necessario, conviene... ecc ecc
- Infine ricorre ad affermazioni apodittiche, ovvero non dimostrate, ma proposte in modo da creare una catena di cause, legate fra loro da due o più nessi tipo, perchè, adunque, onde, pertanto.
La circolazione del Principe.
Fintanto che Machiavelli fu in vita abbiamo pochissime opere stampate. Ciò non significa che esse non circolassero, manoscritte, anche al di fuori della sua cerchia di amicizie.
Prova ne è che un celebre filosofo Cinquecentesco, Agostino Nifo, pubblicò a Napoli un trattato di politica, L’abilità di governo, che è un plagio del Principe, di cui ribalta le tesi, poichè non le condivide. L’opera di Nifo è il primo caso di “opera antimachiavellica” e fornisce una testimonianza della circolazione del Principe fuori Firenze.
Le opere di Machiavelli destarono un interesse enorme, come viene testimoniato dal numero delle edizioni e ristampe dal 500 in poi.
Siccome la Chiesa proibì la diffusione dell’opera nei paesi cattolici (Censura), tutte le copie del Principe, e anche delle altre opere di Machiavelli, vennero pubblicate in paesi stranieri in cui si era diffusa la Riforma protestante, come Inghilterra e Germania. Spesso venivano stampate tranquillamente in Italia, con la falsa indicazione del luogo di pubblicazione.
Indice dei capitoli del Principe
Dedica a Lorenzo de' Medici il giovane
Capitolo I i tipi di principato e le loro caratteristiche
Capitolo II i principati ereditari – facili da conservare – (non gli interessano e termina in breve)
Capitoli III-IV-V i principati misti – cioè di nuova acquisizione – descrizione e suggerimenti
Capitoli da IV in poi appaiono i concetto di fortuna e virtù
- esempio di potere raggiunto con la virtù Francesco Sforza
- esempio di potere raggiunto con la fortuna Cesare Borgia (che poi ha saputo mantenerlo con la virtù!)
Capitolo IX i principati civili – quelli eletti dal popolo – i più duraturi- qui si coglie l’orientamento politico democratico di Machiavelli
Capitolo X come difendersi dagli attacchi stranieri
Capitolo XI i principati ecclesiastici – critica feroce nei confronti dei papi, personaggi influenti provenienti da famiglie altrettanto influenti
Capitolo XII-XIV in questi capitoli si parla dell’esercito e dei doveri militari del principe, Machiavelli polemizza sulla diffusione dell’esercito mercenario, pagato dalle famiglie influenti; invece il principe deve dotarsi di un esercito fatto dei suoi cittadini, animati da fedeltà e patriottismo.
Capitoli XV–XXIII Otto capitoli sono dedicati alle qualità personali del principe. E’ questa la sezione più innovativa e scandalosa del trattato, dove a dispetto della moralità, viene consigliata una condotta opportunista.
Fra i consigli: come allontanare gli adulatori, come scegliere i collaboratori.
Capitoli XXIV-XXVI Negli ultimi tre capitoli Machiavelli si domanda se esiste la possibilità, attuando un’azione politica, di riscattare l’Italia dalla sottomissione in cui si trova.
La situazione non è dovuta al destino ma all’incapacità della classe dirigente.
Diagnosticare gli errori è il primo passo per risolverli
A concludere il trattato una esortazione a liberare l’Italia: che un principe italiano sappia creare un’entità statale forte e solida.
La Dedica
All’inizio Machiavelli aveva dedicato l’opera a Giuliano de’ Medici, il figlio del Magnifico, cambiando in seguito idea e dedicandola a Lorenzo il Giovane.
Abbiamo già accennato al fatto che l’opera venne composta mentre Machiavelli era esiliato in una piccola tenuta fuori Firenze e che sperava in questo modo di accattivarsi di nuovo la grazia della potente famiglia per ottenere un lavoro.
L’autore presenta la sua opera con modestia apparente, perchè fa notare di aver usato per il suo “libretto” un linguaggio semplice. Tuttavia spiega subito che non si tratta una raccolta di pensieri scritti a tavolino: sono piuttosto il frutto di anni ed anni di esperienza diretta e di studi approfonditi sui classici antichi.
L’accostamento tra esperienza e studio è il suo metodo di lavoro, tanto che ripeterà questa affermazione anche nella dedica dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
Oltre ad essere il suo modus operandi, l’accostamento tra esperienza e studio dei testi antichi, diventa anche la regola di una nuova scienza politica che unisce il realismo ad un solido impianto teorico.
Nella dedica egli si paragona ad un cartografo che osserva la realtà e la disegna sulla carta: deve porsi in basso per vedere i luoghi alti e porsi in alto per osservare i luoghi bassi.
I diversi tipi di principato
Al primo capitolo, Machiavelli elenca e descrive i vari tipi di principato. Si tratta di una classificazione che funge quasi da indice degli argomenti di cui tratterà.
Il capitolo è davvero brevissimo, otto righe in prosa volgare, eppure c’è proprio tutto, scandito da uno stile dilemmatico.
La struttura è caratterizzata sulle coppie antitetiche del ragionamento binario introdotte dalle congiunzioni coordinate o...o che attestano che ci sono due sole possibilità. Via, via, le prime due possibilità si dividono in altre due, e così via, fino alla fine del ragionamento.
Machiavelli inoltre fa notare che qui parla solo di monarchia, perchè di repubblica ne parla in un altra sua opera, riferendosi ai Discorsi sulla prima deca di Tito Livio.
