Visualizzazione post con etichetta LETTERATURA LATINA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta LETTERATURA LATINA. Mostra tutti i post

martedì 20 dicembre 2011

L'ASINO D'ORO E LA STORIA DI PSICHE E AMORE

dalle Metamorfosi di Apuleio

La favola greca racconta di Lucio, un giovanotto che cerca  avventure in Tessaglia, terra di streghe e fattucchiere.
Si fa ospitare in casa di un amico e scopre che sua moglie è una strega, che di notte si spalma una crema che la fa diventare un gufo e vola sulla città fino al mattino.
Lucio è curiosissimo e chiede a una serva di rubargli la crema. La ragazza però sbaglia barattolo e appena Lucio si spalma la crema viene trasformato in un asino. Lucio raglia disperato ma la serva gli assicura che alla mattina, basterà che lui mangi una rosa e tornerà un uomo.
Nottetempo una banda di ladri ruba tutti i beni dalla casa, compreso l’asino-Lucio, che così non può mangiare la rosa per ritornare uomo.
Insieme alla refurtiva nella casa dei briganti c’è anche una bella fanciulla, rapita per il riscatto, che piange disperatamente. Per rincuorarla, la vecchia serva dei briganti le racconta una bella favola:

C’era una volta una principessa davvero bellissima di nome Psiche e Venere, la dea della bellezza, era diventata molto gelosa di lei al punto che chiese a suo figlio, il dio Amore, di colpirla con una freccia e di farla innamorare di un mostro. Gli dei greci sono spesso dei pasticcioni: Amore si punse un dito con una freccia e si innamorò di lei.
Così la fece rapire dal vento e la condusse nel suo palazzo segreto. Amore trattava Psiche con molta tenerezza a condizione che lei non lo vedesse mai, pena la fine della loro unione  felice.
Psiche era però molto curiosa e, istigata dalle sorelle gelose, che le avevano messo il sospetto che lui non si lasciasse vedere perché fosse un mostro, attese che lo sposo si addormentasse per accendere un lume e guardarlo in viso. Quando scoprì che egli era bellissimo si emozionò e lasciò cadere delle gocce di cera sulla sua spalla; così Amore si svegliò arrabbiato e…scottato e volò via dalla sua cattivissima mamma (Venere).
La dea Venere rinchiuse il figlio Amore in una camera e per vendicarsi di Psiche le fece superare delle difficilissime prove:  1) contare dei semi mescolati, 2) rubare lana a delle pecore feroci, 3) riempire un’ampolla con l’acqua di una fonte irraggiungibile, 4) scendere all’inferno per chiedere a Proserpina la crema della bellezza.
Psiche superò le prime tre prove, alla quarta però, di ritorno dagli inferi con la crema, non seppe trattenersi dal provarla: in realtà nel barattolo non c’era la bellezza ma la morte e Venere lo sapeva bene. Psiche stava ormai per morire quando Amore, che era riuscito a liberarsi dalla sua prigione, arrivò in volo e la portò da  Zeus  a bere un bicchiere d’ambrosia che dava l’immortalità.
Così Psiche e Amore divennero marito e moglie e vissero felici e contenti.

La vecchia serva aveva appena terminato la fiaba quando i briganti tornarono da una scorreria con l’intenzione di uccidere l’asino Lucio. Questo, che non era affatto stupido, riuscì nottetempo a fuggire, portando via anche la fanciulla. Ma le sventure del povero Lucio non erano ancora terminate perché passò da un padrone all’altro.
Un giorno una bella signora si innamorò di lui e quando scoprirono che l’asino Lucio si accoppiava con questa donna che “tam vastum genitale suscipere”, pensarono di farne uno spettacolo pubblico.
Ma l’asino Lucio si vergognava troppo, così riuscì a fuggire. Finalmente  lontano, stanchissimo si addormentò e sognò la dea Iside che gli suggeriva di andare alla sua festa e di mangiare le rose che adornavano il gran sacerdote. Lo avvisò che così sarebbe ritornato un bel giovane ma che avrebbe dovuto consacrarsi a lei.
Così Luciò liberatosi dalle spoglie di asino diventò gran sacerdote di Iside.

