martedì 20 dicembre 2011

IL VERONESE

IL VERONESE
(1528-1588)

Se Tiziano seguiva una tecnica tonale, basata sulla stesura veloce del colore in modo graduale e il Tintoretto enfatizzava la luce, il Veronese, partendo da queste conoscenze, sommandole anche alle conoscenze tratte da Mantegna, Romano e Correggio, utilizza il colore in modo assolutamente innovativo: egli dipinge con i colori complementari, quelli cioè la cui mescolanza dà il bianco. Non usa il nero ed il bianco, non usa la tecnica dei chiaroscuri, non usa una tecnica tonale, ma tutta una gamma di colori complementari, accostandoli in modo che colori freddi e caldi si esaltino a vicenda. Vedi schema pag 532 e schema pag 416.
Paolo Caliàri nasce a Verona e solo quando si trasferisce a Venezia viene chiamano il Veronese. Subito, anche se giovanissimo, riesce a farsi commissionare opere importanti dalla nobiltà veneziana e, diversamente di Tintoretto, egli riesce a farsi apprezzare dal maestro Tiziano, forse proprio perchè i loro stili sono estremamente diversi.
Il Veronese fu ottimo disegnatore. Sappiamo da un inventario seicentesco che furono più di millecinquecento, ora perduti. Esperto in ogni tecnica, carboncino, matita, acquerello, gessetto.

ALLEGORIA DELLA LEGA SANTA – collezione privata del duca di Devonshire

È un disegno su carta verde preparata, eseguito a penna e inchiostro con acquerello e biacca su tracce di matita. Un’opera finalizzata a se stessa, con l’intenzione di creare un disegno, dalle spiccate propensioni per l’architettura; qui egli si comporta con i chiaroscuri illuminati dalla biacca, proprio come farebbe con il colore.

GIUNONE VERSA I SUOI DONI SU VENEZIA – Venezia – Palazzo Ducale

Se la prospettiva sembra ispirarsi alle figure di Mantegna, in questa allegoria è chiaro l’uso inconsueto dei colori complementari. Il freddo azzurro del cielo è esaltato dal suo complementare arancio delle nuvole. La veste blu intenso di Giunone contrapposta al rosso del mantello e all’oro del vaso con i doni.

VILLA BARBARO –Masèr – Treviso

In questa villa progettata da Palladio per la famiglia patrizia Barbaro, il Veronese dipinse tutti gli interni con scene di vita campestre riproposte sullo sfondo di un Olimpo mitologico in cui si confondono uomini e dei.
Spettacolari ed inconsueti particolari. Finte finestre che sembrano guardare verso paesaggi veri, porte socchiuse da cui escono personaggi, addirittura un paio di ciabatte abbandonate. Il soffitto della sala dell’Olimpo è un trionfo di colori complementari che si rafforzano vicendevolmente tra cielo e nuvole, abiti e mantelli, creando un gioco luminoso centrale in cui spicca la Sapienza divina.
Degno di nota un affresco paretale sempre nella sala dell’Olimpo in cui una giovane dama (dalla pelle chiara, leggermente aranciata, abbigliata con un abito azzurro) si affaccia al balcone con la sua serva nutrice (con pelle scura, rossastra ed abito verdone). Ai loro lati due colonne dipinte sfondano la prospettiva, mettendo in risalto le due figure, che così sembrano invase dalla luce, che naturalmente non c’è, è un’impressione creata dal sapiente gioco dei colori complementari.

LE CENE del Veronese

Anche se egli lavorò molto per il Palazzo Ducale ed anche per privati, non gli mancarono gli incarichi per enti religiosi. Infatti si specializzò nel dipingere Cene sacre. Queste opere sono importanti perchè in esse il Veronese rappresentò minuziosamente delle scene tratte dalle cene veneziane dell’epoca e sono dunque delle testimonianze illustrate della vita di corte.

CENA IN CASA DI LEVI – Gallerie dell’Accademia – Venezia

Un olio su tela di enormi dimensioni che raffigura personaggi che non sembrano affatto biblici ma veneziani del suo tempo provenienti da ogni ceto sociale. La città sullo sfondo non è Venezia eppure la scena è una testimonianza di usi e costumi veneziani dell’epoca.
Questo soggetto procurò al Veronese una denuncia al Tribunale della Santa Inquisizione, che lo interrogò chiedendogli perchè egli avesse dipinto nani, buffoni, ubriachi e persino un servo che perde sangue dal naso, in una sacra rappresentazione. Il Veronese si difese dicendo che i pittori, dopo aver disegnato i soggetti principali, riempiono i buchi con tutto ciò che viene loro in mente, prendendosi il permesso di farlo come i poeti ed i matti. Non viene condannato ma deve cambiare il titolo dell’opera (non più “ultima cena”) e deve cancellare il servo col sangue al naso.
Ciò che è importante in tutto questo è che il Veronese ha detto la verità:  a lui non importa cosa dipinge, l’importante è la tecnica con cui dipinge, che spinge alla luce qualsiasi soggetto, riempiendolo di bellezza.

LE NOZZE DI CANA – Louvre – Parigi

Altra grandiosa tela pullulante di personaggi variopinti, al cui centro, seduti alla tavola, si riconoscono Gesù e Maria.
Da notare lo schema prospettico di questo enorme dipinto che rivela tanti punti di fuga allineati lungo l’asse mediano inferiore: ciò dilata illusoriamente lo spazio del dipinto, che ricorda una quinta teatrale

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