Le qualità positive e negative del Principe – capitolo XV
Questo è il testo dell’opera che ha destato scandalo. Quello che ha segnato un metodo d’indagine rivoluzionario. Che piaccia o no, il pensiero politico moderno è nato da qui e su queste parole secche e calibrate, generazioni di pensatori politici hanno dovuto misurarsi.
Il capitolo è diviso in due parti:
nella prima, più teorica, egli affronta il metodo
nella seconda, più pratica, l’autore applica i princìpi enunciati facendo esempi concreti.
Siccome è consapevole del fatto che sta scrivendo cose completamente rivoluzionarie, introduce il capitolo con una sorta di proemio, in cui anticipa l’argomento e professa la propria modestia.
Il principe che sa mantenere lo stato, cioè un buon principe, non è un principe buono, cioè retto e rispettoso della morale.
Egli polemizza sulla visione mentale di quella figura di principe che fin dal medioevo ha preso forma nell’immaginario collettivo.
Le parole chiave di questo trattato sono VERITA’ EFFETTUALE e IMAGINAZIONE.
Verità effettuale significa analizzare in modo spregiudicato le situazioni, ciò realistico, oggettivo.
Imaginazione è l’esatto opposto, cioè è un vedere mentale, fatto di preconcetti astratti.
La sfida della fortuna – capitolo XXV
Dopo aver accennato al dilemma virtù/fortuna, Machiavelli dedica a questi concetti un intero capitolo, cercando di definirle e di stabilire se si possa con la ragione controllare la realtà.
Si possono realizzare i propri scopi, sottraendosi, almeno in parte, all’imprevisto?
Affinchè non sia annullato il libero arbitrio egli ritiene plausibile che la fortuna determini metà delle nostre azioni concedendoci di controllare l’altra metà.
Il principe deve intervenire adeguandosi alle specifiche necessità, perchè la stessa azione fatta in situazioni diverse può sortire effetti opposti.
Machiavelli prende come esempio di determinazione ed impeto papa Giulio II che seppe affermarsi al potere sottomettendo le signorie locali e muovendosi con una mirabile tattica politica.
Paragoni/metafore:
• La fortuna è come un fiume che quando si ingrossa allaga le pianure travolgendo tutto ciò che trova, nessuno può scampare. Però si sarebbero potuti creare degli argini mentre le acque erano calme, in previsione dell’alluvione. La fortuna si accanisce se non è contrastata dalla capacità di domarla.
Se un principe affida il suo potere alla fortuna cadrà in rovina.
• La fortuna è come una donna: se si vuole che si sottometta, bisogna trattarla con violenza e picchiarla. Si vede che la donna si lascia vincere da chi la tratta male e preferisce i giovani che sono meno rispettosi, sono feroci e più audaci.
L’appello per il riscatto d’Italia – capitolo XXVI
Il capitolo finale si apre con l’affermazione che le condizioni storiche favoriscono l’ascesa di un nuovo principe.
Si portano come esempi, personaggi gloriosi del passato: non ci sarebbe stato Mosè senza la schiavitù d’Israele, nè Ciro senza la sottomissione dei persiani, nè Teseo se gli ateniesi, che lui riuscì a riunire, non fossero stati dispersi.
Circostanze storiche hanno impedito al Valentino di salvare l’Italia. Nella famiglia de’ Medici ci sarebbero le prerogative per attuare questa realtà politica. Le argomentazioni sono deboli per cui Machiavelli ricorre all’espediente dell’amplificazione retorica.
La prosa rigorosa ed essenziale che contraddistingue tutto il trattato, nel capitolo finale, lascia infatti il posto ad una commossa esortazione, la cui drammaticità viene amplificata da alcune soluzioni retoriche. Molte anafore, accumulo di aggettivi, sequenza incalzante di complementi. Per accrescere l’emotività anche la personificazione dell’Italia.
Prima di terminare, ribadisce il concetto che il progetto è realizzabile tenendo conto di tutto quanto argomentato; a questo punto ripete l’argomento che per lui rappresenta il fattore determinante: creare un esercito proprio, non mercenario.
Il trattato si chiude con la citazione della poesia di Petrarca All’Italia.
Abbiamo già accennato al fatto che l’opera venne composta quando i de’ Medici erano tornati a Firenze, licenziando Machiavelli , essendo egli funzionario del governo uscente. L’anno succesivo addirittura era stato accusato, imprigionato e torturato per congiura contro la famiglia medicea.
Confinato in una tenuta fuori Firenze, impiegò l’esilio forzato per scrivere il trattato.
Tematiche
In questo trattato, Machiavelli indica al principe come conquistare e mantenere il potere monarchico, e persino come comportarsi in caso di perdita.
Struttura
All’inizio del Principe vi sono due lettere: una all’amico Francesco Vettori, in cui annuncia di aver terminato di scrivere il trattato; l’altra lettera è la dedica che Machiavelli rivolge a Lorenzo de’ Medici il giovane (nipote del Magnifico)
Nei primi capitoli egli descrive alcune forme di governo. Le finalità dell’opera non si fermano senz’altro ad una classificazione delle molteplici forme di monarchia esistenti, proponendosi, invece, di trovare una immediata soluzione all’instabilità politica italiana di quegli anni, fornendo ai principi gli strumenti operativi indispensabili alla loro posizione di potere.
La situazione politica italiana
Nel 1494 i francesi avevano invaso la penisola per conquistare il regno di Napoli, su cui vantavano pretese dinastiche. Successivamente, tra incessanti guerre, l’Italia era diventata territorio di contesa anche per Spagna e Impero della Confederazione Svizzera.
Di fronte all’invasione delle grandi monarchie europee, i piccoli stati italiani non erano stati capaci di difendersi, perdendo il potere.
E’ in questo contesto storico che Machiavelli avverte l’esigenza di cercare i mezzi per creare uno stato forte e saldo.
