martedì 20 dicembre 2011

ORLANDO FURIOSO (alcuni testi)



Tutto il poema è in ottave di endecasillabi con schema metrico abababcc


le donne, i cavallier, l’arme, gli amori

Ottave da 1 a 4

Il proemio dell’Orlando Furioso è fedele alla costruzione tipica del proemio del poema classico, cioè è formato da
•    Argomentazione
•    Invocazione alla divinità ispiratrice
•    Dedica

Argomentazione
Ariosto dedica la prima ottava e metà della seconda, alla spiegazione del contenuto dell’intero poema, anticipando anche che si parlerà di Orlando che impazzirà per amore.
Per il proemio il poeta sceglie uno stile alto, utilizzando figure retoriche ed accorgimenti metrici stilistici del registro classico: ricorre spesso all’enjambement; duplice chiasmo in apertura cavallier/armi  e donne/amori con amori/cortesie arme/audaci imprese
Il tono basso con cui Ariosto, invece, anticipa che l’amore porterà alla pazzia l’eroe protagonista, fornisce la chiave di lettura per l’intero poema: il mondo dei cavalieri e dei loro valori verrà ironizzato e messo in dubbio.
Invocazione alla divinità ispiratrice
Diversamente dagli altri poemi, il poeta non invoca le Muse ispiratrici o qualche altra divinità. Chiede solo alla propria amante, Alessandra Benucci, di non rubargli troppe energie con la passione amorosa per concedergli di riuscire a lavorare all’opera. Senza dubbio questi versi sono stati ritoccati dopo l’incontro con la Benucci, dal momento che il proemio era già stato composto precedentemente. Sono soltanto gli ultimi 4 versi della seconda ottava.
Dedica
Le rimanenti due ottave sono occupate dalla dedica, che era obbligatoria a quei tempi per rivendicare la paternità dell’opera. Ragione per cui Ariosto la dedicò al cardinale Ippolito, il quale non la gradì, chiedendogli dove avesse trovato tante corbellerie. In effetti i critici non mancano di affermare che il tono esagerato con cui presenta Ippolito (ornamento e splendor del secol nostro) suona canzonatorio. Senza troppi giri di parole il poeta chiede esplicitamente che gli venga data affermazione e riconoscimento per il proprio ruolo di letterato. Chiede altresì, con molta ironia, che almeno per la durata del suo racconto il suo Signore (Ippolito) smetta di occuparsi dei suoi importantissimi affari per ascoltare i suoi versi.
Nel contesto della dedica appare anche il riferimento encomiastico a Ruggiero, l’eroe saraceno che si convertirà al cristianesimo che, sposando Bradamante, darà il via alla dinastia degli Estensi.
Che gli Estensi discendessero da Ruggiero c’era già nell’Innamorato di Boiardo.