HECYRA DI TERENZIO



PUBLIO TERENZIO AFRO
Publio Terenzio Afro (in latino Publius Terentius Afer) fu un commediografo latino. Anche se la sua data di nascita non è nota, sembra plausibile collocarla attorno al 185 a.C. a Cartagine, anche in ragione del suo cognomen, Afro. Sulla sua vita abbiamo una biografia risalente a Svetonio.  Giunto a Roma come schiavo di un nobile senatore, Terenzio Lucano, fu in se-guito affrancato, "ob ingenium et formam",  per il suo ingegno e per la sua bellezza, diventando un liberto.
Divenne amico di Scipione Emiliano e la sua posizione di prestigio suscitò l’invidia degli altri letterati. Sul suo conto sorse-ro calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di essere un prestanome del suo importante protettore, che sarebbe il vero autore delle commedie terenziane. Era, infatti, considerato disdicevole per i politici romani, dedicare il proprio tempo alla compo-sizione di commedie. Infatti l’unica attività che era concesso coltivare era l’oratoria o la storiografia.
Da questa accusa Terenzio si difese nella sua ultima commedia, l’"Adelphoe" (da adelfoi: fratelli), nel cui prologo egli af-fermava che per lui era motivo di orgoglio essere aiutato dagli uomini più importanti di Roma.
Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, Terenzio lasciò Roma recandosi dapprima in Grecia e in se-guito in Asia Minore, da cui non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali menandrei reperiti in Grecia. Aveva circa 26 anni.

OPERE

Come già aveva fatto Plauto, Terenzio adattò commedie greche: in particolare i suoi modelli, dichiarati nei prologhi, appar-tengono alla Commedia Nuova attica e, soprattutto, a Menandro.
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione degli originali greci: l'autore apportò notevoli modifiche nelle trame e nei personaggi.
Terenzio, come Plauto, "contaminava" le sue commedie: introduceva cioè, all'interno di una stessa commedia, personaggi e episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca.
La commedia plautina viene denominata MOTORIA  mentre la commedia terenziana viene definita STATARIA.
Rispetto a Plauto, infatti, Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti. Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto.
Rispetto a Plauto, Terenzio mantiene un’ambientazione rigorosamente greca, senza surreali intrusioni di usi e costumi ro-mani. Egli elimina quasi completamente i cantica, facendo invece uso abbondante dei versi lunghi. Altra notevole differenza con Plauto è quella relativa allo stile e al linguaggio: non troviamo in Terenzio l’esuberanza, le acrobazie verbali, i giochi di parole e le parodie dello stile tragico; evita vigorosamente espressioni popolari e volgari; segue, stilizzandolo, il linguaggio della conversazione ordinaria. Quello di Terenzio è insomma uno stile sobrio, naturale, all’insegna della compostezza, della semplicità.
Anche in Terenzio, al centro della vicenda comica, troviamo amori ostacolati che alla fine si realizzano felicemente.
Il commediografo  tende a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia, accanto alla coppia principale, una seconda coppia.. Rispetto a Plauto, Terenzio costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità, caratteri-stiche queste mancanti nell’altro, che puntava sull’efficacia comica della singola scena.
Altra differenza importante con Plauto e Menandro, è l’abolizione del prologo informativo. T. trasforma il prologo informa-tivo in un prologo a carattere letterario; nel prologo parla di sè, del suo modo di poetare e si difende dalle accuse che i suoi avversari gli rivolgono. Plauto e Menandro si servono del prologo per informare il pubblico dell’antefatto e anticipano spes-so la conclusione; ciò metteva il pubblico nella condizione di seguire meglio la vicenda, il cui intreccio era spesso comples-so. Ciò rendeva il pubblico superiore ai personaggi della commedia. Terenzio elimina il prologo informativo, perché punta su effetti di suspense, vuole che lo spettatore si immedesimi nel personaggio, vuole che il pubblico sia coinvolto emotiva-mente nelle vicende, provi le stesse emozioni dei personaggi.
Terenzio inoltre, attenua i tratti caricaturali dei personaggi e ne fa delle figure delicate, tenere, sensibili.
Protagonista del suo teatro non è più il servus callidus, ma padri e figli. Non ridicolizza i sentimenti d’amore dei giovani, ma li segue con partecipazione e simpatia. I padri terenziani sono differenti da quelli plautini, sono disponibili al dialogo con i figli e si preoccupano della loro felicità più che del loro patrimonio e del veder affermata la loro autorità. Nel teatro di Terenzio non esistono personaggi del tutto negativi. Anche i servi sono spesso vicini ai padroni e partecipano ai problemi familiari; non tutte le cortigiane pensano ai propri interessi. Il messaggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali.
Quella di Terenzio era una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Pare tuttavia che la fortuna delle sue commedie sia da attribuire alle capacità del suo attore, Ambivio Turpione, uno dei mi-gliori a quell'epoca. La sua carriera drammaturgica non fu facile come per Plauto: non ebbe lo stesso successo perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano.
Terenzio compose in tutto 6 commedie, pervenuteci interamente con le didascalie relative alla rappresentazione.
La prima commedia terenziana fu L'Andria , "La donna dell'isola di Andro", che venne rappresentata con scarso successo.
La seconda commedia, l’"Hecyra" (la suocera) fu un fiasco clamoroso: il pubblico dopo le prime scene abbandonò il teatro preferendo assistere ad una manifestazione di pugili e funamboli.