La scienza politica
Fin dalla lettera di dedica a un membro della famiglia de’ Medici, scritta nel tentativo di trovare un impiego presso di loro, Machiavelli avvisa che il trattato è frutto di anni di esperienza politica pratica, acquisita in 14 anni di lavoro come funzionario governativo. E spiega che è altresì frutto dello studio delle opere storiche.
Fare dell’analisi politica una scienza è la grande sfida di Machiavelli.
L’analisi del comportamento
Per poter prevedere le manovre dell’avversario è necessario analizzare il comportamento umano che, secondo Machiavelli, è regolato da costanti antropologiche: possono mutare le circostanze, ma le reazioni saranno sempre dettate da una struttura intima umana, fatta di impulsi, desideri, egoismi, interessi.
Il modello del perfetto principe
Sarebbe bello se il principe potesse essere buono, leale, pietoso e contemporaneamente sapesse mantenere il proprio potere. Ciò non è possibile.
Machiavelli prende come esempio Cesare Borgia, chiamato il Valentino, (figlio di papa Alessandro Borgia e della sua concubina, madre anche di Giovanni, Goffredo e Lucrezia, la famosa avvelenatrice) presso il quale venne inviato come funzionario nel 1502, avendo così modo di osservarne attentamente il comportamento che lo colpì al punto da indurlo a scrivere “Il tradimento del duca Valentino al Vitellozzo Vitelli.....” in cui narra di quando Cesare Borgia, aveva invitato ad una cena luculliana i partecipanti ad una congiura contro di lui e dopo aver fatto loro complimenti e salamelecchi, li aveva fatti uccidere tutti nottetempo. Di lui si sa anche che avesse il volto e le mani deturpate dalla sifilide.
Di lui, Machiavelli afferma che grazie alla sua crudeltà, durezza ed inflessibilità, aveva ristabilito pace, ordine, rispetto per le leggi in una terra come la Romagna, lacerata da discordie e violenze.
Diversamente dal governo fiorentino che per evitare violenze non aveva saputo sedare la rivolta di Pistoia.
Dunque, un principe buono non è mai un buon principe.
Conflitto con la moralità
Curiosi alcuni suggerimenti comportamentali: se il principe deve eliminare un suddito che gli è d’intrancio, può farlo uccidere, senza però sottrargli denari e proprietà, in quanto, afferma Machiavelli, l’uomo dimentica più facilmente la morte del padre che la perdita del patrimonio.
E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un netto conflitto con la moralità religiosa.
Eppure Machiavelli mette bene in chiaro che la politica è materia infida e chi si mette in politica deve essere pronto a rispondere alla violenza, al tradimento, con pari strumenti.
Per anni la Chiesa ha proibito la diffusione de “Il Principe”, accusando il pensiero machiavelliano di cinismo ed amoralità.
Il male è condizione costitutiva della natura dell’uomo.
Il male esiste ed il principe, per sopravvivere, deve conoscerlo, accettarlo, sapersene difendere con ogni mezzo, anche se ciò significa fare a sua volta del male.
Questi pensieri vennero fortemente criticati dall’opinione pubblica e soltanto dopo Foscolo si riuscì ad accettare l’ottica della necessità di dover ricorrere a decisioni politiche estreme sacrificando pochi per il benessere di molti.
Virtù e fortuna
Di questi due concetti è impregnato il cinquecento.
La virtù per Machiavelli è un’insieme di doti che deve possedere l’individuo, che ricorda assai più il concetto di virtus romana intesa come valore militare, coraggio, sagacia, ecc ; niente a che vedere con la virtù intesa come moralità positiva della comune accezione cristiana.
La fortuna indica l’insieme di circostanze imprevedibili e casuali.
Per Machiavelli, applicare la virtù alle costruzioni politiche significa sottrarle al destino di corruzione e rovina che sempre incorre su loro.
Di fronte agli eventi tragici della storia di uno stato, bisogna lottare: sono affermate le potenzialità dell’uomo contro la sorte. Non è vero che nulla può l’uomo per contrastare il destino!
A questo proposito egli paragona la fortuna alla donna, che preferisce la compagnia dei giovani perchè sono più impulsivi, coraggiosi, decisi ed audaci.
Lo stile compositivo
Anche se nella lettera di dedica lo scrittore avvisa di non aver badato allo stile di scrittura, in realtà le pagine del Principe sono redatte in una prosa elegante, studiata nei minimi dettagli per enfatizzare gli argomenti trattati. Lo stile è personalissimo ed efficace.
- Uno degli espedienti argomentativi più usati è il ragionamento binario, introdotto dalla congiuzione coordinante “o”. esempi: o per fortuna o per virtù; oppure gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; i capi mercenari o sono valorosi o non lo sono.
In questo modo esclude alternative lasciando solo due possibilità.
- Machiavelli fa uso di termini metaforici concreti, tratti da un lessico di arti e mestieri, di modo che il lettore riesca a immaginarsi meglio il significato, mettendolo immediatamente in relazione con l’esempio che rappresenta. Di seguito qualche esempio:
Creare le fondamenta di uno stato (come il muratore costruire le basi di una casa); il disordine è una malattia, l’intervento del principe una medicina (termini di origine medica); il politico è un centauro (figura mitologica mezzo uomo e mezzo cavallo, per descriverne la bestialità unita all’umanità); oppure il termine “spegnere” per indicare con asettica freddezza l’uccidere...
- Da segnalare anche la tendenza ad usare termini che esprimono necessità : si deve, è necessario, conviene... ecc ecc
- Infine ricorre ad affermazioni apodittiche, ovvero non dimostrate, ma proposte in modo da creare una catena di cause, legate fra loro da due o più nessi tipo, perchè, adunque, onde, pertanto.