La fuga di Angelica
Ottave da 5 a 81

Il canto I si apre con pochi cenni di  riferimento all’opera di Boiardo, di cui è la continuazione: in un solo versetto le parole Orlando e innamorato compaiono prima ed ultima e ciò è sufficiente a ricordare al pubblico tutto il precedente racconto.
Il poema boiardesco aveva lasciato Angelica prigioniera di Carlo Magno al campo cristiano;  durante un’incursione saracena, approfitta del caos e fugge nella foresta.
La foresta, la selva, il bosco hanno un significato metaforico fin dalla selva oscura di Dante: può essere il locus horridus, luogo della perdizione, dove si nascondono pericoli incogniti, oppure può essere il locus amenus, dove prevalgono i sentimenti salvifici ed eroici.
Tutto l’intero primo canto si svolge nella foresta ed è qui che le traiettorie dei personaggi di intrecciano, interferendo sulla ricerca, sulla quete di ciascuno.
Ciò che muove le fila è LA FORTUNA citata innumerevoli volte nel corso del I canto. La fortuna fa incontrare, scontrare. Permette di vincere e più spesso di perdere l’oggetto del desiderio, vanamente inseguito.
Naturalmente la tecnica narrativa che fin da subito viene adottata da Ariosto è l’entrelacement. Esso avviene solitamente nelle ultime due strofe dell’ottava, ovvero i due versi a rima baciata cc. Questi ultimi due versi sono quelli che il poeta utilizza in caso di necessità di chiarire o intervenire a spiegare situazioni o riflettere su qualche argomento.
Ariosto non presenta mai i personaggi: essi irrompono in scena presentandosi da soli per quel che sono dalle loro azioni.
Comprendiamo che Ariosto stima i cavalieri per il loro valore e la loro virtù, però ritiene inutile i loro sforzi al punto da ironizzare su di essi. Abbiamo personaggi idealisti (Orlando e Bradamante, per esempio) i quali, non essendo disposti ai compromessi, sono destinati alla sconfitta. Abbiamo personaggi opportunisti (come Angelica e Sacripante) che sanno fare buon viso a cattivo gioco per ottenere vantaggi, ed in questo modo spesso la spuntano.
Fin dal canto I il lettore comprende la natura cinica, calcolatrice e capricciosa di Angelica, molto diversa dall’angelica donna stilnovistica, pur avendone il nome!
Il primo canto è redatto in uno stile ed in una lingua che lo pongono immediatamente a rappresentare l’intero poema.
Il linguaggio Petrarchesco viene usato in tono ironico in bocca a personaggi rozzi come Sacripante, proprio per fare una caricatura dell’amore cortese.
Come i cantari medievali, Ariosto spesso si appella all’attenzione del pubblico. Vedremo che lui si rivolge direttamente al Signore, cioè ad Ippolito.
Trama
Angelica, approfittanto di un’imboscata saracena nel campo cristiano i cui è prigioniera, fugge nel bosco. Qui incontra Rinaldo che sta inseguendo il suo cavallo Baiardo. Rinaldo riconosce subito la donna di cui è innamorato e lei fugge al galoppo finchè trova un fiume. Al fiume c’è Ferraù che beve riempiendo l’elmo d’acqua.  L’elmo gli sfugge e viene inghiottito dalle acque.  Ferraù alza gli occhi e vede Angelica, la riconosce e le offre il proprio aiuto. Ardito come se portasse l’elmo cerca Rinaldo per battersi a duello.
Nel frattempo Angelica, approfittando dello scontro, fugge. I due cavalieri, rinunciando ai dettami cortesi dell’onore, si accordano per sospendere il duello per inseguire la fuggitiva.
Al crocevia di dividono e il racconto abbandona Rinaldo per seguire Ferraù, che passando dai luoghi della battaglia, si trova innanzi al fantasma di Argalia, che egli ha ucciso.
Dopo un breve cenno al percorso di Rinaldo, il racconto prosegue con Angelica, che nel bosco incontra il re di Circassia, Sacripante, uno dei tanti suoi innamorati. Si mettono a lungo a parlare. Angelica, pur non apprezzandolo, le fa le moine perchè sa che potrebbe esserle d’aiuto nella fuga. Lui, pur comportandosi cortesemente (anche se i suoi discorsi sono oggetto di ironia da parte di Ariosto che gli fa pronunciare frasi petrarchesche che suonano caricaturali), decide che è meglio approfittare della fortuna di avergli fatto incontrare l’amata in un luogo isolato, per prendersela con la forza.
Ma proprio mentre sta per assalire la donna, la fortuna gli toglie ciò che gli ha appena dato: appare un cavaliere bianco che lo disarciona.
Scopriamo da un messaggiero che il cavaliere bianco è una donna: Bradamante.
Avvilito, a Sacripante va via la voglia di aggredire Angelica: buono, buono si presta ad accompagnarla.
Ma ecco che incontrano un cavallo al galoppo: angelica lo riconosce subito, è Baiardo, il cavallo di Rinaldo. Pensano subito di rubarlo, ma Baiardo non si lascia toccare, essendo dotato di intelligenza e memoria come un essere umano.
Poco dopo ecco che appare Rinaldo che insegue il suo cavallo.
Il canto si chiude con un breve racconto di come nel poema boiardesco Angelica e Rinaldo fossero stati coinvolti nell’incantesimo delle fontane dell’odio e dell’amore.