L'Heautontimorumenos, "Il punitore di sé stesso"  ed il Phormio vennero invece rappresentate con buon esito, risquotendo un discreto gradimento tra il pubblico romano.
Il maggior successo di Terenzio fu l'Eunuchus “L'eunuco”, una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro: l’Eunucus è la più simile alla comicità plautina.
Durante i giochi funebri per celebrare la morte del padre di Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l’"Adelphoe" “i fratelli”; nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’"Hecyra", ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro preferendo i gladiatori.
Terenzio tentò una terza rappresentazione dell’"Hecyra" durante i Ludi Romani dello stesso anno e, finalmente, fu rappre-sentata con successo; il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, capocomico ed attore molto ce-lebre, che durante l'introduzione  pregò i presenti  di seguire la commedia fino alla fine.

HECYRA

Si pensa che la trama di "Hecyra (La Suocera)" di Terenzio riprenda il modello dagli "Epitrepontes" di Menandro ma questa attribuzione non è stata ritenuta l'unica infatti altri studiosi ritenevano che Terenzio si fosse rifatto ad Apollodoro e alla sua "Ekurav". Ma non vi è dubbio che l'impianto principale dell'azione si debba a Menandro, e che Apollodoro avrebbe ripreso l'opera menandrea nella sua opera, inventando però la figura della suocera, personaggio che non appare in Menandro. Perciò Apollodoro sarebbe solo un gradino di passaggio tra le due opere. L'innovazione che però si deve all'autore latino è quella di aver fatto un lavoro di scavo psicologico dei propri personaggi. Infatti per Terenzio la rappresentazione non è presentata come un "ludus", ma come un'occasione per conoscere se stessi, da ciò scaturisce la solita incomprensione del pubblico del-l'autore (cosa che verrà sottolineata dall'autore stesso nel prologo dell'opera), abituato ancora alle commedie di Plauto che aveva adattato la compostezza dei modelli greci agli effetti più grossolani e immediati della farsa italica; però la capacità dell'autore di innovazione e di ricerca dell'uomo verrà riconosciuta e apprezzata nelle generazioni posteriori. Infatti il suc-cesso delle opere di Terenzio sarà apprezzato per tutto il Medioevo.

Considerata la più moderna delle commedie di Terenzio, l'Hecyra è un dramma borghese che mette in scena conflitti e affet-ti familiari. La psicologia dei personaggi è ricca di sfumature ed approfondita. Particolarmente significativa è la figura di Bacchide, che, pur essendo una cortigiana, ha un animo sensibile e desidera la felicità del giovane Panfilo, tormentato e pa-tetico, in perenne conflitto fra amore e pudore.

