martedì 20 dicembre 2011

DANTE ALIGHIERI

Quando visitai a Ravenna la tomba di Dante,  rimasi colpito dalla frase incisa sulla sua lapide.
“Fannomi onore e di ciò fanno bene”.
Pensai a Dante come ad una persona piena di superbia ed alterigia; ad ogni modo ne rimasi incuriosito al punto da domandarmi il motivo di questo carattere.
In realtà poi scoprii che questa frase si trova nel IV canto dell’Inferno, quando Dante e Virgilio incontrano gli altri poeti e Virgilio spiega a Dante che questi grandi del passato, come Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, non sono invidiosi di lui, anzi lo onorano come poeta loro pari.
Eppure le vicende personali accadute a Dante ed alla sua famiglia influirono in modo incisivo sulla sua opera, sul suo carattere e sul suo stile compositivo.

Dante nacque a Firenze nel 1265.
La famiglia Aligheri era di nobili origini ma cadde in disgrazia quando i guelfi vennero perseguitati.
Dante venne esiliato e visse come una grande umiliazione l’abbandono della sua Firenze.
Soggiornò in moltissime corti, presso i nobili che desideravano circondarsi di personaggi colti. Ma Dante si sentiva degradato in questo ruolo, lui che era stato un nobile.
Nonostante la sua bravura, Dante non venne nemmeno insignito del titolo di ”poeta incoronato d’alloro” a causa della sua precisa scelta di ricercare una lingua diversa dal latino per divulgare la propria opera.
Abbiamo già visto nella scheda all’inizio del programma di Letteratura, tratta dall’opera “De vulgari eloquentia”, di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime.  Comunque proprio per questo motivo Dante viene considerato il padre della lingua italiana, proprio perchè con la sua opera, la lingua si è arricchita.

Eppure prima dell’esilio,  Dante era un altro uomo.
Da ragazzo amava la poesia cortese  ed addirittura la poesia comica. Amava fantasticare, fuggire dalla realtà e vivere come in un sogno creato dalle sue stesse rime. Sappiamo che leggeva Virgilio, Orazio, Cicerone, Aristotele. Sappiamo anche che sperimentò vari pensieri religiosi che si andavano formando in quegli anni, miranti al rinnovamento di quel cattolicesimo considerato corrotto e decadente.
Erano gli anni in cui stava prendendo vita lo Stilnovo, il cui precursore fu il poeta bolognese Guido Guinizzelli, che Dante, infatti, cita nel Purgatorio, chiamandolo “padre mio”
Quando viveva a Firenze,  Dante prendeva parte ai cenacoli dei poeti stilnovisti,  come Guido Cavalcanti, che conosceva bene ed era suo amico.
In questo periodo giovanile Dante compose la Vita Nuova, che il poeta chiamava “libello”, che era un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che venivano qui riordinati, riallacciati fra loro con collegamenti. Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Come ho già detto le vicende politiche, nel giro di pochi anni, fecero cambiare drasticamente il destino del Sommo Poeta.
In esilio cambiò anche il suo stile letterario: via, via abbandonerà lo Stilnovo per abbracciare una poesia più complessa, che lo condurrà all’eccellenza della Divina Commedia.
Dante morì a Ravenna nel 1321. 

Cronologicamente possiamo così elencare le opere di Dante
•    RIME 
•    VITA NUOVA
•    CANZONI ALLEGORICO DOTTRINALI
•    TENZONE CON FORESTE DONATI
•    CANZONI PETROSE
•    EPISTOLE
•    CONVIVIO
•    DE VULGARI ELOQUENTIA
•    INFERNO
•    DE MONARCHIA
•    PURGATORIO
•    PARADISO
•    LA FORMA ED IL LUOGO DELL’ACQUA E DELLA TERRA