La circolazione del Principe.
Fintanto che Machiavelli fu in vita abbiamo pochissime opere stampate. Ciò non significa che esse non circolassero, manoscritte, anche al di fuori della sua cerchia di amicizie.
Prova ne è che un celebre filosofo Cinquecentesco, Agostino Nifo, pubblicò a Napoli un trattato di politica, L’abilità di governo, che è un plagio del Principe, di cui ribalta le tesi, poichè non le condivide. L’opera di Nifo è il primo caso di “opera antimachiavellica” e fornisce una testimonianza della circolazione del Principe fuori Firenze.
Le opere di Machiavelli destarono un interesse enorme, come viene testimoniato dal numero delle edizioni e ristampe dal 500 in poi.
Siccome la Chiesa proibì la diffusione dell’opera nei paesi cattolici (Censura), tutte le copie del Principe, e anche delle altre opere di Machiavelli, vennero pubblicate in paesi stranieri in cui si era diffusa la Riforma protestante, come Inghilterra e Germania. Spesso venivano stampate tranquillamente in Italia, con la falsa indicazione del luogo di pubblicazione.
Indice dei capitoli del Principe
Dedica a Lorenzo de' Medici il giovane
Capitolo I i tipi di principato e le loro caratteristiche
Capitolo II i principati ereditari – facili da conservare – (non gli interessano e termina in breve)
Capitoli III-IV-V i principati misti – cioè di nuova acquisizione – descrizione e suggerimenti
Capitoli da IV in poi appaiono i concetto di fortuna e virtù
- esempio di potere raggiunto con la virtù Francesco Sforza
- esempio di potere raggiunto con la fortuna Cesare Borgia (che poi ha saputo mantenerlo con la virtù!)
Capitolo IX i principati civili – quelli eletti dal popolo – i più duraturi- qui si coglie l’orientamento politico democratico di Machiavelli
Capitolo X come difendersi dagli attacchi stranieri
Capitolo XI i principati ecclesiastici – critica feroce nei confronti dei papi, personaggi influenti provenienti da famiglie altrettanto influenti
Capitolo XII-XIV in questi capitoli si parla dell’esercito e dei doveri militari del principe, Machiavelli polemizza sulla diffusione dell’esercito mercenario, pagato dalle famiglie influenti; invece il principe deve dotarsi di un esercito fatto dei suoi cittadini, animati da fedeltà e patriottismo.
Capitoli XV–XXIII Otto capitoli sono dedicati alle qualità personali del principe. E’ questa la sezione più innovativa e scandalosa del trattato, dove a dispetto della moralità, viene consigliata una condotta opportunista.
Fra i consigli: come allontanare gli adulatori, come scegliere i collaboratori.
Capitoli XXIV-XXVI Negli ultimi tre capitoli Machiavelli si domanda se esiste la possibilità, attuando un’azione politica, di riscattare l’Italia dalla sottomissione in cui si trova.
La situazione non è dovuta al destino ma all’incapacità della classe dirigente.
Diagnosticare gli errori è il primo passo per risolverli
A concludere il trattato una esortazione a liberare l’Italia: che un principe italiano sappia creare un’entità statale forte e solida.
La Dedica
All’inizio Machiavelli aveva dedicato l’opera a Giuliano de’ Medici, il figlio del Magnifico, cambiando in seguito idea e dedicandola a Lorenzo il Giovane.
Abbiamo già accennato al fatto che l’opera venne composta mentre Machiavelli era esiliato in una piccola tenuta fuori Firenze e che sperava in questo modo di accattivarsi di nuovo la grazia della potente famiglia per ottenere un lavoro.
L’autore presenta la sua opera con modestia apparente, perchè fa notare di aver usato per il suo “libretto” un linguaggio semplice. Tuttavia spiega subito che non si tratta una raccolta di pensieri scritti a tavolino: sono piuttosto il frutto di anni ed anni di esperienza diretta e di studi approfonditi sui classici antichi.
L’accostamento tra esperienza e studio è il suo metodo di lavoro, tanto che ripeterà questa affermazione anche nella dedica dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
Oltre ad essere il suo modus operandi, l’accostamento tra esperienza e studio dei testi antichi, diventa anche la regola di una nuova scienza politica che unisce il realismo ad un solido impianto teorico.
Nella dedica egli si paragona ad un cartografo che osserva la realtà e la disegna sulla carta: deve porsi in basso per vedere i luoghi alti e porsi in alto per osservare i luoghi bassi.
I diversi tipi di principato
Al primo capitolo, Machiavelli elenca e descrive i vari tipi di principato. Si tratta di una classificazione che funge quasi da indice degli argomenti di cui tratterà.
Il capitolo è davvero brevissimo, otto righe in prosa volgare, eppure c’è proprio tutto, scandito da uno stile dilemmatico.
La struttura è caratterizzata sulle coppie antitetiche del ragionamento binario introdotte dalle congiunzioni coordinate o...o che attestano che ci sono due sole possibilità. Via, via, le prime due possibilità si dividono in altre due, e così via, fino alla fine del ragionamento.
Machiavelli inoltre fa notare che qui parla solo di monarchia, perchè di repubblica ne parla in un altra sua opera, riferendosi ai Discorsi sulla prima deca di Tito Livio.
Le qualità positive e negative del Principe – capitolo XV
Questo è il testo dell’opera che ha destato scandalo. Quello che ha segnato un metodo d’indagine rivoluzionario. Che piaccia o no, il pensiero politico moderno è nato da qui e su queste parole secche e calibrate, generazioni di pensatori politici hanno dovuto misurarsi.