Il palazzo incantato di Atlante
XII - Ottave da 4-42 e 53-62

Tre sono le sequenze più importanti:
•    Orlando insegue una donna, che egli crede sia Angelica, rapita da uno sconosciuto. I due entrano nel castello e l’eroe li segue. All’interno del castello Orlando inizia a cercare disperatamente Angelica, di cui può sentire la voce, senza scorgerla.
•    Ruggiero insegue Bradamante ed entra nel castello. In questo contesto il poeta spiega  che Atlante sta cercando di tenere occupato Ruggiero affinchè non incontri Bradamante, poichè egli sa da una profezia che l’eroico discendente degli Estensi, morirà in seguito al matrimonio ed alla conversione al cristianesimo. Atlante è un mago che ha allevato Ruggiero e lo ama come un figlio.
•    Nella terza sequenza Angelica viene inseguita contemporaneamente da Orlando, Ferraù e Sacripante. Siccome la donna ha sottratto a Ruggiero un anello magico che dona l’invisibilità, vanifica l’incantesimo del palazzo e, sparendo e ricomparendo, fa quasi impazzire i suoi inseguitori, conducendoli alla fine all’esterno del palazzo, nel folto della foresta.
Il palazzo è il luogo dell’illusione, il posto dove si inseguono degli ideali irrealizzabili.
Il palazzo rappresenta, come il bosco, la vita: è metafora della vita.
Con la differenza che il bosco è luogo naturale e rappresenta il poema, il palazzo è creatura fantastica e rappresenta l’opera letteraria, che è altrettanto fantastica.

Personaggi idealisti e pragmatici
Abbiamo già visto che Ariosto dà vita a due tipi di personaggi. Quelli che credono nei propri ideali senza scendere a compromessi e che sono destinati alla sconfitta e quelli opportunisti, che sanno fingere, che alla fine possono anche uscire vincenti.
In questo canto abbiamo la conferma che Ariosto tende a ridicolizzare i vani tentativi cavallereschi: pur stimando gli eroi idealisti, ironizza sulle loro illusioni.
La figura di Angelica ne esce una volta per tutte tracciata come negativa, demistificando la figura della donna della lirica petrarchista.

Il linguaggio
Per rendere l’idea dell’illusione, dell’apparenza, Ariosto fa uso di certi stilemi. Per esempio il verbo PARERE, di cui fa largo uso in questo canto, che con il significato di sembrare in apparenza, rende molto bene l’idea dell’incertezza della visione.
Vi è inoltre una frase che oltre a rendere l’idea del vano, ci fa comprendere il lavoro raffinato di ricerca lessicale:
tutti cercando il van
letteralmente : tutti lo vanno cercando
ma dove quel van, che significa vanno, gioca sulla sonorità e ricorda al lettore il termine vano
Inoltre, per dare l’idea del movimento frenetico della ricerca, vengono usati verbi di modo e locuzioni avverbiali che rendono fortemente l’idea della velocità dello spostamento. Per esempio: di su di giù dentro e di fuori cercando

E’ curioso notare che Ariosto non ci fa capire bene com’è fatto questo palazzo.
Dal testo riusciamo a capire che la porta è d’oro tutta cesellata, che il palazzo è di marmo bianco e che non si riescono a vedere nè muri nè pavimenti perchè essi sono interamente ricoperti di tappeti ed arazzi. Nelle stanze i letti sono tutti di seta ornati d’oro.
Ariosto non è nemmeno molto preciso nel tracciare gli itinerari dei personaggi, tanto che l’idea che ne abbiamo, alla fine, è quella di un labirinto.