VITA NUOVA
Come ho già detto poc’anzi, Dante compose la Vita Nuova in gioventù, si presume appena dopo la morte di Beatrice.
Dante chiama quest’opera  “libello”, che significa piccolo libro, ed è un’insieme di scritti, di rime, di poesie scritte in precedenza, che vengono qui riordinati e riallacciati fra loro con collegamenti. Si tratta di 42 capitoli che comprendono 31 componimenti poetici (25 sonetti, 5 canzoni ed una ballata). La struttura è il PROSIMETRON, un genere appunto misto di prosa e versi.
L’opera Vita Nuova è composta in volgare, però quando parlano gli spiriti o le entità come l’Amore, esse si esprimono in latino, proprio per sottolineare l’universalità delle loro parole.
Nella Vita Nuova, Dante racconta il suo amore per Beatrice, ed è proprio in questa opera che troviamo enfatizzata la figura della donna dello Stilnovo nonchè il suo ruolo mistico di guaritrice dell’anima.
Dante conosce Beatrice da bambina, all’età di 9 anni  e resta folgorato dalla sua grazia angelica. La rivede esattamente 9 anni dopo, ormai giovinetta e si lascia divorare dall’incanto per quell’incontro casuale, dal quale ottiene soltanto un saluto, un cenno di riconoscimento, castissimo, gentilissimo, che  lo innalza alla più alta gioia.
Occorre fare un cenno particolare alla simbologia del numero 9. Esso rappresenta il miracolo, perchè, come spiega Dante nell’opera stessa, il numero 9 deriva dal numero 3 che è divino in quanto simboleggia la Trinità ed è  lo fattore per sè medesimo de li miracoli. Nell’opera di  Dante spesso ritroveremo il numero nove: sono 9 i cerchi dell’inferno e sono 9 i cieli del paradiso.
Bisogna comunque aggiungere che le opere medievali spesso fanno riferimento alla numerologia intesa come ricerca dell’armonia matematica di tutte le cose, come la teoria Pitagorica, come scritto sulla Bibbia e come veniva diffuso dalle dottrine mistiche che circolavano in quel periodo come per esempio la Cabala, ecc ecc.
Nella Vita Nuova un ulteriore riferimento al numero 9 lo abbiamo quando Dante stila la lista delle 60 donne più belle di Firenze. A Beatrice assegnerà il nono posto.
Beatrice non sarà mai la sua fidanzata e la loro storia d’amore è soltanto simbolica. Eppure Dante fantastica su questo loro amore, nonostante fosse sposato ed avesse dei figli.
Beatrice muore di malattia ed il poeta resta frastornato dal dolore. Finchè ha la visione della sua amata splendente di gloria celeste, che lo guida ad uscire da quel vicolo cieco per condurlo alla perfezione divina.
Dunque Dante incontra Beatrice a 9 anni e 9 anni dopo la incontra di nuovo. Lei gli fa un cenno di saluto dispensatore di salvezza, di grazia. Con il saluto Beatrice infonde in Dante beatitudine, carità, umiltà, sanando i suoi tormenti morali. Ricordiamoci che nel medioevo si dava importanza all’interpretazione dei nomi. Beatrice significa  infatti “portatrice di beatitudine” .
Per difendere il proprio amore per Beatrice, Dante inventa delle “donne-schermo” e, fingendosi innamorato di loro, compone delle poesie di poco valore. Purtroppo nasce l’equivoco, perchè Beatrice pensa che lui sia frivolo e gli toglie il saluto. Il poeta allora compone per lei delle lodi che segnano il passaggio tra l’amore che il poeta prova per la sua donna, all’amore disinteressato, che trova gioia nella celebrazione delle virtù dell’amata.
I versi danteschi della Vita Nuova si possono confrontare con l’opera di Cavalcanti “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Troviamo il tema della donna intesa come strumento per avvicinarsi a Dio, troviamo il tema della nobiltà dell’animo. In questi due casi comunque Dante supera il Cavalcanti nell’enfatizzare questi due concetti.
Il concetto d’amore per il Cavalcanti è ancora passione, per Dante è di più: è slancio spirituale verso l’amata, è immaginarla in cielo accanto a Dio.

