martedì 20 dicembre 2011

FRANCESCO PETRARCA

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo il 20 luglio 1304  (anno in cui Dante compie 39 anni perchè era nato nel 1265).

Petrarca è il primo scrittore consapevole di essere un grande intellettuale europeo del suo tempo. Il primo che abbia la consapevolezza del proprio ruolo di poeta ed umanista.
Il fatto che Petrarca abbia vissuto per lunghi periodi in varie città europee, testimonia appunto il suo ruolo culturale ben preciso: da un lato creava le sue opere, dall’altro girava di biblioteca in biblioteca, cercando, studiando i classici latini, traducendo opere antiche.
Grazie alle ricerche del Petrarca bibliofilo sono venute alla luce opere perdute, come gli epistolari ciceroniani “Lettere ad Attico”, “Lettere a Bruto” e “Lettere al fratello Quinto”.
Sulla sua scrivania i classici latini erano costantemente aperti, anche mentre componeva le proprie opere.

La famiglia Petrarca è guelfa di parte bianca, come gli Alighieri.
Il giovane Francesco, alla morte della madre, per la quale compone la sua prima lirica in latino, segue, il padre in esilio ad Avignone, dove compie i primi studi insieme al fratello Gherardo. Da notare che a quei tempi, Avignone, in Provenza, era la sede papale, che non era ancora in Vaticano come oggi.
Studi che diventano sempre più prestigiosi, cambiando città e paese europeo. E’ chiaro che nell’ambiente colto in cui vive si parla il latino ed in questa lingua compone le sue prime opere.
L’incontro di Petrarca con il volgare avviene a Bologna, sede della prestigiosa università nella quale intende laurearsi in diritto civile insieme al fratello. A Bologna, come sappiamo, avevano operato prima Guido Guinizzelli ed in seguito Cino da Pistoia, per cui la lingua volgare era normalmente in uso tra i letterati.

La lingua preferita dal Petrarca, la lingua del cuore, quella con cui esprime i suoi sentimenti più segreti, resta il latino: lo conosce con la massima dimestichezza, lo considera la lingua dei grandi del passato, tant’è vero che la sua produzione in latino è di gran lunga più corposa di quella in volgare (le opere in volgare sono 4: il Canzoniere, i Trionfi, i Frammenti e Rime estravaganti e i testi del Vaticano latino 3196; il resto delle opere sono tutte in latino)
Il suo amore per il latino è senz’altro dovuto alla sua grande passione, già sopra descritta, per i classici antichi: per tutta la vita Petrarca cerca antichi codici andati perduti, compradoli, traducendoli, trascrivendoli. Come confida al suo grande amico Boccaccio, questi testi vengono letti innumerevoli volte, al punto che li conosce non soltanto a memoria, ma i concetti entrano a far parte di lui stesso.
Però il volgare rappresenta per il Petrarca uno stimolo letterario, anche se ci accorgiamo che usa questa lingua con molta cautela.
Le caratteristiche fondamentali del linguaggio Petrarchesco sono appunto una voluta limitatezza del lessico che evita i termini troppo violenti, i vocaboli rari o le espressioni dialettali.

Alla morte del padre ritorna ad Avignone ed è qui, in chiesa, che incontra Laura, la donna che amerà per tutta la vita, ispiratrice delle sue opere. Dalla finzione poetica alla realtà storica, questa Laura forse era la moglie del marchese Ugo di Sade.
Per i critici, da questo momento il Petrarca inizia l’elaborazione dei suoi ”Rerum Vulgarium fragmenta” (Frammenti di cose in volgare), meglio conosciuti con il nome di “Il Canzoniere”, lavoro che si protrasse per trent’anni.

Per assicurarsi un po’ di benessere finanziario per poter dedicarsi agli studi, Francesco Petrarca prende gli ordini minori, mentre il fratello Gherardo diventava monaco certosino. Viaggia per l’Europa portando alla luce opere classiche perdute. Infine torna a Roma dove diventa amico intimo della potente famiglia Colonna, prendendo servizio per il Cardinale Colonna, uno dei più influenti rappresentanti del clero italiano.

Continuamente in viaggio, scrive in latino le opere  “De viris illustribus” (gli uomini famosi) e soprattutto ”l’Africa” che gli frutterà l’incoronazione poetica contemporaneamente a Roma ed a Parigi, anche se lui sceglierà il riconoscimento romano.
Tra viaggi e studi, Francesco Petrarca genera due figli naturali, Giovanni e Francesca, avuti in tempi diversi da due donne rimaste segrete. Cerca anche, senza successo,  di imparare il greco, per poter leggere Omero in lingua originale.

In questo periodo produce altri lavori come la canzone “All’Italia”; scrive anche i “Rerum memorandum libri”(libri di gesta memorabili) , oppure l’opera  “De vita solitaria” (la vita solitaria) in cui elogia la pace spirituale ed anche le egloghe  del poema “Carme Bucolico” dove dietro al monaco protagonista del primo libro c’è la figura di suo fratello. Si dedica alla composizione del “De otio religioso” (la vita serena dei religiosi) e del “Secretum”, (il mio segreto), in cui si confessa a Sant’Agostino, le cui “Confessioni” lo avevano tanto colpito.

Intanto in Europa si diffonde una violenta epidemia di peste. La malattia porterà la morte a cari amici del Petrarca fra cui il Cardinale Colonna e soprattutto porterà la morte alla sua amata Laura.
Petrarca torna a Roma  nel 1350 per il Giubileo (che si celebra ogni 50 anni: quello del 1300 è quello in cui si svolge la vicenda della Divina Commedia dantesca) e, passando da  Firenze conosce Giovanni Boccaccio (che ha 10 anni meno di Petrarca), che sarebbe diventato il primo grande narratore della letteratura italiana. I due diventano grandi amici. (Per stabilire cronologicamente degli intrecci, Dante nel 1350 era già morto da 29 anni!!)

L’elezione di un nuovo pontefice fa peggiorare i rapporti che Francesco Petrarca ha con la curia e, dopo aver scritto in Provenza  le opere “Sine nomine” (senza nome) e i “Triumphi” (trionfi)(in lingua volgare), abbandona definitivamente la Francia per stabilirsi in Italia, esattamente a Milano, alla corte dei Visconti.
Ormai è un’indiscussa celebrità che tiene orazioni presso le corti di re ed imperatori di tutta Europa.

All’età di 64 anni, a causa di una sincope, si ritira in un possedimento ad Arquà,  sui colli Euganei, in provincia di Padova, dove continua a lavorare.
E muore proprio ad Arquà, alla vigilia del suo settantesimo compleanno, nel 1374, dopo aver composto il “Trionfo dell’eternità” ed aver rivisto accuratamente la redazione della sua opera maggiore: il “Canzoniere”

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