LA TRAMA
Panfilo è combattuto tra l'amore per la cortigiana Bacchide e la volontà del padre che vuole fargli sposare Filùmena, una ra-gazza perbene, nonostante il giovane non la ami. Dopo il matrimonio forzato, Panfilo si rifiuta di avere rapporti con la mo-glie, che accetta con rassegnazione ed umiltà i torti del marito.
In realtà Panfilo aveva violentato Filùmena qualche tempo prima, senza sapere chi fosse e senza riconoscerla. Durante la colluttazione, le aveva strappato un anello, facendone poi dono alla sua amante Bacchide
In breve il giovane impara ad apprezzare il pudore di Filùmena e a poco a poco se ne innamora scoprendo un sentimento più profondo dell'attrazione che provava per Bacchide.
Panfilo parte con un servo per un viaggio di affari, senza aver mai toccato la moglie. Quest’ultima, non resta un attimo da sola con i suoceri ed abbandona la casa del marito per tornare a vivere dai genitori.
Un servo riferisce che Filumena ha giustificato il suo allontanamento con motivi di salute, una malattia l’avrebbe costretta a tornare a casa. Tutti gli altri personaggi ritengono che la causa dell’allontanamento sia il continuo conflitto con la suocera Sostrata. È soprattutto il marito di Sostrata ad accusarla di aver reso la vita impossibile a Filumena e di averla costretta ad allontanarsi da casa.
Sostrata si ritiene innocente e in un monologo lungo e toccante si dichiara vittima dei pregiudizi che vogliono tutte le suoce-re ostili alle proprie nuore. Nessuno conosce i motivi reali che hanno indotta la giovane sposa a lasciare la casa, ma tutti i personaggi avanzano supposizioni infondate. Il messaggio che Terenzio vuol trasmettere è che non bisogna giudicare dalle apparenze e lasciarsi guidare dai soliti pregiudizi. La realtà è spesso ben diversa dalle apparenze.
Intanto,  Pamfilo ritorna dal viaggio e viene informato dell’accaduto; si reca a casa dei genitori della moglie per constatare di persone le condizioni di salute di Filumena. A casa di Filumena, Pamfilo scopre la verità, ben diversa da ciò che gli altri pensavano. Filumena ha lasciato la casa perché sta per partorire un figlio non di Pamfilo, ma che è stato concepito prima del matrimonio, frutto di una violenza notturna subita da Filumena durante una festa, ad opera di uno sconosciuto ubriaco. In un monologo lungo e patetico, Pamfilo rivela al pubblico questa verità e mette a nudo i suoi sentimenti, il conflitto che si agita in lui fra amore e pudore. Sa che la sua vita senza la moglie sarà una vita vuota, però sa che l’onore e la società lo costrin-gono a separarsi dalla moglie e a non considerare come suo l’alienus puer. Pamfilo non rivela però il vero motivo per cui divorzia per non compromettere il buon nome di Filumena. I due suoceri, all’oscuro della verità, pensano che Pamfilo vo-glia ancora Bacchide e che abbia ripreso la relazione con lei. Vanno a parlare con Bacchide che rivela ai due che non ha più rapporti con Pamfilo dal giorno del matrimonio. Pur essendo una cortigiana, Bacchide accetta un compito che nessun’altra al suo posto avrebbe accettato: andare da Filumena per dirle che Pamfilo la ama. Bacchide è uno dei personaggi più insolito del teatro di Terenzio, perchè si contrappone allo stereotipo della cortigiana, agisce contro i suoi interessi perché affezionata a Pamfilo e vuole la sua felicità.
Bacchide va dunque a parlare a Filumena. Durante la visita  la madre di Filùmena nota al dito della cortigiana un anello che apparteneva alla figlia e che Filumena portava la notte in cui aveva subito la violenza e che le era stato strappato dal giova-ne. Bacchide rivela che l’anello le era stato dato da Pamfilo, il giovane stupratore era quindi il marito. La commedia si con-clude con il ristabilimento dell’unione che una serie di equivoci avevano minato.

Notiamo che  vengono trattati rigorosamente  tutti i classici TOPOI della commedia greca:
il tema dell’innamoramento
il tema dell’esposizione dei figli illegittimi
il tema dell’AGNIZIONE, cioè del riconoscimento
il tema del lieto fine, inteso come il matrimonio

PERCHÈ L’HECYRA NON EBBE SUCCESSO
•    Le aspettative del pubblico romano
•    Le  differenze tra Terenzio e Plauto                           

Sappiamo che Terenzio morì in terra straniera, lontano da Roma, dalla quale s’era allontanato non tanto per studiare in Grecia, bensì amareggiato da quel pubblico che non lo capiva.
La rappresentazione dell’Hècyra fu un fiasco. Persino il terzo tentativo non fu un successo: semplice-mente il pubblico rimase fino alla fine, grazie alle preghiere di TURPIONE, il più bravo attore dell’epoca.