I brani che abbiamo studiato, tratti dalla Vita Nuova, sono:
•    la descrizione dell’incontro con Beatrice del secondo capitolo, di cui abbiamo già parlato
•    il valore simbolico del numero nove
•    la lode “Donne ch’avete intelletto d’amore”.
•    la lode “Tanto gentile e tanto onesta appare”

“Donne ch’avete intelletto d’amore”

La forma metrica di questa poesia è molto raffinata in quanto sono tutti endecasillabi.
La poesia è preceduta da un prologo in cui il poeta spiega come gli sia venuta l’ispirazione per questi versi
La particolarità di questa lode è che è rivolta ad un pubblico femminile, al quale Dante chiede conforto, comprensione, in quanto la mente femminile ha già provato, conosce l’amore e dunque può capire meglio il suo stato d’animo.
Dante si rivolge alle donne per presentare loro le doti meravigliose di Beatrice, che descrive con tre parole emblematiche del vocabolario stilnovistico ANGELO, MADONNA  e AMOR.
In tutta la canzone, possiamo riscontrare similitudini con “io voglio del ver la mia donna laudare” del Guinizzelli.
In più Dante ci dice che Beatrice ha il potere di rendere nobili le persone e le cose che le stanno vicino, o le cose e le persone che lei guarda.

“Tanto gentile e tanto onesta appare”


Anche in questo sonetto Dante si propone di celebrare le doti di Beatrice.
Questa lode sembrerebbe molto attuale nelle espressioni. Leggendola sembra che non ci sia alcun bisogno di convertire i versi in prosa.
In realtà ci giunge un avvertimento da Gianfranco Contini, studioso dell’opera dantesca, (1912-1990) che ci fa notare come i termini usati da Dante non abbiano lo stesso significato che viene loro attribuito ai nostri giorni ed in certi casi stravolgono completamente il significato che pensiamo.
Leggendo queste lodi, dunque non dobbiamo lasciarci ingannare dalla perfetta comprensione delle frasi, perchè in realtà a quei tempi avevano un altro significato.

RIME


Le rime sono un insieme di liriche di Dante giunte fino a noi ad esclusione di quelle  che scelse di inserire nella Vita Nuova e ad esclusione delle tre canzoni inserite nel Convivio.
Non si tratta di una raccolta ordinata ma di un corpus eterogeneo. Per questo motivo non si può parlare di un vero canzoniere, che starebbe a significare una scelta organica con un preciso svolgimento stilistico. Studiosi danteschi moderni hanno cercato di disporre le rime secondo un ordine cronologico e stilistico.
Allo stato attuale la produzione di rime risalenti al periodo anteriore all’esilio comprende 54 componimenti tra sonetti, canzoni ... e dubbi. Alcune rime sono state addirittura attribuite ad altri poeti.
L’importanza delle rime sta nel fatto che testimoniano la graduale conquista di uno stile personale attraverso uno sperimentalismo aperto a tematiche e tecniche disparate.
Le Rime rappresentano l’esordio poetico dantesco, anche se non siamo in grado di stabilire una datazione certa. Nel corpus troviamo delle poesie, dei sonetti che Dante scriveva ai suoi amici, come a Dante da Maiano (si chiavano con lo stesso nome), a Cino da Pistoia  o a Guido Cavalcanti, al quale scrive del suo desiderio di fare un viaggio avventuroso in un’atmosfera arturiana.

Fra le rime, spicca l’insolita “Tenzone con Forese Donati” in cui Dante si prende gioco del fratello del capo della fazione dei guelfi neri, suoi avversari politici. In questa tenzone si può notare come il poeta esperimenti lo stile di scherno tipico dei versi che troveremo nei canti dell’Inferno.

Le cosiddette “Rime Petrose” invece sono due canzoni in cui Dante esperimenta un linguaggio duro, aspro, dove anche la scelta lessicale è di impatto, crudele. Nelle rime petrose il poeta si rode d’amore per una donna che lo rifiuta con durezza e con altrettanta durezza egli le giura vendetta. Qui la donna non è l’angelo dello stilnovo e le regole comportamentali vengono completamente disattese.