 L’amicizia e l’amore: Cloridano, Medoro, Angelica
XVIII - Ottave da 164-175  e 183-192
XIX – Ottave 1-36

Il testo proposto dal libro, racchiude due temi principali:
•    il tema dell’amicizia
•    il tema dell’amore.
L’episodio dell’amore è utile per comprendere il contesto della pazzia d’Orlando, che è il nucleo dell’opera.
L’amicizia è un tema di derivazione classica, caro ad Ariosto, che condusse, in gioventù, accurati studi letterari sui classici greci e latini sotto la guida di Gregorio da Spoleto.
Ariosto fa un elogio all’amicizia incondizionata e sincera, e non perde occasione del tema della fedeltà cavalleresca, per criticare, invece, la falsa amicizia che si ostenta in ambiente cortigiano.
Cloridano e Medoro, due fanti saraceni, al termine di una battaglia perduta, tentano di recuperare il corpo del loro capitano al campo cristiano. L’episodio ricorda un racconto tratto dall’Iliade di Omero in cui un soldato viene mandato al campo nemico. Ma la vera ispirazione si accerta nel racconto dell’Eneide di Virgilio con  cui vi sono moltissime similitudini: la descrizione fisica dei due amici, la sortita al campo nemico, l’uccisione dell’astrologo, la preghiera alla luna (in Virgilio per prendere la mira, in Ariosto per ritrovare il cadavere), il ritardo nella fuga (in Virgilio per il peso dell’elmo, in Ariosto per la soma del cadavere). Di diverso ci sono le figure dei capi nemici (feroce in Virgilio, clemente in Ariosto) e diversi sono i finali perchè nell’Eneide i due amici muoiono entrambi. Da notare che ritroveremo il tema della sortita al campo nemico anche nella Gerusalemme liberata di Tasso.
Lo stile con cui Ariosto racconta l’episodio di Cloridano e Medoro è scandito da un tono epico. Le  espressioni dei due protagonisti rendono al lettore l’idea della loro volontà ferrea a perseguire il loro progetto. Le frasi sono, infatti, sicure e nette. Per es. Io voglio andar e tu rimarrai.
Degne di nota alcune similitudini con le quali Ariosto paragona i sentimenti contrastanti di Medoro ad un tornio e a un’orsa.
Trama
Al termine di una cruenta battaglia vinta dai cristiani, due fanti saraceni, Cloridano e Medoro, decidono di tornare al campo nemico per recuperare il cadavere del loro capitano, nonchè loro amato amico. La notte è buia e Medoro invoca la luna di fargli luce per ritrovare il corpo.
La fuga dei due è resa lenta dal peso del cadavere che Medoro regge sulle spalle. I due vengono intercettati ed inseguiti dai nemici. Cloridano urla a Medoro di abbandonare il corpo e seguirlo ma Medoro non lo fa e viene catturato. Cloridano è nascosto che osserva la scena. Il capo cristiano, Zerbino, apprezza l’onore con cui Medoro ha rischiato la vita per seppellire l’amico e lo risparmia. Un altro soldato villano però colpisce lo stesso Medoro, causando la reazione di Cloridano che, uscendo allo scoperto, viene ucciso.
La ferita di Medoro sembra mortale così i cristiani abbandonano il campo.
Il giovane viene soccorso da Angelica travestita da contadina che lo cura con le erbe, che lei conosce grazie alle nozioni di medicina imparate in Cina.
Trovano ospitalità alla casa di un pastore. I due giovani si innamorano.
Ariosto interrompe qui il racconto per rivolgersi sarcasticamente ai valorosi cavalieri, Orlando, Sacripante, Agricane, Ferraù, domandando loro se tutte le prove che hanno superato, tutti i pericoli che hanno incontrato, non sono forse stati sforzi inutili, che addirittura Angelica ha deriso, dal momento che per innamorarsi ella ha infine scelto un umile fante.
Nel bosco, che è lo scenario incantato, il locus amenus, del loro amore, come tutti gli amanti incidono i loro nomi intrecciati su tronchi e pietre. Infine, appena Medoro sarà completamente ristabilito, i due si sposeranno per tornare al paese di lei, il regno del Catai.