E’ importante dunque capire perchè il pubblico romano non amasse le opere di Terenzio.

Si dice che Terenzio nacque nello stesso anno della morte di Plauto.
Non che sia vero, ma ciò attesta come tutti si aspettassero che Terenzio ne continuasse l’ opera. Ma ciò non avvenne.
Il teatro di Plauto era un TEATRO POPOLARE. Nelle sue commedie il LINGUAGGIO era quello del popolo, che gli spettatori riconoscevano come il proprio modo di esprimersi.
Terenzio, invece, era abituato al linguaggio dei suoi amici nobili. Il suo pubblico ideale era più COL-TO, più composto.
Terenzio sperava di usare un mezzo popolare, quale era la commedia comica,  per trasmettere un mes-saggio di sensibilità ed interessi nuovi... ma la  gente, a teatro, voleva ridere, voleva divertirsi, voleva sentir parlare i servi di mangiare, di bere e ...naturalmente di sesso.
Non usava l’ESUBERANZA plautina, le sue ACROBAZIE VERBALI, i giochi di parole; evitava rigo-rosamente le espressioni volgari.

La  commedia plautina era chiamata MOTORIA, perchè gli attori correvano sul palco, bisticciavano, si inseguivano, creando una gran confusione, che faceva molto ridere.
La commedia di Terenzio era invece chiamata STATARIA perchè i personaggi dovevano catturare l’attenzione del pubblico soltanto con il dialogo. E questo dialogo era parlato, mai cantato.
Terenzio eliminò completamente la CANTICA e la METRICA, niente più versi corti, facili da ricorda-re, da ascoltare, immediati. Tutto al contrario, il dialogo non sembrava nemmeno più una lirica, i versi erano lunghi, non seguivano più alcuna metrica!!

Anche Terenzio, come già aveva fatto Plauto, adattava delle commedie greche. Però non si limitava a tradurle: lui modificava intrecci e personaggi, per il semplice fatto che così com’erano gli parevano po-co VEROSOMIGLIANTI e la ricerca della  verosomiglianza, del REALISMO, della credibilità di una scena, costituiva la sua particolare aspirazione.
Ecco, allora, che cercava di complicare tutti gli intrecci, aggiungendo personaggi e situazioni.

Comunque anche lui contaminava le sue commedie, inseriva episodi appartenenti a commedie diverse, personaggi ecc ecc.
Curioso il fatto che Plauto non venne criticato per le contaminazioni mentre a Terenzio venne rimpro-verato anche questo.
Probabilmente ha vissuto un periodo in cui ogni cosa era occasione per far polemica, sia politica che letteraria!

Anche altri fattori determinarono l’insuccesso di Terenzio.
Ai romani piaceva guardarsi in faccia, ossia piaceva vedere se stessi sulla scena, riconoscere le proprie abitudini, gli arredi delle loro case. Plauto lo aveva capito ed ambientava le sue commedie inserendo gli usi ed i costumi romani. Le ambientazioni  di Terenzio, invece, erano rigorosamente greche.