Il capitolo è diviso in due parti:
nella prima, più teorica, egli affronta il metodo
nella seconda, più pratica, l’autore applica i princìpi enunciati facendo esempi concreti.
Siccome è consapevole del fatto che sta scrivendo cose completamente rivoluzionarie, introduce il capitolo con una sorta di proemio, in cui anticipa l’argomento e professa la propria modestia.
Il principe che sa mantenere lo stato, cioè un buon principe, non è un principe buono, cioè retto e rispettoso della morale.
Egli polemizza sulla visione mentale di quella figura di principe che fin dal medioevo ha preso forma nell’immaginario collettivo.
Le parole chiave di questo trattato sono VERITA’ EFFETTUALE e IMAGINAZIONE.
Verità effettuale significa analizzare in modo spregiudicato le situazioni, ciò realistico, oggettivo.
Imaginazione è l’esatto opposto, cioè è un vedere mentale, fatto di preconcetti astratti.
La sfida della fortuna – capitolo XXV
Dopo aver accennato al dilemma virtù/fortuna, Machiavelli dedica a questi concetti un intero capitolo, cercando di definirle e di stabilire se si possa con la ragione controllare la realtà.
Si possono realizzare i propri scopi, sottraendosi, almeno in parte, all’imprevisto?
Affinchè non sia annullato il libero arbitrio egli ritiene plausibile che la fortuna determini metà delle nostre azioni concedendoci di controllare l’altra metà.
Il principe deve intervenire adeguandosi alle specifiche necessità, perchè la stessa azione fatta in situazioni diverse può sortire effetti opposti.
Machiavelli prende come esempio di determinazione ed impeto papa Giulio II che seppe affermarsi al potere sottomettendo le signorie locali e muovendosi con una mirabile tattica politica.
Paragoni/metafore:
• La fortuna è come un fiume che quando si ingrossa allaga le pianure travolgendo tutto ciò che trova, nessuno può scampare. Però si sarebbero potuti creare degli argini mentre le acque erano calme, in previsione dell’alluvione. La fortuna si accanisce se non è contrastata dalla capacità di domarla.
Se un principe affida il suo potere alla fortuna cadrà in rovina.
• La fortuna è come una donna: se si vuole che si sottometta, bisogna trattarla con violenza e picchiarla. Si vede che la donna si lascia vincere da chi la tratta male e preferisce i giovani che sono meno rispettosi, sono feroci e più audaci.
L’appello per il riscatto d’Italia – capitolo XXVI
Il capitolo finale si apre con l’affermazione che le condizioni storiche favoriscono l’ascesa di un nuovo principe.
Si portano come esempi, personaggi gloriosi del passato: non ci sarebbe stato Mosè senza la schiavitù d’Israele, nè Ciro senza la sottomissione dei persiani, nè Teseo se gli ateniesi, che lui riuscì a riunire, non fossero stati dispersi.
Circostanze storiche hanno impedito al Valentino di salvare l’Italia. Nella famiglia de’ Medici ci sarebbero le prerogative per attuare questa realtà politica. Le argomentazioni sono deboli per cui Machiavelli ricorre all’espediente dell’amplificazione retorica.
La prosa rigorosa ed essenziale che contraddistingue tutto il trattato, nel capitolo finale, lascia infatti il posto ad una commossa esortazione, la cui drammaticità viene amplificata da alcune soluzioni retoriche. Molte anafore, accumulo di aggettivi, sequenza incalzante di complementi. Per accrescere l’emotività anche la personificazione dell’Italia.
Prima di terminare, ribadisce il concetto che il progetto è realizzabile tenendo conto di tutto quanto argomentato; a questo punto ripete l’argomento che per lui rappresenta il fattore determinante: creare un esercito proprio, non mercenario.
Il trattato si chiude con la citazione della poesia di Petrarca All’Italia.
TORQUATO TASSO
La vita
Nacque a Sorrento l’11 marzo del 1544. A otto anni dovette abbandonare la madre, che non rivide più, per seguire in esilio il padre Bernardo, un letterato che seguiva in esilio il suo Signore, anch’egli autore di un poema cavalleresco, l’Amadigi. Insieme viaggiarono molto.
Tasso studiò legge, filosofia ed eloquenza all’Università di Padova, rinomata sede di studi aristotelici, dove iniziò la stesura del Rinaldo, oltre a comporre alcune rime.
Nel 1565 iniziò a lavorare alla corte ferrarese, presso il cardinale d’Este. I dieci anni che seguirono furono i più felici e prosperi della sua intera vita. In questo periodo scrisse l’Aminta e la Gerusalemme Liberata.
Con il 1575 iniziò il turbamento di carattere religioso: ossessionato dall’ortodossia religiosa, si sottopose volontariamente all’esame dell’Inquisizione. Inoltre era anche fortemente insoddisfatto per la qualità stilistica della sua opera maggiore, la Gerusalemme Liberata, che sottopose al giudizio di letterati e teologi.
In un paio d’anni il suo comportamento divenne sempre più instabile, ossessionato da una mania di persecuzione. Un giorno, convinto di essere spiato, accoltellò un servitore. Venne rinchiuso per qualche tempo in un convento finchè riuscì a fuggire. Vagò per l’Italia fino al 1579, anno in cui fece ritorno alla corte di Ferrara.
Alla corte si sentiva inadeguato ed incompreso. Egli infatti aveva precedentemente individuato nella corte il luogo ideale per esprimersi. La contraddizione tra realtà ed idealità favorì l’accentuarsi delle tensioni. Dopo poco tempo, ebbe una nuova violenta manifestazione di aggressività verso il duca. Questa volta venne rinchiuso in ospedale in isolamento e legato come un pazzo.