La pazzia di Orlando
XXIII - Ottave da 100 a 136
XXIV – Ottave da 1 a 10

Siamo giunti all’episodio centrale dal quale prende nome il poema.
E’ situato esattamente alla metà dell’opera, tra il canto 23 e 24.

TRAMA
Orlando, inseguendo nel bosco il guerriero tartaro Mandricardo, raggiunge un luogo incantato in cui un ruscello dalle acque chiarissime scorre tra una vegetazione lussureggiante.
Ma il poeta avvisa il lettore che in questo contesto paradisiaco sta per consumarsi una tragedia.
Orlando s’accorge dei nomi che innamorati sconosciuti hanno inciso sui tronchi e sulle pietre di quel luogo. Il tetro presentimento, va in crescendo, lasciando il posto al dubbio. Il nome di lei è Angelica, amorosamente intrecciato a un nome d’uomo. Orlando cerca di rimuovere questo terribile dubbio. Ma poi riconosce la calligrafia della donna che ama, allora cerca di dare una spiegazione razionale: Medoro non può essere un nome con cui Angelica ha ribatezzato teneramente Orlando?
Qui Ariosto paragona Orlando che si dibatte nel suo disperato sospetto a un uccellino invischiato nella trappola, che più sbatte le ali tentando di liberarsi, più sprofonda.
All’imboccatura di una grotta trova addirittura un lungo epigramma con cui Medoro racconta che in quella caverna ha amato Angelica e che chiede alla natura di conservare intatti l’acqua limpida, le piante maestose che sono stati testimoni del loro amore.
Il dolore del paladino esplode in un primo sfogo violento.
Orlando, abbattuto e tristissimo, trova rifugio nella casa del pastore che tempo prima ha ospitato gli innamorati, il quale, vedendo l’eroe tanto mesto, pensa di rasserenarlo raccontandogli una bella storia d’amore. Così prende a raccontare la vicenda di Angelica e Medoro, allontanando da Orlando ogni dubbio rimasto!
Quella notte, steso sul pagliericcio alla casa del pastore, al pensiero che in quello stesso giaciglio Angelica e Medoro si fossero amati, Orlando scatta in piedi come avesse scoperto un serpente nel letto.
Il paladino corre nel bosco. Torna alla grotta dove Medoro aveva scritto sull’epigramma che desiderava quei posti intatti per sempre e distrugge tutto, sradica piante, spezza le rocce, così che le acque chiare si riempiono di fango.
Dopo essere rimasto immobile tre giorni e tre notti, si spoglia e, completamente nudo, ricomincia a distruggere tutto ciò che ha intorno.
Contadini e agricoltori, cercano di fermarlo, ma comprendono che quella furia è inumana.
Allora lo assalgono a migliaia, tutti insieme, armati di strumenti agricoli, scendono dal monte e salgono dalla valle, per stringergli intorno un’imboscata ed immobilizzarlo.
Ma Ariosto avvisa che nessuna arma può colpire Orlando, perche al cavaliere Dio ha donato l’invulnerabilità, affinchè potesse difendere la fede.

La pazzia come metamorfosi
Anche in questo canto è possibile rintracciare l’ispirazione classica nelle Metamorfosi di Ovidio. Ma non è tutto. Riflettendo sul tema della metamorfosi, la pazzia, in quanto mutamento irrazionale, è paragonabile ad una sorta di Metamorfosi.
Il crollo dell’ideale cavalleresco
Con il comportamento irrazionale di Orlando cade tutto l’ideale cavalleresco del personaggio. Egli infatti perde il controllo, cosa impensabile per la condotta di un cavaliere!
L’eroe viene UMANIZZATO e addirittura quando piange, assume atteggiamenti femminili. Il poeta descrive con ironia il pianto di Orlando, paragonandolo ad una fontana.
Alla fine del canto Ariosto estende il dibattito sulla follia dal furore individuale alla pazzia che invade l’umanità intera del suo tempo.
Testo  10– Il viaggio di Astolfo sulla Luna
XXXIV- Ottave da 70 a 87