Il nostro libro accenna anche ad una rima dal titolo “Il Fiore”. I critici sono in dubbio sull’attribuzione della paternità dantesca a quest’opera che è la trasposizione in volgare di un poemetto francese della tradizione cortese, meglio conosciuto come “Il romanzo della rosa”

LE CANZONI ALLEGORICO-DOTTRINALI

Alla morte di Beatrice, Dante rimane profondamente colpito e cerca consolazione negli studi filosofici. Ispirato, compone alcune rime di argomento filosofico, chiamate appunto canzoni allegorico dottrinali, in cui celebra l’amore per una donna gentile che è la FILOSOFIA.

IL CONVIVIO


Sempre di carattere filosofico dottrinale è il contenuto del Convivio, trattato rivoluzionario, perchè scritto interamente in volgare.
A quei tempi i trattati filosofici erano assolutamente scritti in latino in quanto rivolti ad un pubblico selezionato.
Il libro si prefiggeva invece proprio lo scopo di divulgare il sapere ad un pubblico più vasto, abbracciando anche quello meno colto. Il titolo, Convivio, significa banchetto e metaforicamente Dante, seduto a tavola distribuisce ai commensali il pane della sapienza, cibo per l’anima.
In realtà qui gli argomenti vengono solo introdotti ed il progetto iniziale risulta meno sviluppato di quanto Dante intendesse fare. Infatti si presume volesse creare una vera e propria enciclopedia del sapere universale, ma l’impegno profuso alla stesura della Commedia abbia esaurito il tempo e le forze che il poeta avrebbe potuto destinare a questo progetto. Il Convivio è rimasto incompiuto proprio perchè è servito da impalcatura per la Divina Commedia, che in effetti è un trattato universale del comportamento umano.

Dal Convivio abbiamo approfondito:
•    Il naturale desiderio di sapere
•    In difesa del volgare
•    Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
•    I quattro sensi delle scritture

Il naturale desiderio di sapere
Con questo trattato inizia il Convivio. Dante, ispirato dalla filosofia aristotelica, così in voga in quel periodo, sostiene che l’uomo è naturalmente portato alla sapienza, solo che per vari motivi, magari perchè non ha tempo a causa di impegni famigliari, oppure non può frequentare circoli di divulgazione culturale, non può così soddisfare questa sua inclinazione.
In questo brano Dante fa notare la differenza tra quest’opera matura rispetto alla Vita Nuova, scritta in età giovanile, non tanto per sminuire quest’ultima, quanto per giustificare la caratteristica dello stile determinato dall’età e dall’indole dello scrittura.

In difesa del volgare

In questo brano Dante cerca di convincere il suo pubblico sulla necessità di esprimersi in volgare anzichè in latino. La scansione è ternaria: 1) è assurdo scrivere commenti in latino ad una canzone in volgare, subordinando una lingua superiore ad una lingua inferiore; 2) l’opera scritta in volgare è accessibile anche ad un pubblico meno colto; 3) il volgare è la lingua naturale, quella che ci viene insegnata dalla mamma.
Il trattato dantesco prosegue con un elogio del latino, sempre in tre punti: 1) è incorruttibile, da secoli è invariato, mentre il volgare è soggetto a continui mutamenti; 2) è una lingua ricca che si presta alla divulgazione scientifica, tecnica e teologica; 3) il latino è bello, armonioso, grammaticalmente perfetto.
In questo brano del Convivio Dante annuncia la sua intenzione di scrivere il “De vulgari eloquentia” anticipando il contenuto.

Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete

È la prima canzone che compare nel Convivio, al secondo capitolo. Dante, questa volta sceglie come pubblico gli angeli del terzo cielo, ritenendo che solo simili entità divine possano capirlo e spiega loro che ora che Beatrice non c’è più, lui si consola con la donna gentile, che allegoricamente è la filosofia.
Descrive dunque il suo nuovo sentimento, confrontandolo con quello che provava per Beatrice.
Il riferimento alla cosmologia, all’inizio di questa canzone, in cui cita un terzo cielo in cui risiedono gli angeli ai quali si rivolge, è dovuto al fatto che Dante abbraccia la teoria tolemaica, in voga in quel periodo, secondo la quale la terra  era al centro dell’universo, circondata da 9 cieli; si credeva che la rivoluzione di questi cieli influisse sulla vita degli uomini. Ecco perchè Dante pensava che il pensiero d’amore prendesse vita nel terzo cielo, quello dominato da Venere.
Importantissimo il riferimento a questa “donna  gentile” diversa da Beatrice, che troviamo sia nel Convivio sia nella Vita Nuova. In entrambe le opere Dante è diviso tra l’amore di queste due donne, solo che nella Vita Nuova trionferà Beatrice, mentre nel Convivio Dante contraddice i suoi precedenti sentimenti.
Gli studiosi danteschi hanno avanzato l’ipotesi che effettivamente Dante avesse composto questi versi proprio per una donna e che poi li avesse adattati successivamente attribuendo loro l’allegoria.
Ad ogni modo, sia che la donna fosse reale o allegorica, Dante la canta riprendendo la forma stilnovistica.

I quattro sensi delle scritture
Questo brano introduce il secondo capitolo del Convivio, dove troviamo anche la canzone sopracitata. In esso Dante spiega, sempre utilizzando la metafora della cena, come deve essere mangiato il cibo da lui proposto, ovvero come deve venire interpretato un testo poetico.
I gradi dell’interpretazione sono 4: letterale, allegorico, morale e anagogico.
Per interpretazione letterale s’intende quella chiara, la più intuibile che è quella che il testo suggerisce senza significati occulti.
L’interpretazione allegorica è quella che invece va colta con un po’ di sensibilità da parte del lettore; Dante cita parecchi esempi di interpretazione allegorica, fra cui certi brani tratti dalla Bibbia o da classici latini; in particolare cita l’esempio dell’episodio delle Metamorfosi di Ovidio in cui Orfeo che con il suo canto  ammansiva le bestie  e faceva muovere le pietre, è la metafora dell’uomo saggio che riesce ad ammansire  i crudeli ed a trasmettere la propria elevazione spirituale.
Dante spiega l’interpretazione morale avvalendosi di brani tratti dai Vangeli e dai Salmi dal cui testo evangelico si possono trarre suggerimenti comportamentali avendo quindi uno scopo didattico.
Infine l’interpretazione anagogica consiste nel trovare verità e conoscenze supreme, soprattutto nei testi sacri.

IL DE VULGARI ELOQUENTIA

Questo trattato è scritto in latino perchè in esso Dante si rivolge ai letterati per convincerli della necessità di diffondere la cultura in lingua volgare.
Purtroppo quest’opera non solo è incompleta ma è anche interrotta bruscamente lasciando incompiuto persino il periodo.
Ad ogni modo il primo libro, che è completo, è composto da 19 capitoli in cui si fornisce una vera e propria teoria del linguaggio, indagando alle sue origini.
Dante afferma che l’uomo deve esprimere il proprio pensiero e da sempre ha preferito il linguaggio alla gestualità, anche se precedentemente all’episodio della torre di Babele, vi era un’unica lingua.
L’esame linguistico di Dante continua con l’analisi dei dialetti italiani. Questa ricerca in realtà non era finalizzata alla conoscenza dei vari dialetti, bensì alla ricerca di un dialetto adatto per fare poesia. Ho già citato precedentemente la scheda consegnataci all’inizio del programma di Letteratura, tratta da quest’opera di come Dante fosse alla ricerca di una lingua volgare che potesse essere adattata allo stile sublime. 

Dal De vulgari eloquentia abbiamo approfondito

•    Le teoria degli stili

Nel brano Dante afferma che è necessario stabilire delle regole fisse per creare i versi poetici. E’ vero che ci sono poeti improvvisati che hanno scritto parole bellissime, però chiamarli poeti è improprio, perchè essi non ricorrono a quelle regole metriche che determinano la perfezione del verso.
Allo stesso modo lo stile d’espressione dovrà essere scelto dal poeta in base all’argomento.   Nel chiudere il discorso Dante investe la figura del poeta della responsabilità addirittura sacra di divulgare la cultura.

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