Nel corso dei sette anni di isolamento, ebbe momenti di lucida tranquillità, durante i quali compose liriche, lettere ed opere brevi.
Nel 1586 potè lasciare l’ospedale e trasferirsi a Mantova. Qui compose Re Torrismondo e cominciò una revisione profonda della sua Gerusalemme.
Iniziò di nuovo a vagare per l’Italia. Morì a Roma nel 1595 proprio mentre erano in corso il procedimento per incoronarlo poeta in Campidoglio.
Tasso e Ariosto a confronto.
Tasso è, insieme ad Ariosto, il più grande poeta del Cinquecento. Tuttavia Tasso appare molto lontano da Ariosto, psicologicamente e poeticamente.
Nella figura e nell’opera di Tasso si rispecchiano le tensioni e le contraddizioni di un periodo ormai differente da quello di Ariosto, anche se erano passati pochi anni.
• la Chiesa aveva iniziato la sua offensiva dando inizio alla Controriforma; il concilio di Trento si era concluso nel 1563.
• l’Italia era sotto il dominio spagnolo e si profilava il rischio di un attacco turco
• in letteratura l’aristotelismo sanciva precise e rigidissime regole
Chiaramente tutto ciò creò ulteriori conflitti filosofici e religiosi:
nuovi sentimenti religiosi:
• rinnovata sensibilità religiosa
• acuto senso del peccato e della fragilità umana
• conflitto fra carne e spirito
eredità della cultura rinascimentale:
• esigenza di un mondo sereno e armonioso
• affermazione delle proprie potenzialità umane
• esigenza di gioie terrene
Come uomo Tasso fu sempre inquieto e tormentato, diversamente da Ariosto che, pur consapevole della contraddizione e del conflitto, non se ne lasciò mai travolgere, anzi cercò di ironizzare, sdrammatizzare. Tasso venne invece schiacciato da questi conflitti, ma per la sua poesia ciò costituì un arricchimento.
Gli ideali poetici
Pur dedicandosi alla stesura di opere di genere diverso, Tasso preferì senz’altro l’epica.
• Per i contenuti più importanti
• Per lo sforzo stilistico che richiedeva
• Per la maggior possibiltà di successo entro l’elite culturale
Come poeta Tasso aderì totalmente al classicismo aristotelico e quindi al rigido rispetto per la precettistica classica, per la poetica dei generi, per un lessico ed una sintassi contrassegnati dalla razionalità.
Tasso rispettò pienamente l’eredità poetica rinascimentale ma seppe sviluppare altre capacità espressive fino ad un limite estremo, riuscendo a dar voce ad una sensibilità estetica e morale molto diversa dal classicismo in cui era nata, come la ricerca della musicalità del verso ed il frequente ricorso alle figure retoriche, che già annunciavano la poesia barocca.
ALTRE OPERE
Rinaldo
E’ un poema cavalleresco di dodici canti in ottave scritto negli anni giovanili e pubblicato nel 1562.
Parla del paladino Rinaldo, futuro sposo di Clarice, che per servire la fede lascia Parigi e vaga per il mondo, fra duelli, inseguimenti, salvataggi, finchè non finisce nel regno della regina di Media, che gli fa dimenticare i suoi doveri ed il suo amore. Alla fine riesce a liberarsi per tornare a Parigi e sposare Clarice.
In questo poema Tasso si lascia fortemente influenzare dalle regole epiche aristoteliche perchè sta studiando a Padova, fondendole con alcune indicazioni tratte dall’opera paterna, l’Armadigi.
Comunque questo primo lavoro, anche se imperfetto per lo sforzo di mettere insieme aristotelismo e varietà tematiche, gli servirà per il suo capolavoro.
Infatti già nel Rinaldo appare un interessante uso dell’ottava che verrà ripreso nella Gerusalemme Liberata.
Aminta
L’Aminta è un dramma pastorale in 5 atti in settenari ed endecasillabi. Il tono è lirico ed i sentimenti predominano sulle azioni. Tematiche: amore e morte.
E’ la storia d’amore del pastore Aminta per Silvia, insensibile nonostante vari stratagemmi per farla innamorare. Solo alla fine, quando si diffonde la falsa notizia che Silvia è stata sbranata da un lupo, Aminta, disperato, si getta da una rupe, sfuggendo, tuttavia alla morte. Commossa dal gesto finalmente la ragazza acconsentirà al matrimonio.
Stilisticamente è un opera ben riuscita in cui si possono riconoscere tre componenti:
• la tradizione del genere pastorale con riferimenti ad opere bucoliche come Virgilio, Properzio ed il recente Poliziano.
• le allusioni alla corte ferrarese (difficili da riconoscere) perchè descrive la corte estense come travestita, nascosta dalla campagna
• la concezione idillica della natura
Le rime (la lirica)
Si tratta di più di 2000 tra sonetti, canzoni, stanze e madrigali che trattano vari argomenti: amoroso, encomiastico, religioso, autobiografico.
E’ il canzoniere più importante del 500, ispirato a modelli classici greci e latini (Virgilio, Ovidio, Catullo, Orazio) e naturalmente a Petrarca. La forma metrica prevalente è il sonetto, anche se è nel madrigale che Tasso raggiunge risultati di altissimo valore poetico. E’ nel madrigale infatti che rielabora i moduli espressivi del petrarchismo cinquecentesco accentuandone la musicalità.