TRAMA
Accompagnato da San Giovanni Evangelista, il paladino Astolfo va sulla luna per recuperare il senno di Orlando.
La prima impressione di Astolfo quando tocca il suolo lunare è di stupore, perchè dalla luna, la terra è una piccola sfera insignificante.
Sulla luna c’è una valle in cui si ammucchiano tutte le cose che in terra vengono perdute.
Ariosto inizia un elenco di cose che l’uomo o perde oppure spreca inutilmente.
•    la fama, che dura poco
•    le preghiere, che non servono a nulla
•    le pene d’amore, che sono vane
•    il tempo perso nel gioco, che non da alcun frutto, diversamente dall’”ozio” dedicato agli studi

e poi ancora.. altre cose perdute che si trovano sulla luna:
•    i regni antichi
•    la protezione dei potenti

per poi passare ad una polemica sui vizi di corte...

•    l’adulazione ed il servilismo
•    gli incarichi di potere
•    le congiure cortigiane

Infine Astolfo trova la collocazione delle ampolle dei senni che gli uomini hanno perduto e si stupisce di trovare sulla luna una parte di senno di uomini per pensava fossero integri. Addirittura trova l’ampolla contenente un po’del senno che egli stesso ha perso e ottiene il permesso di riprenderselo.
Significativa la nota finale in cui Ariosto dice che vi sono ampolle contenenti grandi quantità del senno dei poeti, alludendo forse a se stesso!
Naturalmente Astolfo riesce a recuperare l’ampolla contenente il senno d’Orlando che era lo scopo della sua missione.

Le fonti
È chiaro che il viaggio ultraterreno guidato da un santo non può che ricordare la Divina Commedia di Dante, anche se in Ariosto non ci sono prospettive religiose.
L’opera di Leon Battista Alberti Somnium, il sogno, rappresenta tuttavia il maggior riferimento di ispirazione per la tematica del canto. Anche Alberti però si era ispirato ad un modello più antico, individuabile nell’autore greco Luciano, dove nel suo sogno vola a cercare dove stanno davvero le cose che i filosofi non sanno spiegare.

Astolfo sulla Luna: poesia e potere

XXXV- Ottave da 18 a 30

TRAMA
Quando Astolfo recupera l’ampolla con il senno di Orlando, non torna immediatamente sulla terra, ma, sempre accompagnato da San Giovanni, giunge presso un palazzo, nel quale le Parche (creature mitologiche) intente a filare il destino degli uomini. Ogni pezza corrisponde ad una vita e porta una targhetta con il nome dell’uomo al quale quel destino corrisponde.
Fra queste targhette c’è un riferimento encomiastico perchè scorge quella del cardinale Ippolito d’Este.
Le targhette vengono portate al fiume Lete da un vecchio e depositate sulla corrente. Alcune targhe sprofondano in acqua. Altre vengono rubate da uccelli predatori, ma il loro peso li costringe ad abbandonarle sul fiume poco distante. Riescono a raggiungere l’immortalità solo quelle piastre che toccano in sorte ai due cigni sacri.

La polemica anticortigiana e riflessione metaletteraria
L’allegoria del vecchio (il tempo)  che porta al fiume il destino degli uomini, offre ad Ariosto l’occasione per fare una polemica al comportamento dei cortigiani (gli uccelli predatori) che, falsi ed adulatori, non sono capaci di ricordare (trattenere) il nome del loro signore (la targhetta) dopo la sua morte.
Dunque:
Non agli adulatori ma ai poeti si devono rivolgere i principi se vogliono che la loro fama venga ricordata.
Forse Enea, Ettore, Achille, non furono davvero gli eroi più valorosi: però la loro fama venne raccontata da grandi poeti ed essi passarono alla storia. Ariosto fa altri esempi di come le persone vengono ricordate non per come realmente sono ma per come il poeta le ha sapute descrivere.
Dunque Ariosto non solo approfitta di questo canto per polemizzare contro la corte ma fa anche una riflessione sull’importante ruolo che può avere la letteratura.

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