Altro che far ridere il pubblico! Terenzio stufava la gente fin dal prologo: è vero che anche Plauto non seguiva esattamente i modelli greci e non raccontava la trama per intero ... ma Terenzio addirittura nel prologo parlava di se stesso, del suo modo di poetare, ne approfittava per difendersi dalle calunnie e spiegava i malintesi a cui era andato incontro. Insomma usava il prologo per far dire all’attore le cose che gli premeva far sapere.
In questo modo, il pubblico, al quale non importava certo delle vicende personali del commediografo, non sapeva cosa avrebbe visto e faceva fatica a seguire la trama della storia.
Il teatro di Terenzio non è comico, nel senso proprio del termine. Lo riconosce persino Cesare, chia-mandolo il Menandro dimezzato, che a Terenzio mancava la VIS ovvero la virtus comica. Ed è vero che l’opera di Terenzio ricorda assai più la commedia menandrea di quella plautina.
Il teatro di Terenzio voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana, che inter-pretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Il mes-saggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali. A lui si deve il concetto di HUMANITAS, che è quello di RICONOSCERE E RISPETTARE L’UOMO IN OGNI UOMO.
Per questo motivo i sentimenti nobili, come l’amore, l’amicizia, non vengono ridicolizzati. I suoi per-sonaggi non presentano TRATTI CARICATURALI: su di loro Terenzio compie un lavoro di scavo psicologico.
La commedia dell’Hècyra, avrebbe potuto avere un enorme successo, se quella suocera fosse stata bi-sbetica, avesse cercato in mille modi di ostacolare l’amore tra il figlio e la nuora, magari prendendo quest’ultima a bastonate...
Invece Terenzio pensò ad una suocera completamente diversa. Non solo. Terenzio pensò proprio alla DONNA in un modo differente, personaggio ricco emotivamente ed intellettualmente. E’ vero che ri-troviamo il topoi della fanciulla violentata, che i romani vivevano come un fatto normale, ma comincia ad esistere un’elevazione spirituale femminile.
Interessante a questo proposito un articolo apparso in marzo sul Giornale di Brescia dove si chiarisce come vi siano pochissime testimonianze di processi penali di donne romane, proprio perchè esse gode-vano di una scarsa personalità giuridica. Per intenderci, se la donna romana commetteva una colpa, ve-niva uccisa e basta, senza processo.
E’ chiaro quindi che questa nuova elevazione sociale  della donna terenziana non è facile da accettare per la mentalità romana di quei tempi.

LA CISTELLARIA DI PLAUTO



Per l'interrogazione orale di letteratura latina, dovendo preparare un lavoro di gruppo con un compagno, Paolo ed io pensammo ad un'interpretazione creativa della parola "interrogazione" e... anzichè preparare una ricerca sulla Cistellaria, preparammo ... un dialogo teatrale... riuscimmo a dire a memoria le nostre battute come se fossimo due attori e alla fine tutta la classe ci applaudì entusiasta.... anche la prof, ci disse che eravamo stati bravi... però se ne dimenticò al momento di assegnare i voti.... ma è acqua passata, non si deve polemizzare.... godetevi la versione integrale del teatro di  Matteo&Paolo:

LA CISTELLARIA


MATTEO
Per presentarvi degnamente la Cistellaria, indosseremo virtualmente, solo per oggi, i panni di due attori teatrali, alterneremo le informazioni come se fossero battute, perchè su questa opera ci sono molte cose da dire.
PAOLO
In questo modo speriamo di non stufarvi. Anzi, addirittura, speriamo di divertirvi!  Dedichiamo a tutta la classe la nostra “fatica” e speriamo che il fine per noi due sia lieto, come la storia che vi stiamo per raccontare.
MATTEO
La Cistellaria è la commedia di Plauto che è giunta ai nostri giorni più malconcia. Certamente mancano almeno 600 versi. Inoltre l’opera presenta incongruenze che compromettono la fluidità del testo, lasciando supporre ai critici possibili RETRATTATIO, ossia correzioni avvenute successivamente per meglio adattare i dialoghi alla scena. Probabilmente queste RETRATTATIO sono state fatte da Plauto stesso.
Alcuni esperti sospettano la Cistellaria  di aver subito anche CONTAMINATIO, ovvero, il procedimento di inserire in un modello principale di un’opera,  una o più scene di un’altra commedia.
PAOLO
Sappiamo che la Cistellaria si basa su una commedia greca di MENANDRO chiamata SYNARISTOSAE. La certezza deriva dal fatto che vi sono alcune analogie, come per esempio il riferimento ad una schiava barbara che lesinava il vino ad una cena, oppure certi riferimenti alla festa in onore del dio Dioniso.
Sappiamo che Plauto attingeva ai modelli ellenistici per le sue commedie, ma non aveva una preferenza particolare per qualche autore: anzi, pare preferisse autori minori, tanto poi il tutto veniva riscritto nel suo stile comico, fatto di doppi sensi, allusioni scherzose, nomi strani, metafore, bizzarri paragoni mitologici.
MATTEO
La prima caratteristica inconfondibile della commedia plautina è l’ARGOMENTUM, cioè il sommario, nel quale l’autore anticipa al pubblico l’argomento appunto  della storia.
Si tratta di una brevissima trama. Ebbene tutti i sommari di Plauto sono ACROSTICI. Infatti le iniziali della prima parola di ogni riga, se letti in senso verticale, formano il titolo della commedia.
Appena ci accingiamo a leggere i nomi dei personaggi, ci imbattiamo in un’altra caratteristica tipica  di Plauto: ci rendiamo conto di come i nomi siano identificativi del personaggio stesso. Nel caso della Cistellaria, troviamo la prostituta Gynmnasium, il cui nome a noi suona come “Lavoranuda”.
La traduzione del nome della protagonista è Chiarodiluna anche se preferiamo presentarvela con il suo nome  latino di Selenium, così come chiamereno Alcesimarcus il suo amato, il cui nome per noi suonerebbe come Capocoraggio.
PAOLO
E’ venuto il momento di anticipare anche a voi una parte della trama di questa commedia: proprio come fa Plauto, non vi racconteremo tutto all’inizio, ma  aggiungeremo  via, via altri dettagli.
Durante la festa dedicata al dio Dioniso, un giovane mezzo ubriaco violenta una ragazza. Lei dopo nove mesi partorisce una bambina ma, timorosa del padre, prega uno schiavo di portare la neonata lontano e di lasciarla morire. Lo schiavo la mette in una cesta (la cistella, appunto) e invece di lasciarla morire la mette in un vicolo. Nascosto dietro un pertugio, aspetta di vedere cosa succede. Una prostituta raccoglie la cesta con la bimba e la porta a casa.
Intanto il giovane padre della bimba si era sposato, restando presto vedovo. Si mette così alla ricerca della ragazza che aveva violentato, la trova e la sposa, venendo a sapere che il fattaccio consumato alla festa di Dioniso aveva prodotto una bambina. I due coniugi chiedono al servo ogni dettaglio per ritrovare la loro piccola.
MATTEO
Ci imbattiamo qui in una delle sopra citate  mancanze di continuità del testo, che ci lascia supporre che vi fossero altri versi a spiegare gli avvenimenti.
Infatti noi non sappiamo se la giovane sapesse che la sua bambina era viva. Non sappiamo se il servo avesse detto di conoscere il destino che era spettato alla neonata.
Il primo atto si apre in casa di Selenium, la trovatella, ormai diventata grande.
Scopriamo che la prostituta che trovò la cesta, la consegnò alla collega Annericata, che tanto desiderava avere un bambino.
La piccola dunque è stata allevata, dalla donna che crede sua madre, in un puttanaio, come Plauto chiama la casa delle prostitute, senza però perdere l’onore e la purezza. Diversamente dalla sua amica Lavoranuda, che viene avviata al mestiere dalla sua stessa madre, la mezzana, di cui Plauto non ci rivela il nome.
PAOLO
Selenium è afflitta da una grande pena, perchè ha appena scoperto che il suo amato Alcesimarcus non potrà sposarla, nonostante la ami perdutamente, perchè la famiglia vuole che egli sposi una fanciulla degna di lui.
La giovane  confida il suo dolore  all’amica Lavoranuda e alla madre di quest’ultima, chiedendo loro di governarle la casa poichè lei deve raggiungere la madre adottiva che esige delle spiegazioni.
I dialoghi sono molto spiritosi e volgari, come ci si aspetterebbe di sentir parlare delle prostitute.  Per esempio Lavoranuda vorrebbe convincere Selenium a tenersi per sè le sue pene d’amore e le dice: “la tua scemenza, cerca di ciucciartela da sola!”