I Dialoghi
Tasso compose 26 testi in prosa in forma di dialogo che riguardano argomenti diversi, dall’amore alla nobiltà, dalla vita di corte alla bellezza. Questi scritti risalgono al periodo di reclusione forzata in ospedale. Con questi testi egli cercò di instaurare un colloquio con se stesso e per esprimere opinioni intellettuali, etiche e morali. I dialoghi non sono opere di rilievo in quanto non presentano alcuna originalità.
Le lettere
Tasso scrisse circa 1700 lettere dal 1564 alla morte, che affrontano tematiche differenti. Egli era perfettamente consapevole che la tradizione culturale considerava l’epistolografia un vero e proprio genere letterario. Ragione per cui curò molto lo stile dell’elaborazione dei testi. Diversamente da Ariosto, le cui lettere erano semplicemente finalizzate alla trasmissione di un messaggio per cui non erano per niente curate stilisticamente.
Discorsi dell’arte poetica (1564) e Discorsi del poema eroico (1594)
Sono due trattati importanti perchè esprimono la consapevolezza della necessità di conciliare nelle opere letterarie le regole e la creatività.
LA GERUSALEMME LIBERATA
E’ un poema epico in ottave in venti canti.
Tasso coltivò fin dalla gioventù l’idea di scrivere un poema epico. Le motivazioni erano sostanzialmente tre:
• il desiderio di avere un riconoscimento letterario
• il clima di mobilitazione culturale e spirituale contro l’incombente pericolo turco
• la volontà di scrivere un’opera di alto valore religioso
LA GENESI DELL’OPERA
1556 e 1559 – scrisse il Gierusalemme
1575 - scrisse il Goffredo
1580 – prima edizione del Goffredo
1581 – prima edizione della Gerusalemme Liberata
1585 – apologia della Gerusalemme Liberata
1593 – prima edizione della Gerusalemme Conquistata
Non si può parlare di edizioni come avvenne per l’Orlando Furioso, in quanto delle varianti della “Gerusalemme” vennero pubblicati innumerevoli edizioni anche non controllate dall’autore.
Si può invece parlare delle modifiche e revisioni che il Tasso vi apportò nel corso della sua vita.
La stesura di un primo nucleo di un centinaio di ottave risale agli anni della gioventù, per un poema intitolato Gierusalemme.
La prima versione del poema uscì nel 1580 con il titolo Goffredo, che il Tasso terminò di scrivere 5 anni prima, nel 1575.
La seconda versione, invece, uscì nel 1581, intitolata Gerusalemme Liberata, dedicata ad Alfonso II d’Este.
Ossessionato dall’ortodossia della sua opera, Tasso chiese a teologi e letterati di giudicare il suo lavoro. Fu la loro opinione negativa (scarsa moralità, imprecisioni storiche, ecc) a gettarlo nello sconforto. Nel 1585, Tasso scrisse di getto l’Apologia della Gerusalemme Liberata, con lo scopo di difendere e valorizzare il poema.
In ogni caso egli riscrisse completamente da capo l’opera, togliendo gli episodi troppo passionali, aggiungendone altri a tema più religioso. Intitolò il nuovo poema Gerusalemme Conquistata, del 1593, che dedicò al nipote del papa, il cardinale Aldobrandini. La Conquistata non piacque per nulla, perchè il Tasso per rendere credibili i fatti storici, aveva eliminato il fattore del meraviglioso e del fantastico.
FONTI MODELLI TEMATICHE STILE
Lo sfondo è senz’altro quello eroico/religioso di Omero e Virgilio.
Stilemi e stratagemmi narrativi sono ispirati ad altri poemi cavallereschi come le opere di Boiardo e Ariosto, passando dall’Amarigi scritto da suo padre Bernardo Tasso.
La poetica
Dopo gli anni che trascorse a studiare e rielaborare la Poetica aristotelica, nella stesura della Gerusalemme Liberata, Tasso ne adottò i principi, scegliendo di improntare il poema eroico al principio della verisimilianza. Il poeta abbandona quindi la strada romanzesca del fantastico di Boiardo ed Ariosto ed intraprende la trama storica.
Riassumendo i principi della poetica aristotelica, la Gerusalemme Liberata seguiva i seguenti principi:
• la necessità che il poema epico risultasse un organismo unitario: la molteplicità degli episodi e delle tematiche dovevano confluire in una struttura definita dalle regole aristoteliche
• la materia del poema doveva rispettare la verosimiglianza, imitando il vero (da qui la scelta di trattare un argomento storico realmente accaduto, cioè la prima crociata del 1097, documentata dalla fonte storica del cronista Guglielmo da Tiro.
• la necessità di finalizzare l’opera alla trasmissione di un messaggio edificante ed educativo
Le tematiche
Cinque le tematiche del poema:
1. elemento religioso – la fede pervade tutta l’opera – la forza della spiritualità è rappresentata da Goffredo di Buglione, eroe puro ma non esente dal contrasto tra tentazione e virtù
2. elemento eroico – che viene presentato nei momenti di battaglia – i paladini esprimono tensione morale, senso del dovere, ma anche brutalità, ferocia e violenza – la figura dell’eroe è Rinaldo, che pur essendo assetato di gloria, riesce a riscattarsi approdando ad un più alto senso del dovere cristiano
3. elemento amoroso – compare nei momenti più lirici dell’opera – gli amori della Gerusalemme Liberata sono sfortunati – l’amore è anche ottenebramento dei sensi, passione sensuale che avrà la sua sublimazione nell’amore cristiano.
4. elemento magico e meraviglioso – anche nella Gerusalemme ci sono maghi ed incantesimi, però viene aggiunto il magico cristiano, non più solo mitologico, rappresentato dalla presenza di angeli e diavoli
5. elemento naturale - il locus amenus o il locus horridus non sono solo scenario, ma parte integrante dello stato psicologico dei personaggi
Lo stile
Una delle figure retoriche più ricorrenti è l’antitesi, in quanto il conflitto che anima la struttura del poema viene evidenziato dall’accostamento di parole tra loro in contrasto.
