martedì 20 dicembre 2011

IL SENSO

Affrontando la lettura del romanzo Senso di Camillo Boito, non ho potuto fare a meno di pensare che, forse per fatalità, ci siamo imbattuti in letture che ci hanno costretti a riflettere sulla natura dell’amore.

Questo sentimento che, da sublime e divino, come quello descritto da Dante e dai poeti dello Stilnovo, può trasformarsi in qualcosa di vile, cinico e sotto certi aspetti, volgare, come quello descritto da Boito e da Tarchetti.

Il percorso di riflessione sull’amore e sui suoi molteplici volti ed aspetti, potrebbe partire da Platone e dalla delicatezza di un amore inteso  per l’anima dell’altro, non necessariamente tra uomo e donna, ma assai più spesso tra amici, come se il sesso potesse in qualche modo interferire con la sincerità di questo sentimento.

Eppure Platone afferma che la bellezza fisica facilita l’amore, nel senso che l’amore per la bellezza di un corpo non è che un passaggio per cogliere la bellezza dell’anima.

La mentalità di quei tempi vedeva la donna inferiore all’uomo come capacità intellettuale. Era come affermare che l’anima di una donna fosse meno profonda di quella di un uomo. L’amore sublime, quello per l’anima, veniva dunque veicolato verso l’uomo,  mentre alla donna veniva riservato tutt’altro tipo di amore, che non si poteva neppure chiamare così, essendo solo attrazione carnale.

Seguendo i personaggi femminili nella letteratura delle varie epoche, possiamo percorrere anche il viaggio dell’amore e delle sue aspettative e prerogative, che vanno di pari passo con il concetto che l’uomo ha della donna.

Nel medioevo, la donna dei romanzi cavallereschi è coinvolta in amori pieni di passione. Ma se analizziamo meglio questo sentimento, anche se esso può essere violento e fortissimo, scopriamo che non è ancora l’amore per l’anima dell’altro.

Solo con i letterati dello Stilnovo si raggiunge la maturità dell’amore, nel senso che la donna finalmente acquista lo stesso valore dell’uomo sul piano spirituale.

Viene da pensare che tutto ciò avviene negli stessi secoli bui in cui  si bruciavano le streghe sul rogo, ragione per cui la mentalità che giudicava l’universo femminile non era poi così aperta come si potrebbe pensare leggendo una poesia di Cavalcanti o un’opera di Dante.

L’amore ha ispirato la letteratura d’ogni tempo, che l’ha descritto, sublimato, forse in certi casi anche storpiato.

Eppure sin dai personaggi delle commedie di Terenzio, assistiamo sempre più ad uno studio psicologico del comportamento dei personaggi di fronte all’amore. Dapprima vengono analizzati comportamenti considerati normali nell’innamoramento. Via, via però le trame si complicano, i personaggi si arricchiscono di sfumature.

Ed ecco che l’amore potrebbe anche essere la maschera sotto cui si nascondono interessi poco nobili, addirittura economici e di potere; oppure il mezzo per soddisfare la propria vanità o il proprio egoismo.

Drammatica la definizione dell’amore in una frase tratta dalla Fosca di Tarchetti, secondo cui l’amore sarebbe la fusione e la conciliazione di due egoismi che si soddisfano a vicenda.

Peggio ancora la protagonista di Senso, spregevole, priva di scrupoli,  di compassione, di moralità, incapace di provare amore se non per se stessa. Vile al punto da provocare la morte di chi non la considera oggetto di desiderio. 


Se il dolore di Dante per l’amore perduto di Beatrice mi può commuovere, se le vicende adulterine di Lancillotto e Ginevra  mi possono intrigare, le storie inquietanti di Fosca e di Livia, mi fanno sentire a disagio:  questi volti inconsueti dell’amore mi hanno agitato quanto un brutto sogno, un incubo da cui cerco presto di svegliarmi.

Vicino al mio letto tengo un libro, “Tre metri sopra il cielo”. E’ autografato dall’autore,
Federico Moccia, che mi ha scritto anche una piccola dedica: a Matteo, per una storia  ancora più bella.

E’ a questo tipo d’amore che voglio ispirarmi nella mia vita, è una storia d’amore ancora più bella che desidero per me. Potrà far soffrire, sospirare, addirittura morire, ma sarà l’amore per l’anima.

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