Il traduttore che ha curato la versione della nostra edizione, ha scelto vocaboli più disinvolti da quelli che abbiamo trovato sul nostro libro di testo e noi crediamo che Plauto l’avrebbe senz’altro preferita.
MATTEO
Appena Selenium abbandona la scena per andarsene dalla madre, la mezzana racconta di nuovo al pubblico la vicenda del ritrovamento della cesta.
Il racconto della mezzana viene seguito da un PROLOGO, finalmente ben dettagliato della vicenda, che ci viene fornito dal dio Aiuto. 
Non si tratta di un errore di ripetizione: Plauto ama ripetere la trama delle sue storie, forse per enfatizzarle o per accrescere l’aspettativa del pubblico. Guarda caso ci troviamo di fronte ad un doppio prologo proprio come nell’opera di Menandro che i critici considerano la matrice della Cistellaria.
Ad ogni modo il prologo  del dio Aiuto è importante perchè nelle battute finali cita la seconda guerra punica, combattuta contro i Cartaginesi, aiutandoci a collocare cronologicamente la nostra vicenda.
PAOLO
Il secondo ed il terzo atto della Cistellaria, presentano gravi lacune, al punto che diventa quasi impossibile ricostruire la storia. Dobbiamo proprio accontentarci di supporre come potesse essere l’intreccio originale dell’opera.
Eppure, è proprio all’inizio del secondo atto che prende vita il motore dell’intreccio della commedia di Plauto, che è la passione d’amore.
Alcesimarco, l’innamorato di Selenio, domina la scena raccontando al pubblico il suo strazio, la sua pena, il suo dolore per tutto quell’amore che non può più avere un senso.
Lo fa con un CANTICO IN ANAPESTI. L’”ANAPESTE” è un verso tipico della metrica greca caratterizzato da tre sillabe di cui due brevi ed una lunga.
Dopo le bellissime parole di Alcesimarco, abbiamo solo brevi frammenti di dialogo di altri personaggi, frasi divertenti e satiriche, spesso volgari ed allusive. Ma niente che ci aiuti a ricostruire una successione delle scene.
MATTEO
Nelle note  a piè di pagina della nostra edizione,  il curatore cita spesso il PALINSESTO  Ambrosiano, al quale anche il nostro libro di testo fa riferimento, avvisandoci che questa o quella parte della commedia  è andata perduta;  annota dove mancano due o tre fogli o addirittura dove i fogli ci sono, ma le parole sono state cancellate.
A questo punto ci è sembrato importante approfondire il concetto di PALINSESTO.
Un palinsesto è un manoscritto su pergamena che è stato cancellato per far posto ad un testo diverso. Il termine deriva dal greco e significa “raschiare di nuovo”.
Nel medioevo la pergamena era un materiale prezioso e costosissimo.  Era altresì il periodo in cui la Chiesa non apprezzava la letteratura comica.
Ecco allora che le pergamene delle commedie venivano grattate per fare spazio ad altri testi più richiesti.
il Palinsesto che conteneva le opere di Plauto, venne grattato e riscritto con brani della Bibbia.
PAOLO
Solo verso la fine del terzo atto riusciamo a riallacciare i fili della trama della vicenda, perchè  diminuiscono le lacune del testo, lasciandoci leggere i versi in modo quasi integrale fino alla fine della commedia.
Il servo che aveva lasciato la cesta nel vicolo, riesce a ritrovarla facendo luce sulla verità. Non a caso il suo nome tradotto per noi avrebbe il significato di Fiaccoletta.
Tra il quarto ed il quinto atto, gli eventi si svolgono velocemente conducendoci alla fine della storia.
La madre adottiva di Selenium, racconta alla ragazza tutta la verità, offrendosi di riaccompagnarla dai suoi veri genitori. Dalle chiacchiere del servo ella  ha infatti saputo che i genitori la stanno cercando e che Alcesimarcus è promesso sposo della sorellastra di Selenium.
MATTEO
A questo punto Plauto costringe il pubblico a focalizzare l’attenzione  sulla cesta che dà il nome alla commedia, enfatizzandone l’importanza. La cesta in cui la bimba è stata abbandonata insieme ai suoi giocattoli, è l’unico ponte tra il passato ed il presente, è l’unica prova dell’identità della trovatella.
Per qualche pagina ancora, Plauto gioca a far ripetere ai personaggi la narrazione della vicenda, fino all’esasperazione. E’ il suo modo per creare nel publico l’aspettativa per il finale.
PAOLO
Finale che poi non c’è.
Si, perchè il pubblico intuisce che siccome le cose si sono sistemate, i due innamorati potrebbero anche sposarsi...ma Plauto non ce lo dice!
Addirittura non ci rende partecipi dell’AGNIZIONE cioè del riconoscimento della trovatella da parte della famiglia naturale. Il tema dell’agnizione era particolarmente usato proprio nelle PALLIATE GRECHE .
Noi pensiamo che Plauto fosse un artista anticonformista e che provasse un certo piacere nell’infrangere le regole.
MATTEO
Nunc quod ad vos, spectatores, relicuum relinquitur...
(ora, per quel che riguarda voi, cari spettatori, rimane un particolare da praticare...)
PAOLO
More maiorum date plausum postrema in comoedia
(fateci un bell’applauso come si usava ai vecchi tempi)