Quindi l’uso dell’antitesi non è solo un gioco retorico ma è parte integrante dell’ispirazione poetica, in cui si riflette la conflittualità degli opposti.
Lo stesso accade con la figura del chiasmo, che si manifesta non solo nello spazio di pochi versi, ma addirittura nell’architettura dell’intero poema. Vi è anche un ricorso plurimo dell’enjambement.
La diffusione della Gerusalemme Liberata
Fin dal suo primo apparire l’opera suscitò grande interesse ed accese un vivo dibattito.
Soprattutto venne posta a confronto con il Furioso di Ariosto, dividendo letterati, artisti e critici dell’epoca in opinioni contrastanti. Tasso arrivò al punto di difendere personalmente la propria opera con una difesa scritta.
Solo nel 600 e 700 venne considerata migliore dell’opera ariostesca per contenuti e regole letterarie.
Il tragico cristiano
Il tema dell’uccisione involontaria di Clorinda richiama la tragedia classica greca, per esempio l’Edipo re di Sofocle, che uccide il padre senza riconoscerlo.
C’è una differenza tra il tragico della tragedia classica greca e il tragico cristiano: il tragico greco è assoluto; la sconfitta all’eroe greco pare incomprensibile.
Diversamente nel tragico cristiano, la sofferenza rientra nel progetto razionale e ordinatore di Dio, che il cristiano non può comprendere ma che accetta per fede.
Nel caso di Tancredi, il conflitto tragico è dentro di lui, in quanto è un conflitto tra due modelli etici alternativi, cioè l’amore per Clorinda (la colpa, in quanto lei è musulmana) e il dovere di servire Dio combattendo contro gli infedeli.
L’eroe tragico cristiano è eroe solo quando riconosce ed accetta il disegno divino, sublimando la passione e trasformandola in fede e sottomissione.
La sapienza stilistica di Tasso – critica di Francesco Flora
Il saggio di Flora (critico morto nel 1952) rivela l’arte sapientissima di Tasso di giocare con ritmo, intonazioni, pause, con i nessi fra aggettivo e sostantivo, superando il codice stilistico del petrarchismo per una nuova sensibilità manieristica.
Qualche esempio.
Flora cita alcune parole tematiche che ricorrono spesso nell’opera, che vengono poste in posizioni di rilievo nelle ottave; alcune di queste parole fanno semplicemente parte di un registro, di un’abitudine del poeta (ignoto, incognito,solitario, solingo,antico, deserto, ecc); altri termini, invece, hanno valore tonale, ossia servono ad enfatizzare, colorire il testo: adorno (nome adorno, detti adorni e persino adorno dolore); e poi altero, atro, avaro, notturno, nudo, orrido, segreto, tacito...
.... ma tra le voci, quella che compare più e più volte nell’intero poema è FERO, cioè fiero, con il senso di Fierità guerriera e selvaggia, di altezza morale.
Altri esempi del sapiente gioco stilistico sono le scelte verbali, addirittura in certi casi usando il dativo latino; talvolta sostituisce la parola esatta con una voce affine, che rende l’idea in senso metaforico, facendo le veci di un aggettivo che diventa superfluo (es al posto di pelle, scorza, che rende l’idea di cosa più resistente, forte, invulnerabile.
Addirittura Tasso fonde insieme aggettivo e sostantivo, coniando un termine completamente nuovo.
O ancora, usa aggettivi impropriamente per rendere un nuovo concetto (notturni, nel senso di silenziosi e nascosti).
Tempi e luoghi
Tasso ama la notte, il tramonto e l’alba. Ama la selva, dove le acque scorrono così limpide da sembrare di vivida fiamma.
LA TRAMA
Goffredo di Buglione pone l’assedio a Gerusalemme per liberare la città dal dominio saraceno.
Il paladino Tancredi è innamorato della bellissima vergine guerriera Clorinda, che non ricambia il suo amore. A sua volta Tancredi è amato da Erminia, la figlia del re di Antiochia, che vive alla corte di Aladino, il re saraceno.
Le forze infernali tramano contro i cristiani inviando tra i paladini la maga Armida che fa innamorare di se molti guerrieri cristiani. Riesce così ad allontanarli dal campo d’assedio ed a farli suoi prigionieri. In un secondo tempo anche Tancredi viene imprigionato da Armida.
Così indebolito l’esercito cristiano subisce molte sconfitte. Allora le forze celesti intervengono per aiutare i cristiani ed equilibrare le azioni delle forze demoniache.
L’arcangelo Gabriele aiuta Rinaldo a liberare tutti i prigionieri di Armida rimanendone però ammaliato e cadendo egli stesso suo prigioniero.
I paladini hanno costruito una torre per l’offensiva e nella notte Clorinda ed Argante, facendo incursione al campo cristiano, la distruggono. Mentre Argante riesce a rientrare in città, Clorinda rimane chiusa fuori. E’ così che viene uccisa, senza venirne riconosciuta, da Tancredi.
Un attimo prima di morire Clorinda verrà battezzata da Tancredi.
Le forze infernali provocano disastri e Goffredo pensa di rinunciare all’impresa quando Dio gli suggerisce in sogno di mandare a liberare Rinaldo.
Gerusalemme viene attaccata dai cristiani, Tancredi rimane gravemente ferito e viene curato da Erminia. I guerrieri saraceni vengono tutti eliminati e Goffredo, conquistata la città, può finalmente inchinarsi di fronte al Santo Sepolcro liberato.
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