martedì 20 dicembre 2011

UNA BARCA NEL BOSCO



Una barca nel bosco – Paola Mastrocola

La lettura di questo romanzo coinvolge poco alla volta, strada facendo. E’ la storia del figlio di un pescatore, che essendo dotato di inconsueta intelligenza, dalla sua isola del sud si trasferisce a Torino per studiare.

All’inizio, ho avvertito il protagonista distante anni luce dal mio modo di vedere le cose, dal mio comportamento.
Gaspare è un “secchione”. Un ragazzo che per passatempo traduce le poesie di Orazio.
Lo si prende un po’ in antipatia, ci sentiamo “dall’altra parte” della classe, cioè dalla parte dei ragazzi “normali” che prendono brutti voti e che pensano a divertirsi normalmente: play station, discoteca, motorino.

La cosa curiosa è che invece, leggendo la vicenda, ti accorgi che per un motivo o per l’altro,  siamo tutti un po’ dei “Gaspare” della situazione. Specialmente quando cerchiamo di uniformarci con delle regole del branco che non si capisce bene come nascano: mi riferisco alle mode, abbigliamento, pettinatura, stile di comportamento.

Anch’io non capisco chi decida cosa è “normale”.  Sta di fatto che chi non riesce a conformarsi, invece di essere incoraggiato nelle sue inclinazioni e venire accettato con le sue diversità, viene spinto nella direzione opposta, verso l’appiattimento. Gaspare in realtà ha gli stessi bisogni di qualsiasi adolescente: le amicizie, il dialogo, l’amore  e si trova a disagio nella sua scuola, dove le amicizie si stringono in base ai vestiti, dove i contenuti sono sacrificati per il metodo, dove non si punta a far emergere i meritevoli ma a portare tutti sullo stesso livello, dove ci si vergogna della voglia di imparare.

Gaspare prova a comprare i vestiti giusti, a passare i compiti, a non prendere sempre dieci di latino; ci prova a diventare come gli altri perché ha paura di restare solo.
Anche gli altri in realtà sono soli, perché un’amicizia basata su una cintura non si può considerare un vero rapporto umano. Tuttavia questo rapporto umano lo trova con Furio, un ragazzo creativo e strano. Un’amicizia vera, basata sul dialogo, nella quale si accettano le diversità  e si condividono delusioni e sogni. 

La scrittrice percorre la vita di Gaspare dalla sua adolescenza fino all’età adulta, addentrandosi in quei problemi, a volte grotteschi, che incontra. Dapprima insegnanti frustrati che non sanno riconoscere il valore delle persone, poi docenti universitari bizzarri ed incompetenti. Infine un mondo del lavoro fatto di favoritismi,  in barba al talento.

Questo libro fa riflettere sulla società malata, sembra che al mondo non piaccia il merito. Chi è bravo si trova solo e chi ha talento viene scartato.
L’importante è essere fortunati e furbi,  appartenere a un clan, avere amici importanti. E chi è bravo e basta? Chi è figlio di pescatore non può aspirare a migliorare il suo status?  Si è già incasellati in una categoria sociale e nulla può cambiare le cose?
Chi è figlio di un avvocato, automaticamente diventa avvocato. Non importa se al liceo era il peggiore della classe! La scrittrice parla di un pantografo gigante che disegna il nostro destino. 

Gaspare è dunque l'eroe negativo, simbolo di tutti coloro che non ce l'hanno fatta e sono rimasti indietro, schiacciati dall'onda dell'indifferenza, che stritola sogni e desideri.

Infatti il protagonista non diventa un latinista come sperava, bensì un semplice barista, assecondando però la sua grande passione per le piante e trasformando la sua casa in una foresta di arbusti ad alto fusto, che crescono attraversando i pavimenti.

Una morale dolce-amara per il finale. Dopo tante promesse, nonostante tutto il suo talento Gaspare non diventa ricco ed importante. Creativo, si. L’unica vittoriosa in questa vicenda è la creatività, intesa come la capacità di adattarsi nonostante tutto. 

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